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Se la politica non vuole scomparire punti sull’associazionismo sociale
«La mancanza di interesse rispetto alla partecipazione alle elezioni è andata via via crescendo fino agli anni 2000 e si è diffusa in tutta la popolazione, con percentuali di gran lunga superiori alla media, tra adolescenti e giovani». L'antidoto? «Favorire lo sviluppo e il protagonismo delle associazioni anche attraverso lo strumento dell'amministrazione condivisa». L'intervento della ricercatrice dell'università Bicocca di Milano
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Negli ultimi anni la politica è cambiata in maniera significativa rispetto all’approccio con i territori e i cittadini. La disgregazione di molti partiti, la nascita di movimenti populisti, la crescente carenza di leader in grado di interpretare le istanze locali e l’uso dei social quali strumenti principali di comunicazione tra i rappresentanti politici e i cittadini, hanno marcato una distanza importante tra le Istituzioni e le comunità.
Il tema, come sostenuto anche da Marco De Ponte, già direttore di Action Aid, nel Rapporto 2023 della ong sulla qualità della democrazia, è estremamente rilevante, perché non mette in dubbio la democrazia in Italia ma la qualità della stessa e soprattutto l’organizzazione della partecipazione nel contesto sociale.
Nel Rapporto emerge un bisogno di partecipazione importante da parte delle giovani generazioni, che, tuttavia, hanno comportamenti aggregativi molto diversi dal passato. I giovani che si attivano oggi utilizzano, infatti, un modello di attivazione orizzontale, senza leader ma con portavoce, concentrato su tematiche ambientaliste, di genere e di inclusione, spesso molto lontane dalle agende politiche delle Istituzioni nazionali e internazionali (Zamponi, 2019).
Il ruolo dell’associazionismo nel suo rapporto con le democrazie è molto cambiato negli anni, quello di oggi è un associazionismo molto diverso da quello sviluppatosi nel secondo dopoguerra, che mostrava il proliferare di molte più associazioni civico – politiche e religiose, piuttosto che sociali. Un sistema di associazioni che collaborava in maniera molto chiara ed esplicita con i partiti di cui condivideva ideologie e posizioni, senza paura di strumentalizzazioni (Pizzorno, 1993).
L’associazionismo era il modo che il popolo aveva per partecipare alla vita politica, e la politica nell’associazionismo trovava il suo radicamento. Le associazioni sentivano di svolgere un ruolo di raccordo fondamentale tra la società e le istituzioni e di avere un potere anche nella definizione delle politiche pubbliche. Negli anni Ottanta tale approccio pragmatico e orientato maggiormente al sociale ebbe modo di consolidarsi ulteriormente, a fronte di una sostituzione dei partiti di massa da partiti che venivano legittimati da una più generica opinione pubblica, più distante dai territori e dalla società civile di un tempo (Manin, 2010). E così in tutta Europa tra gli anni Ottanta e Novanta si compì il processo di distacco dai partiti di quel tessuto associativo che fino ad allora aveva consentito un radicamento ed un dialogo con i territori che rendeva forte la rappresentanza politica (Schmitt- Holmberg 1995, pp. 101-7).
A fine anni Novanta, con la crisi della rappresentanza, conseguente anche agli scandali giudiziari intervenuti e alla nascita della Seconda Repubblica, i cittadini hanno preferito prendere le distanze da partiti, sindacati e associazioni di categoria e impegnarsi invece, in maniera significativa nelle associazioni a scopo sociale.
La mancanza di interesse rispetto alla partecipazione alle elezioni è andata via via crescendo fino agli anni 2000 e si è diffusa in tutta la popolazione, con percentuali di gran lunga superiori alla media, tra adolescenti e giovani. Dal confronto trai dati Istat 2021 e 2023 si conferma la tendenza alla diminuzione delle forme indirette di partecipazione: con un calo della quota di chi parla e di chi si informa di politica (rispettivamente -1% e -1,8%). Si registra, invece, un aumento della partecipazione politica diretta, attraverso manifestazioni e cortei (+1,9%), che ha interessato in particolare giovani e giovanissimi – con un incremento più marcato tra le ragazze – e una lieve ripresa della partecipazione.
Del resto, la partecipazione come scuola di democrazia, teorizzata già nell’800 da Tocqueville, resta ancora oggi una delle principali leve alla base della scelta di attivarsi. L’attivismo e l’associazionismo negli ultimi anni hanno avuto come parole d’ordine “cura” “solidarietà” e “mutualismo”, e si sono visti riconoscere un ruolo, a tratti suppletivo, rispetto alle istituzioni locali e nazionali, riuscendo ad attivare vere e proprie forme di azione collettiva in grado di cambiare la società e di generare un impatto reale e misurabile, pur incidendo pochissimo sulle politiche dei Governi che si sono succeduti.
Non c’è, difatti, un dibattito costruttivo e incisivo, né il mondo della società civile, impegnato in attività di associazionismo, sente di avere voce nell’ambito delle decisioni, anche politiche, che impattano sulla vita del Paese. Anzi, negli ultimi anni lo stesso dibattito politico rispetto ad alcuni specifici temi, come l’immigrazione o l’ecologismo, si è rivolto contro ampi settori del mondo associativo. Il caso più eclatante è stato sicuramente quello delle ong impegnate nel recupero dei migranti in mare che si sono spesso ritrovate coinvolte in cause civili e penali, intentate direttamente da rappresentanti delle Istituzioni.
