Giubileo dei volontari

Fuggiti da fame e guerre, in Italia sono diventati campioni di solidarietà

Dopo il focus sui volontari senior, in questa seconda tappa dei "volontari senza barriere" incontriamo rifugiati e stranieri che si stanno mettendo in gioco in progetti di cittadinanza attiva

di Chiara Ludovisi

Li chiamano “Volontari in comunità” e vengono quasi tutti da Paesi in guerra, o in cui era diventato impossibile vivere: rifugiati, richiedenti asilo e apolidi, che vengono coinvolti nel progetto Cov – Community Outreach Volunteers come agenti di cambiamento e  rappresentanti delle loro comunità.

I Volontari in comunità

Avviato nel 2022 da Unhcr in collaborazione con Intersos, il progetto si basa sull’azione diretta dei volontari, ponte tra la società ospitante e le comunità di rifugiati, nonché tra i loro rappresentanti e il mondo dei servizi, delle istituzioni e dei percorsi di integrazione del territorio.
I Voc sono persone dai 18 ai 65 anni, rifugiate o appartenenti alle comunità della diaspora, arrivate in Italia da poco oppure da diversi anni: mediatori culturali, studenti, avvocati, psicologi, operai, artisti, assistenti sociali, ristoratori, giornalisti, designer e atleti. Dopo un percorso di formazione, vengono coinvolti in incontri e attività di supporto alle diverse comunità e nelle diverse comunità.

Un incontro del progetto Voc

«ll progetto nasce con l’obiettivo di valorizzare il ruolo dei rifugiati stessi nell’identificare sfide e risorse delle comunità e di proporre risposte efficaci», spiega Chiara Cardoletti, rappresentante Unhcr per ltalia, la Santa Sede e San Marino. «La loro partecipazione nei processi che li riguardano, nel ruolo di esperti a titolo personale e professionale, è fondamentale per implementare politiche e attività di integrazione ma anche per dar loro la possibilità di restituire alle comunità che li accolgono, favorendo davvero il benessere di tutti. Per questo motivo, siamo orgogliosi di essere riusciti, anche attraverso i nostri partner, a coinvolgere 100 volontarie e volontari in 30 diverse comunità». 

Il tutto, con un impatto positivo anche sugli stessi volontari: «Siamo persone che si capiscono davvero», spiega Sediqa Sharifi, Voc di Bologna. «Essere in questo gruppo mi dà connessione e forza, consentendomi di condividere, imparare e supportarci a vicenda attraverso la nostra sfida».

La prima puntata della serie sul volontariato in occasione del Giubileo dei volontari

Mosaico e i rifugiati volontari come un “ponte”

Nel 2024, il progetto è stato portato avanti a Napoli, Roma, Bologna, Milano e Torino. In quest’ultima, il progetto è direttamente coordinato dalla refugee-led organization Associazione “Mosaico – Azioni per i Rifugiati.

L’associazione è nata nel 2006, «dopo la fatica e la difficoltà di quattro anni che avevo vissuto in strada, da quando ero arrivato in Italia» racconta il direttore dell’associazione, Berthin Nzonz, arrivato in Italia dal Congo nel 2002.
«L’idea mi è venuta proprio dal desiderio e dal bisogno di aiutare chi era arrivato da poco e viveva la condizione che avevo vissuto io. E questo è lo spirito che caratterizza la nostra associazione: chi si inserisce deve sentirsi una risorsa per chi è arrivato dopo di lui e deve essere pronto a fare da ponte con le istituzioni e con la comunità. Ci sono fragilità invisibili, così le chiamiamo: persone che anche se hanno i documenti, non hanno risorse e finiscono, per esempio, nelle case occupate: i nostri volontari fanno da ponte tra loro e le istituzioni, per creare insieme le condizioni per un inserimento sociale. Per noi africani, in particolare, la solidarietà e i legami sociali fanno parte del welfare: non sempre è facile ritrovarsi e ricostruirli qui: i nostri volontari mettono la propria esperienza e le relazioni che hanno maturato a disposizione di chi ancora non ha». 

Berthin Nzonz

All’interno dell’associazione, oggi operano sei rifugiati volontari, di età compresa tra i 25 e i 35 anni, provenienti da diverse realtà geografiche: Afghanistan, Ucraina, Costa d’Avorio, Mali, Sudan e Pakistan.

«Il loro ruolo è centrale e insostituibile, perché ci aiutano, appunto, a intercettare e interpretare i bisogni delle comunità», assicura Nzonz. «Anche per loro è un’esperienza importante e arricchente, ne abbiamo parlato proprio nei giorni scorsi: fanno volontariato perché li aiutiamo, innanzitutto, a percepirsi come risorsa: credono nella possibilità di essere protagonisti attivi della comunità in cui vivono e di creare un impatto positivo, a partire proprio dal loro percorso e dalle loro conoscenze dirette. E sanno, al tempo stesso, di poter essere un ponte fondamentale tra le istituzioni e i servizi che offre il territorio».

ReFoodGess, rifugiati contro gli sprechi alimentari

Questo ponte può passare anche attraverso il cibo e in particolare la lotta agli sprechi: un’altra attività di volontariato, questa, in cui vengono coinvolti, questa volta a Roma, rifugiati di diverse provenienze e culture.

