Politica

Il tartufo di Acqualagna, da oltre duemila anni sulla breccia

A tavola con Gino Girolomoni.

di Gino Girolomoni

Un cantore di piatti unici e semplici come me oggi si permette una raffinatezza alla moda, il tartufo. Mi giustifico dicendo trattarsi di un frutto di questa terra e ogni tanto un mio parente cercatore me ne porge qualche esemplare riconoscendomi i diritti d?autore quale proprietario dei campi in cui li trova. In questa occasione la vegliarda della famiglia mette mano al matterello e con farina, acqua e uova inventa la sfoglia. Quale magica concupiscenza grattugiare il tuber magnum pico sulle tagliatelle fumanti.
Il discepolo di Aristotele, Teofrasto, che morì nel 287 a.C., considerava il tartufo figlio della pioggia e del tuono; Plutarco aggiunse che però era il calore della terra a farlo nascere. Anche sant?Ambrogio non era immune dall?attrazione per quel sapore prelibato e ringraziò il vescovo san Felice per il cestino inviatogli.
Acqualagna in quel di Pesaro e Urbino diventò famosa già nel Seicento, quando si trovarono due tartufi colossali, di settanta e quaranta libbre, che vennero inviati in omaggio al cardinale Flavio Chigi, nipote dell?illustre Alessandro VII. Il celebre Apicio consigliava il tartufo anche in insalata condito con timo, santoreggia, pepe, levistico, miele, vino e olio e garum, ma noi non saremmo più abituati ai sapori degli antichi romani.
Oggi ho un consiglio per i miei compatrioti di Acqualagna: lasciate stare i tartufi degli eredi di Mao Tze Dong e vendete solo quelli nostri, mi raccomando!

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