Donazioni
Il Vaticano apre le porte al fundraising
Papa Francesco ha istituito una commissione per organizzare e incentivare la raccolta fondi per la Santa Sede, in tutto il mondo. Previste anche campagne mirate. Ma i fundraiser come saranno coinvolti? La risposta a questa domanda farà la differenza
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Chi bazzica il fundraising lo sa: se crei una nuova struttura per raccogliere soldi, significa che quelli che hai non bastano più. La Santa Sede ha capito che le donazioni non arrivano più come prima e ha deciso di metterci una pezza istituendo la Commissio de Donationibus pro Sancta Sede (leggi qui l’atto istitutivo della Commissione, firmato da Papa Francesco l’11 febbraio e pubblicato ieri, ndr). Tradotto: un gruppo di lavoro che avrà il compito di raccogliere più soldi e organizzare meglio la raccolta fondi del Vaticano. Non è necessariamente una cattiva notizia, anzi. Significa che, dopo anni di raccolta fondi gestita in modo sparso e spesso poco strategico, si cerca di fare sul serio. Il problema è: basterà?
La Santa Sede si muove: segnale positivo o ultima spiaggia?
Se le donazioni fossero floride, questa Commissione non esisterebbe. Se esiste, significa che qualcosa non va. E in effetti, negli ultimi anni, la fiducia nella gestione economica del Vaticano ha subito più di qualche colpo. Gli scandali finanziari hanno fatto crollare le donazioni all’Obolo di San Pietro, le Conferenze Episcopali non sono più così generose e le modalità tradizionali di raccolta mostrano la corda. Ora si cambia rotta. La Commissione non si limiterà a raccogliere i soldi che arrivano, ma dovrà attivamente «incentivare le donazioni con apposite campagne presso i fedeli, le Conferenze Episcopali e altri potenziali benefattori». Questo è un passo avanti: significa che, finalmente, si riconosce che il fundraising non è un’attività passiva, ma richiede strategia, comunicazione e relazioni. Bene. Ma questo basta a garantire il successo?
Soldi e autonomia: qui si gioca la partita
Si parte con un budget di 300mila euro, forniti dall’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e dal Governatorato. Fin qui tutto normale. Ma la vera bomba è un’altra: la Commissione potrà decidere autonomamente il proprio budget annuale. Cioè, niente approvazioni esterne, niente lungaggini burocratiche: i soldi se li stabiliscono da soli. Questo può essere un’arma a doppio taglio. Da un lato, garantisce libertà d’azione e agilità (finalmente!). Dall’altro, senza un sistema di rendicontazione chiaro, rischia di creare nuovi problemi di fiducia. La domanda è: chi controllerà come vengono spesi questi soldi?
Trasparenza: la grande assente
E qui arriviamo al vero nodo: la fiducia si costruisce con la trasparenza, e di trasparenza qui se ne parla poco. La Commissione dovrà inviare un rapporto semestrale al Papa. Ma ai donatori? Niente, sembrerebbe. Eppure, se vogliono davvero raccogliere più fondi, devono spiegare alle persone dove vanno a finire i loro soldi. Chi dona oggi non lo fa alla cieca: vuole sapere cosa finanzia, quali impatti genera, quali progetti sostiene. Se la Commissione non introdurrà un meccanismo chiaro di rendicontazione pubblica, rischia di essere vista come l’ennesimo ente burocratico chiuso su se stesso. E qui c’è un’enorme opportunità: se invece si decidesse di pubblicare report dettagliati, con numeri chiari e storie di impatto, la fiducia potrebbe essere riconquistata.
Bella struttura, ma dove sono i fundraiser?
Il team della Commissione è fatto tutto di funzionari ecclesiastici: vescovi, segretari, sotto-segretari (i membri della Commissione sono mons. Roberto Campisi, Assessore per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, Presidente: S.E. Mons. Flavio Pace, Segretario del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, suor Alessandra Smerilli, Segretario del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, suor Silvana Piro, Sotto-Segretario dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica e l’Avv. Giuseppe Puglisi-Alibrandi, Vice-Segretario Generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, ndr).
Figure istituzionali, con ruoli di peso nella Curia. Ma manca qualcuno. Dove sono i fundraiser veri? Perché il fundraising non si improvvisa. Non basta scrivere due lettere e aspettare le donazioni. Servono esperti di raccolta fondi capaci di: costruire relazioni con grandi donatori e fondazioni, sviluppare strategie digitali, creare campagne emozionanti che coinvolgano davvero i fedeli. Questa è una lacuna importante. Se la Commissione vuole davvero aumentare le donazioni, deve integrare professionisti del settore, gente che sa come si fa fundraising sul serio. Guardiamo ai grandi enti non profit internazionali: dietro le loro campagne di successo ci sono esperti con anni di esperienza, non solo funzionari ecclesiastici. Quindi, la soluzione sarebbe affiancare a questa struttura gerarchica un team di fundraiser professionisti. Se lo faranno, le possibilità di successo aumentano.
Più soldi o più fiducia?
La domanda vera però è questa: vogliono solo raccogliere più soldi o vogliono anche recuperare la fiducia? Perché le due cose vanno insieme. Se si pensa che basti accentrare il controllo sulle donazioni per far tornare i soldi, ci si sbaglia di grosso. Oggi, chi dona vuole trasparenza, storie, impatto concreto. Vuole sapere che il suo contributo serve davvero. Se la Commissione riuscirà a comunicare bene, a mostrare risultati chiari, a raccontare le opere sostenute dalle donazioni, allora questa iniziativa potrà fare la differenza. Se invece sarà solo un ente in più che raccoglie soldi senza spiegare come li usa, sarà un’occasione persa.
Conclusione: occasione d’oro, ma serve il cambio di mentalità
La Commissio de Donationibus pro Sancta Sede è un’opportunità per modernizzare la raccolta fondi del Vaticano. Ma tutto dipende da come verrà gestita. Tre cose sono essenziali:
- trasparenza: se non spiegano bene come usano i fondi, i donatori non torneranno.
- competenza: se non coinvolgono esperti veri di fundraising, rischiano di essere inefficaci.
- coinvolgimento: le donazioni non si chiedono, si costruiscono. Bisogna creare relazioni con i donatori, raccontare storie e dimostrare impatto.
Se faranno queste cose, questa Commissione potrebbe davvero segnare un cambio di passo nella raccolta fondi vaticana. Se invece rimarrà solo un ente in più, senza una visione chiara, rischia di essere un’altra occasione mancata. Ora la palla è in mano loro.
Foto di Arnold Straub su Unsplash
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