Quale Europa
Pacchetto Omnibus, non è così che si semplifica la sostenibilità
Il professor Matteo Pedrini, direttore di Altis Università Cattolica, è molto netto sugli effetti della Controriforma voluta dalla Commissione Ue: «Genera incertezza negli operatori. Solo coinvolgendo tutte le aziende nella transizione verso un modello di economia più sostenibile risponderemo alle sfide ambientali e sociali. Ma la consapevolezza conterà più delle regole»

Dopo il rincorrersi di indiscrezioni e rumors, il 26 febbraio la Commissione europea ha reso pubblici i contenuti dell’annunciata semplificazione delle regole per le imprese. Le prime due proposte del pacchetto Omnibus riguardano le recenti Corporate social reporting directive (Csrd) e Corporate social due diligence directive (Csddd).
Gli standard perduti
Focalizzandoci sulla Csrd, le novità principali riguardano l’innalzamento dei limiti dimensionali delle aziende obbligate alla rendicontazione di sostenibilità (le aziende con più di 1.000 dipendenti e un fatturato maggiore di 50 milioni di euro), la semplificazione degli standard Esrs “agnostici” (trasversali a tutti i settori), la cancellazione degli standard Esrs di settore e la posticipazione degli obblighi di rendicontazione di due anni.
Di buone intenzioni…
Se, da una parte, la dilazione temporale dell’obbligo per le aziende che devono intraprendere un percorso di rendicontazione di sostenibilità per la prima volta e la possibile semplificazione degli standard “Agnostici” rappresentano una concreta risposta alle difficoltà riscontrate dalle aziende nel confrontarsi con la complessità dell’implementazione degli standard Esrs, dall’altra, le altre scelte incluse nel pacchetto presentano significative criticità. Per comprendere gli aspetti di criticità delle scelte condotte è necessario ripercorrere le origini e gli scopi dei previsti obblighi di rendicontazione. Tali obblighi nascono come parte del più ampio progetto europeo (il cosiddetto Geen Deal) volto a promuovere e accelerare la transizione del sistema economico europeo verso un sistema più sostenibile.
Trasparenza finanziaria
L’incremento di trasparenza delle aziende attorno alle performance Esg era un ingrediente indispensabile per consentire al sistema finanziario di quantificare i rischi Esg di un’azienda e premiare le aziende più virtuose in tal senso. Senza questa necessaria trasparenza, le istituzioni finanziarie sperimenteranno una cronica difficoltà nell’integrare nei propri sistemi di valutazione i rischi Esg e, conseguentemente, non potranno interpretare appieno il ruolo di propulsore di un cambiamento delle imprese verso un’economia più sostenibile.

In una visione più ampia, la riduzione di trasparenza proposta con Omnibus non risponde alle crescenti attese degli stakeholder attorno alle politiche e performance sociali e ambientali delle aziende. Clienti, lavoratori, fornitori, ma in generale tutti gli stakeholder, sono sempre più interessati a poter comprendere l’impegno di un’azienda attorno ai temi sociali e ambientali per valutarne l’allineamento con il proprio portato valoriale e, nel caso, premiare o punire con i propri comportamenti. Riducendo la trasparenza il rischio è che questi giudizi siano sempre più espressi sulla base di sensazioni e luoghi comuni piuttosto che su analisi di dati e oggettivizzazione.
Zone d’ombra
La riduzione del perimetro delle aziende obbligate, oltra a creare zone di ombra con riferimento alle aziende non obbligate, comporterà una limitata possibilità di comparazione e di confronto delle performance delle aziende che rimarranno obbligate. Se la possibilità di un confronto dell’operato delle aziende in ambito sociale e ambientale sarà limitata alle aziende con oltre 1.000 dipendenti, avremo la concreta possibilità di confrontare tra loro solo pochi operatori per ogni settore, con una conseguente riduzione del valore informativo dei bilanci di sostenibilità. Da una veloce analisi delle conseguenze in Italia dell’applicazione delle nuove soglie, rimarranno obbligate alla rendicontazione circa un migliaio di imprese che complessivamente ad oggi occupano il 13,9% della popolazione lavorativa attiva in Italia e sono lo 0,02% di tutte le aziende attive in Italia. È facile quindi intuire come la disponibilità di informazioni Esg dettagliata coinvolgerà un ristretto numero di aziende.
Le analisi settoriali sono utili
Un’ulteriore scelta discutibile è quella di cancellare la presenza di standard specifici di settore. Negli ultimi anni i professionisti, gli investitori istituzionali e tutti gli esperti di sostenibilità hanno maturato una condivisa consapevolezza della necessità di sviluppare e disporre di sistemi di valutazione dedicati a cogliere le specificità dei singoli settori. Gli indicatori standard trasversali non sono infatti in grado di cogliere le dinamiche strategiche e operative di un settore e non permettono la piena comprensione degli impatti sociali e ambientali di un’azienda.

