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Ciao Cesare: quanto rumore fa dire grazie alla vita

A soli 6 anni si è spento Cesare, che in tantissimi abbiamo imparato a conoscere nei racconti di mamma Valentina. «Ti ho fatto una promessa: non essere arrabbiata con questa vita. Ce la metterò tutta per far sì che il mio cuore urli solo cose belle in tuo nome», ha scritto questa mattina

di Sara De Carli

«Ti ho fatto una promessa: non essere arrabbiata con questa vita. Ce la metterò tutta per far sì che il mio cuore urli solo cose belle in tuo nome». Con queste parole e una foto bellissima Valentina Mastroianni, mamma di Cesare, ha comunicato questa mattina la morte del suo bambino. La loro vicenda abbiamo imparato in tanti a conoscerla dalla pagina Instagram “La storia di Cesare”, curata dalla stessa mamma. A Cesare, 6 anni, era stata diagnosticata la neurofibromatosi, una malattia rara. Attorno a loro si è stretta una comunità con cui Valentina ha condiviso lacrime e sorrisi, in cui lei ha trovato conforto e supporto, a cui lei ha donato tante riflessioni preziose, talora anche sferzanti, sulla malattia, la sofferenza, il senso di ingiustizia. Comunità, non community: oggi lo si tocca con mano.

Libertà e felicità sono state le parole guida del racconto di Valentina, in maniera forse paradossale ma niente affatto forzata. Questa gratitudine, nelle sue parole, si è fatta sempre più presente ed esplicita man mano che le condizioni di salute di Cesare andavano peggiorando, fino al punto che – come lei stessa ha scritto – «tutto diventa normale, si impara ad accettare la qualunque, sono come ubriaca, stordita dal peso di tutto questo accettare». La morte di un figlio è la cosa più innaturale del mondo, al punto che nemmeno esiste una parola per dire chi sono, “dopo”, i genitori che ci sono passati.

Valentina e Federico avrebbero tutto il diritto di urlare la loro rabbia, oltre che il loro dolore. Hanno scelto di dire grazie. Per i sorrisi inattesi di Cece, per il tempo vissuto, per la vita goduta, per l’amore che li ha uniti, per gli infermieri e i medici che al Guscio si sono presi cura di Cesare e di loro, per il compagno di scuola che ha mandato un messaggio, per chi ha fatto km per esserci, per chi ha trovato il modo di far sentire la sua presenza pur indossando calzini uguali. Grazie. Questa parola, sussurrata dalla loro bocca, fa tantissimo rumore. «Ce la metterò tutta per far sì che il mio cuore urli solo cose belle in tuo nome».

Trovo sempre urticante la retorica del “quanto abbiamo da imparare” da chi attraversa situazioni di sofferenza, fragilità, vulnerabilità, che in realtà cela un “per fortuna non è toccato a me”. Facile oggi dire che Cesare, Valentina e Federico ci hanno dato una grandissima lezione. E invece oggi invece mi sento proprio di dirlo. Perché la gratitudine verso la vita è cosa rara, ovunque. Ma tanto preziosa. Una vita «da abbracciare per com’era, né premio né condanna, semplicemente un dono», come ci ha ricordato pochi mesi fa Sammy Basso nella sua lettera-testamento. E aggiungere vita ai giorni è la sola, vera, entusiasmante, buona battaglia quotidiana di tutti.

Foto tratta dalla pagina Ig “La storia di Cesare”

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