«Per noi il coinvolgimento dei rifugiati è centrale: ci chiamiamo ReFoodGees per questa ragione, perché crediamo che la lotta allo spreco alimentare sia un obiettivo e un valore in cui proprio loro possono avere una motivazione e una funzione particolare» dice Viola Piroli de Andrade che ha fondato, otto anni fa, l’associazione che porta avanti, a Roma, diversi progetti contro lo spreco alimentare.

«All’inizio eravamo in tre: uno di noi, Yakuba, veniva dalla Guinea Conakry, lo avevo conosciuto per strada, perché mi occupavo di accoglienza informale dei migranti. Poi Yakuba ha portato Segà e così, grazie al passaparola, hanno iniziato ad arrivare altri giovani provenienti da diverse parti del mondo, per lo più come rifugiati. Il gruppo è cresciuto, le attività anche: oggi siamo più di 20 e quasi la metà sono stranieri, per lo più molto giovani».

Ogni sabato pomeriggio, dalle 16 alle 18, l’associazione è al Mercato Rionale Esquilino, a recuperare gli alimenti invenduti e ridistribuirli in un banco allestito ogni sabato sul piazzale del mercato: tutti possono servirsi e tutto è gratuito. «Non è un servizio pensato per i poveri, l’obiettivo è evitare gli sprechi: anche noi volontari torniamo sempre a casa con la nostra busta di frutta e verdura». 

Viola Piroli de Andrade

Tra questi volontari quasi la metà sono rifugiati. «Partecipano a questo e agli altri progetti dell’associazione con grande serietà e passione», assicura Viola De Andrade. Un dato sorprendente, nel momento in cui la partecipazione degli italiani alle attività è in calo (tranne che per adolescenti e over 65, come abbiamo avuto modo di scoprire).

Perché lo fanno? «Per ragioni etiche, innanzitutto: lo spreco alimentare indigna particolarmente chi ha vissuto il problema della carenza di cibo. Poi c’è la dimensione del gioco, del divertimento, della socialità, a cui diamo molta importanza: il sabato pomeriggio sulla piazza del mercato è una vera festa, con musica, canti, balli. Anche alcuni centri di accoglienza ci contattano, per far partecipare i loro ospiti alle nostre attività: tra l’altro, rilasciamo un attestato che, come tutte le esperienze di volontariato, vale ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato».

Dalla Siria alla Croce Verde, per “mostrare il bicchiere mezzo pieno”

Soprattutto, però, il volontariato è un’esperienza che fa stare bene e che ha particolarmente valore per chi ha conosciuto la guerra e il dolore. Come Hanna Khoury, nato ad Aleppo 32 anni fa. È arrivato in Italia nel novembre 2018 con la diaconia valdese, grazie ai corridoi umanitari, dopo essere fuggito dalla guerra in Siria e aver vissuto in Libano per due anni. In Siria aveva iniziato a studiare Economia, ma a causa della guerra non ha potuto laurearsi.

Oggi vive a Torino ed è iscritto al terzo anno di Scienze internazionali, dello Sviluppo e della Cooperazione: nel frattempo, lavora  come educatore perché «mi piace tanto parlare con le persone, socializzare: anche nel percorso tra Siria e Libano ho avuto esperienze con i bambini e i ragazzi. Ho capito che questo è il mio ambito di lavoro: aiutare gli altri. Oggi lavoro come educatore nelle scuole e anche nel carcere minorile». 

Hanna Khoury in Croce Verde

Nel 2020, durante il Covid, si è avvicinato per la prima volta al volontariato, prima con la Croce Verde di Porte, vicino Pinerolo, da un anno e mezzo a Torino. «Ogni nove giorni abbiamo un turno di 13 ore di notte, dalle 6 di sera alle 7 del mattino. Per me è un’esperienza super profonda», assicura «perché aiutare le persone, farle sorridere e vedere la differenza tra prima e dopo è fondamentale, mi fa sentire bene: forse anche perché ho vissuto la guerra, che mi ha insegnato tante cose belle e tante cose brutte. Di sicuro mi ha insegnato a vedere meglio il dolore, non solo fisico».

E poi il volontariato è un modo per «ringraziare l’Italia, che mi ha accolto e mi ha fatto crescere: dico “sì” a tutte le occasioni in cui posso restituire qualcosa a questo Paese. Mi fa anche piacere superare e smentire lo stereotipo del rifugiato che viene qui a non fare nulla e vuole solo essere aiutato».

Soprattutto, ad Hanna piace «far vedere il bicchiere mezzo pieno: la guerra mi ha donato questo talento e lo uso per aiutare la persona che ho davanti a soffrire un po’ di meno, facendole vedere, appunto, il bicchiere mezzo pieno. Il bello del volontariato in Croce Verde è che anche nei pochi minuti in cui incontriamo la persona, possiamo entrare in rapporto con lei. E io mi sento al settimo cielo quando mi dicono “Grazie”: vuol dire che in quel poco tempo siamo riusciti a toccare qualcosa. Sono molto grato per quello che faccio. anche se a volte stanco e ho i miei problemi, sono sicuro che non rinuncerò mai a questo impegno».

Nell’immagine in apertura volontari con ReFoodGees a Roma – tutte le immagini fornite dall’autore

Si può usare la Carta docente per abbonarsi a VITA?

Certo che sì! Basta emettere un buono sulla piattaforma del ministero del valore dell’abbonamento che si intende acquistare (1 anno carta + digital a 80€ o 1 anno digital a 60€) e inviarci il codice del buono a abbonamenti@vita.it