Più in generale, negli ultimi anni l’associazionismo che protesta è stato sempre più spesso riconosciuto come sovversivo e pericoloso dall’opinione pubblica. Un esempio in tal senso è rappresentato dai movimenti giovanili che si stanno sviluppando sempre di più negli ultimi anni nel mondo. Movimenti impegnati prevalentemente sul tema del cambiamento climatico e dei diritti, che spesso vedono negato il diritto stesso di manifestare e che, per questo. vivono una profonda frustrazione rispetto all’incidenza delle loro azioni (Zamponi 2021). In particolare sul tema ecologico, già nel 2018, un importante studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change metteva in fila le cause e gli effetti del cosiddetto “lutto ecologico”, vissuto prevalentemente dai giovani, e uno studio condotto della rivista The Lancet nel 2021 mostrava quanto fosse alto il peso psicologico della crisi climatica sugli individui più giovani, soprattutto tra coloro che hanno partecipato maggiormente alle manifestazioni e alle mobilitazioni per spingere i governi di tutto il mondo ad agire con decisione verso un futuro climaticamente giusto.
Lo studio, condotto su 10mila giovani tra i 16 e i 25 anni di età, in dieci Paesi del mondo (Regno Unito, Finlandia, Francia, India, Stati Uniti, Australia, Portogallo, Brasile, Filippine e Nigeria), ha mostrato un dato importantissimo su tutti, la sensazione di impotenza e di ansia per il futuro, soprattutto nei confronti delle azioni del governo. Del resto, le nuove forme aggregative giovanili odierne segnano il passo di una differenza importante con quelle del passato, poichè sono caratterizzate da una spiccata orizzontalità e reticolarità (si vedano Castells, 2012, Hardt e Negri, 2012) e mostrano di avere un rapporto complesso con la rappresentanza (si vedano Razsa e Kurnik, 2012, Kauffman, 2012), non hanno leader ma portavoce e credono in una leadership condivisa più che gerarchica. Una rivoluzione decisiva rispetto alle forme di associazionismo raccontate in uno dei principali studi sull’argomento condotto dall’Istituto Cattaneo negli anni 60, in cui emergeva un associazionismo fortemente legato alla politica nazionale e rappresentativo degli interessi territoriali, in grado di condizionare e guidare la politica delle Istituzioni.
Alla luce di tale distanza tra il mondo dell’associazionismo e quello delle istituzioni, in che modo possono promuoversi azioni che fungano da innesco per nuove forme di attivazione e motivazione, anche in vista di una maggiore partecipazione politica degli attivisti sociali e di un miglioramento della stessa qualità della democrazia?
Il Codice del Terzo Settore (D. Lgs. 03 luglio 2017, n. 117) nel Titolo VII potrebbe rappresentare, da questo punto di vista, la risposta a tale rilevante fabbisogno sociale. In particolare agli artt. 55 e 56 il Codice introduce importanti istituti relativi alla partecipazione del Terzo settore nella definizione delle politiche pubbliche e disciplina le modalità fondamentali in cui tale rapporto può svilupparsi per promuovere nuovo coinvolgimento attivo ed efficace sui territori e a livello di politiche pubbliche “partecipate”. Tale approccio orizzontale viene condiviso dal Legislatore anche nel nuovo Codice degli Appalti, approvato con D.Lgs. 31 marzo 2023, n.36, che recepisce la norma n. 131/2020 della Corte Costituzionale nell’art. 6, introducendo un sistema fondato su due modelli organizzativi di amministrazione condivisa alternativi per l’affidamento di servizi sociali da parte dell’istituzione pubblica: la solidarietà sociale e la sussidiarietà orizzontale.
Al fine di riattivare un comportamento partecipativo nei cittadini, potrebbe rivelarsi efficace da parte delle istituzioni locali l’utilizzo di metodologie di ascolto partecipativo, di co-programmazione e co-progettazione delle politiche locali e delle azioni da mettere in campo, fermo restando la capacità da parte degli enti locali di gestire tali processi e quindi la formazione del personale interno in tale direzione.
Il riconoscimento di un ruolo attivo e propositivo da parte dei decisori nei confronti delle associazioni e gli attivisti locali e la concreta partecipazione dei loro rappresentanti ai tavoli di lavoro per la definizione di soluzioni condivise potrebbe portare il mondo dell’associazionismo, e del Terzo settore in generale, a vedersi riconosciuto un nuovo protagonismo sociale e politico.
La partecipazione resta un fondamentale approccio alla vita pubblica e le conseguenze di un comportamento passivo da parte dei cittadini in tal senso possono avere ricadute pesanti sul sistema democratico del Paese, a partire dal disinteresse nei confronti della partecipazione elettorale, che di fatto rispecchia la scarsa fiducia dei cittadini nella possibilità di innescare cambiamenti reali nelle politiche nazionali e locali.
C’è però la necessità che i cittadini non smettano di credere nella cosa pubblica e che lo facciano partecipando attivamente e sentendo l’utilità del loro contributo, poiché la sfiducia nelle istituzioni scoraggia tale attivismo e determina un comportamento di attesa, di lamento o di rabbia sterile. Occorre far tornare i cittadini a sentirsi parte delle politiche locali, ad essere protagonisti della loro definizione e del loro sviluppo.
Foto: archivio VITA
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