Idee Innovazione
E se l’intelligenza artificiale fosse un alleato dell’impatto sociale?
L'AI può e deve assumere una missione espressiva, non puramente funzionalistica e sostitutiva. Può e deve deve essere strumento per potenziare la dimensione relazionale ed espressiva dell'essere umano, anziché ridurlo a un elemento di un sistema iper-efficiente e impersonale
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L’intelligenza artificiale (AI) è oggi un mezzo potente, ma la direzione che prenderà dipende dalle scelte di pochi: di chi scrive il codice e imposta le regole del gioco. Se non affrontata con agonismo e spirito critico, questa tecnologia rischia di diventare fine a se stessa, legittimando una distopia tecnologica che si sovrappone alla politica e all’autodeterminazione sociale, come già intravisto da Peter Thiel nel suo manifesto del 2009 dove teorizzava che la «democrazia non è più compatibile con la libertà».
Il dibattito intorno all’AI si concentra spesso su regolazione, sicurezza dei dati, competenze e valore d’uso. Questi elementi sono essenziali: l’AI sarà il co-pilota della nostra esistenza e il suo sviluppo richiede una governance attenta. Ma la vera sfida sta altrove: la conoscenza, le decisioni e le azioni non sono neutre rispetto all’AI.
Un esempio concreto riguarda l’impatto sociale: l’AI può essere utilizzata per individualizzare e frammentare, oppure per comunitarizzare e socializzare. Questo nodo chiama in causa tutti, ma soprattutto il mondo del Terzo Settore e della società civile. L’AI può diventare uno strumento per potenziare relazioni, migliorare il senso delle azioni collettive e rafforzare la coesione sociale. La trasformazione dei dati in beni comuni può garantire un valore d’uso comunitario piuttosto che privato ed estrattivo. La valorizzazione dei dati generati da imprese sociali e volontariato può migliorare l’engagement della comunità e la capacità di intervento. L’AI può facilitare la cooperazione e il sense-making, conciliando produttività e benessere. Inoltre, in ambito sanitario, può essere utilizzata per adattare i percorsi di cura alle necessità individuali, mantenendo un approccio umano-centrico.
L’AI può e deve assumere una missione espressiva, non puramente funzionalistica e sostitutiva. Può e deve deve essere strumento per potenziare la dimensione relazionale ed espressiva dell’essere umano, anziché ridurlo a un elemento di un sistema iper-efficiente e impersonale.
Il passaggio che stiamo vivendo è un salto espoonenziale e gli effetti non son prevedibili. Sto parlando del passaggio dall’economia dell’attenzione, caratteristica delle piattaforme digitali, a una nuova “economia delle intenzioni”
Il passaggio che stiamo vivendo è un salto espoonenziale e gli effetti non son prevedibili. Sto parlando del passaggio dall’economia dell’attenzione, caratteristica delle piattaforme digitali, a una nuova “economia delle intenzioni”. Se prima il digitale cercava di catturare il tempo e l’attenzione degli utenti, ora è in grado di influenzare direttamente desideri e scelte attraverso meccanismi di nudging algoritmico. Questa trasformazione va al cuore la libertà individuale e dei desideri delle persone. Le regole del gioco, sono cambiate. O il Terzo settore e la società civile prendono parte attiva a questa trasformazione, o il banco vincerà ancor prima che la partita abbia inizio. Il dibattito su AI e libertà deve diventare pubblico e strategico, per evitare che l’innovazione tecnologica si traduca in un’ulteriore concentrazione di potere e una leva demofobica.
Foto: Pexels/Cottonbro studio
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