È facilmente intuibile come gli indicatori Esg generali non siano così duttili da cogliere i differenti impatti sociali e ambientali (diretti e indiretti) di un’azienda operante nel settore finanziario rispetto a un’azienda attiva nella metallurgia e ad un’altra ancora che si occupa di logistica. La grande potenzialità informativa Esrs risiedeva proprio nella progressiva implementazione di standard di settore costruiti attorno ad aspetti materiali condivisi tra le aziende di un medesimo settore.
Operazione incertezza
Altri aspetti emergono come critici rispetto alla proposta Omnibus e che permettono di avanzare qualche dubbio sul concreto conseguimento dell’obiettivo di semplificazione della burocrazia. La prima considerazione riguarda il clima di incertezza e instabilità che questa nuova proposta genera nelle aziende. È utile, infatti, ricordare come i cambiamenti siano ad oggi una proposta della Commissione europea al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione europea. Prima di tradursi in effettivi cambiamenti alle direttive dovranno affrontare un periodo di negoziazione interistituzionale, il trilogo. Questo periodo, nonostante l’urgenza richiesta dalla Commissione, richiederà un lungo lasso ti tempo dando vita a un nuovo periodo di incertezza in cui gli operatori del mercato non sapranno come comportarsi. Come dovranno comportarsi nel 2025 le aziende obbligate alla rendicontazione già nel 2024 e che hanno già adottato gli Esrs di fronte a una proposta avanzata a febbraio, che prevede una semplificazione degli standard che con fatica hanno applicato nel 2024 (avendo ricevuto gli standard in corso d’esercizio)? Come dovranno comportarsi le aziende che ad oggi sono obbligate a rendicontazione a seguito del recepimento nazionale della Csrd e che nell’attuale proposta sarebbero escluse da tale obbligo? Questa incertezza genererà certamente confusione, rallentamenti e processi decisionali complessi. È ragionevole attendersi che le aziende in questo contesto optino per non prendere decisioni, rischiando quindi di non attivare processi di rendicontazione e non beneficiare, in estrema sintesi, del periodo di dilazione previsto dalla proposta. Questa incertezza sarà dunque fonte di ulteriori costi per le aziende che contribuiranno ad abbattere i paventati benefici suggeriti dalla proposta della Commissione.
Investimenti già fatti
In aggiunta è utile tenere in considerazione come l’adozione della Csrd nella precedente versione abbia già attivato nel mondo imprenditoriale numerosi investimenti di fronte a un mondo imprenditoriale chiamato ad adempiere a un obbligo normativo. Si pensi, ad esempio, agli investimenti per lo sviluppo di sistemi di raccolta dati da parte di aziende di software intenzionate a supportare le aziende nei processi di rendicontazione, agli investimenti personali effettuati da professionisti per estendere le proprie competenze alla rendicontazione di sostenibilità così da rispondere ai bisogni di supporto delle aziende, alla strutturazione di team da parte delle società di revisione utili a rispondere alla crescente domanda di revisione o agli stessi investimenti fatti dalle aziende per strutturare processi di raccolta dati anche mediante costosi sistemi informativi.
Questi investimenti potrebbero per alcuni diventare improvvisamente infruttiferi o, in altri casi, dovranno prevedere ulteriori investimenti a seguito della revisione degli standard. Si pensi, ad esempio, al costo di strutturazione dei processi interni di raccolta dati, di configurazione di software e sistemi da parte di un’azienda per rispondere agli Esrs nella versione attuale che dovrà essere replicato nel caso di revisione degli standard.
Rischio declassazione
Da ultimo, questa nuova direttiva agli occhi di molti potrebbe essere interpretata come un’improvvisa declassazione della sostenibilità come priorità in ambito europeo per il mondo imprenditoriale. Questo messaggio sarebbe certamente controproducente. Senza riuscire infatti nella difficile opera di coinvolgimento di tutte le aziende verso una necessaria transizione verso un modello di economia più sostenibile non saremo in grado di dare una risposta efficace alle sfide ambientali e sociali che abbiamo di fronte. Senza coinvolgere le piccole e medie aziende in questa transizione non riusciremo certamente a raggiungere i tanto decantanti obiettivi ambientali e sociali codificati nei Sdgs e tantomeno gli obiettivi di contrasto al cambiamento climatico.
Niente è perduto
Per concludere, la sensazione di fronte alla proposta Omnibus è quella di una proposta inadeguata e frutto di un’eccessiva fretta da parte delle istituzioni europee nell’intervenire per una dichiarata semplificazione. La constatazione di un’eccessiva complessità degli standard Esrs e delle difficoltà da parte delle aziende nella loro implementazione è certamente un concreto punto di partenza, ma le soluzioni proposte non hanno avuto la lungimiranza di ricercare un’effettiva semplificazione, intervenendo sugli aspetti più tecnici della rendicontazione e sulla complessità degli standard definiti. Di fronte a questa situazione abbiamo comunque una certezza, gli ultimi anni hanno visto una crescente consapevolezza da parte di tutti gli stakeholder attorno all’urgenza di un impegno attorno alla sostenibilità da parte delle aziende. Le aziende che a prescindere dagli obblighi di rendicontazione intraprenderanno o continueranno i propri percorsi attorno alla sostenibilità continueranno ad essere premiate dai propri stakeholder che, indipendentemente dal livello di burocrazia imposto dall’Unione Europea, hanno sempre più la sostenibilità come un elemento centrale delle loro scelte di consumo, di lavoro e di collaborazione.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.