Mondo

Costa d’Avorio: le violenze si diffondono nell’ovest

La "cacao belt", nuovo teatro delle violenze in Costa d'Avorio. A Gagnoa, città natale del presidente Gbagbo, si contano almeno sei morti

di Joshua Massarenti

Ormai il clima di violenza urbana che si è abbattuto negli ultimi giorni a Abidjan ha preso piede nell’Ovest del Paese, a Gagnoa, la città natale del presidente ivoiriano Laurent Gbagbo. Ma a differenza della capitale commerciale della Costa d’Avorio dove a rimanere vittima delle agressioni compiute dai sostenitori di Gbagbo è stata la comunità francese, a Gagnoa i cosiddetti “Giovani patriotti” hanno invece preso di mira i dioula, originari del nord del Paese e gli “stranieri”, provenienti in maggioranza del Burkina Faso e dal Mali. Situata nel cuore della regione del cacao di cui la Costa d’Avorio è il primo produttore mondiale, Gagnoa è in preda a razzie e altre forme di violenze che da martedì scorso vedono protagonisti bande giovanile Bété (etnia del presidnte Gbagbo) armati di macete, strumenti agricoli e fucili. Secondo le informazioni raccolte dal quotidiano francese Le Monde, queste bande si sarebbero scontrate con gruppi dioula, originari della parte settentrionale della Costa d’Avorio in mano ai ribelli, e comunità straniere del Burkina Faso e del Mali. Finora, gli scontri avrebbero fatto sei morti, alcuni dei quali sarebbero stati linciati “in presenza del prefetto” di Gagnoa. Un’informazione, quest’ultima che non è stata confermata, ma che rivelerebbe una inquietante complicità tra le milizie urbane Bété e le autorità politiche locali. Intanto, a Bouaké, roccaforte delle Forze Nuove (ex ribelli), il loro leader Guillaume Soro ha dichiarato che i giovani appartenenti “al gruppo Bété o Guébié (molto vicini ai Bété) sono usciti per uccidere”, sottolineando che i massacri avrebbero “fatto almeno quindici morti per la sola città di Gagnoa” e che “autobus pieni di Bété si stanno riversando su Abidjan”. La situazione, di per sè già molto confuso, rischia di complicarsi ulteriormente con la penetrazione in Costa d’Avorio occidentale di numerose milizie liberiane reclutate due anni fa da Gbagbo per combattere i ribelli del Mjp e del Mpigo, prima di venire espulse dai soldati francesi in Liberia. Nell’intervista che Vita pubblicherà nel prossimo numero (in edicola sabato prossimo), l’antropologo francese Jean-Pierre Dozon, tra i massimi specialisti della Costa d’Avorio, ha ammonito: “Per ora la guerra ivoiriana è una guerra urbana. Ma se il mondo rurale si infiamma, è la fine”. La diffusione degli scontri da Abidjan a Gagnoa e il sopraggiungere di milizie liberiani in territorio ivoiriano sembrano confermare il parere di Dozon: la guerra rimane una prerogativa delle città, ma non è escluso che gli scontri si estendano nelle campagne dove l’animosità dei contadini Bété contro i francesi, gli immigrati burkinabé o maliani e i migranti Baoulé (est del Paese) o dioula (nord) rischia di trasformarsi in agressioni armati. La peggiore escalation di violenza che il Paese possa ipotizzare.


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