Cure palliative
“Il Guscio”, l’hospice pediatrico dove bambini e famiglie trovano sostegno alla vita
All'ospedale Gaslini di Genova ci sono quattro miniappartamenti da cui si vede il mare: è l'hospice pediatrico attivo dal 2018. Qui vengono accolti i bambini e le loro famiglie, quasi come fossero a casa. «La tartaruga, grazie al suo carapace, può vivere in sicurezza e percorrere molta strada: per questo ci chiamiamo "Il guscio"», spiega Luca Manfredini, il responsabile. «Le cure palliative pediatriche sono spesso associate al fine vita, ma il primo obiettivo è migliorare la qualità della vita»
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Immaginate una clessidra: i granelli di sabbia scorrono lentamente dall’ampolla superiore a quella inferiore. La nostra attenzione è quasi sempre catturata dal continuo svuotarsi dell’ampolla superiore, trascurando però come quella inferiore si riempia progressivamente. Le cure palliative pediatriche sono proprio come una clessidra. Mentre il bambino e la sua famiglia affrontano una malattia che consuma il loro tempo di vita, svuotando la parte superiore dell’ampolla, le cure palliative riempiono quella inferiore, dando un nuovo significato alla vita.
«Le cure palliative sono la presa in carico del corpo, della mente e dello spirito: sia del bambino, sia della sua famiglia», spiega Luca Manfredini, responsabile dell’hospice pediatrico “Il guscio dei bimbi” dell’istituto Giannina Gaslini di Genova. Per Manfredini «l’obiettivo delle cure palliative è migliorare la qualità della vita, perché anche laddove non è possibile guarire, è sempre possibile curare. Il nostro compito, quindi, è prenderci cura dei bambini affinché possano vivere al meglio».
L’hospice pediatrico “Il guscio dei bimbi” prende il nome dal carapace che protegge la tartaruga, un animale fragile come i bambini e gli adolescenti che accogliamo qui. Ma la tartaruga, grazie al suo carapace, può vivere in sicurezza e percorrere molta strada
Luca Manfredini
Quattro camere, pensate come mini appartamenti, tutte con vista mare e con assistenza sanitaria garantita 24 ore su 24. Questo è il “Guscio”, che, come spiega Manfredini, «prende il nome dal carapace che protegge la tartaruga, un animale fragile come i bambini e gli adolescenti che accogliamo in hospice. Ma la tartaruga, grazie al suo carapace, può vivere in sicurezza e percorrere molta strada». L’équipe dell’hospice del Gaslini prende in carico anche i piccoli pazienti che necessitano di cure palliative e che sono ricoverati in altri reparti dell’ospedale genovese o in quelli della regione, sviluppando anche cure domiciliari di alta qualità.
Solo il 15% dei pazienti è oncologico
«Nell’immaginario comune si tende a pensare che l’hospice pediatrico si occupi principalmente di bambini con malattie oncologiche», prosegue Manfredini, «ma non è così. Solo il 15% dei nostri pazienti ha una malattia oncologica. Penso che questa percezione si sia diffusa perché la parola “hospice” è spesso associata al luogo delle cure palliative per adulti, dove effettivamente il 90% dei pazienti è curato per una malattia oncologica terminale. È anche la stessa ragione per cui, culturalmente, le cure palliative pediatriche vengono legate al fine vita: ma non è vero. Il nostro compito come sanitari è fare in modo che i nostri pazienti vivano al meglio. Nel nostro quotidiano, pur sapendo di prenderci cura di bambini con malattie non guaribili, la parola che ricorre più spesso è proprio “vita”, non “morte”».
L’obiettivo delle cure palliative è migliorare la qualità della vita. Il nostro compito è prenderci cura dei bambini affinché possano vivere al meglio. Dobbiamo fare in modo che non si confondano le cure palliative pediatriche con quelle del fine vita
Luca Manfredini
Uno studio commissionato al Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale dell’Università Bocconi da Vidas, l’associazione che dal 1982 offre assistenza sociosanitaria a persone con malattie inguaribili, stima che in Italia, a livello pediatrico, su oltre 35mila minori bisognosi di cure palliative solo il 5% riesce ad accedervi.
«È fondamentale diffondere la cultura delle cure palliative», afferma Manfredini. «Spesso persino noi medici non sappiamo esattamente cosa siano le cure palliative. Faccio un esempio. Fino a qualche anno fa, se consigliavo la morfina per un bambino con difficoltà respiratorie dovute a una patologia rara e inguaribile, sia i colleghi sia i familiari mi guardavano sorpresi e mi chiedevano: “Ma è in una situazione terminale così grave?”. Perché la morfina era associata all’idea del fine vita, non alla cura. Oggi, forse, questa stigmatizzazione del farmaco è superata, ma ce ne sono ancora molte altre. Dobbiamo fare in modo che non si confondano le cure palliative pediatriche con quelle del fine vita».
Ricerca e cure palliative: a che punto siamo?
Fortunatamente, negli ultimi dieci anni la ricerca nel campo delle cure palliative ha fatto grandi progressi, consentendo a questi piccoli pazienti di condurre una vita migliore. Manfredini spiega che «la ricerca in questo ambito non riguarda solo il settore farmacologico. Negli ultimi anni sono stati fatti enormi passi avanti anche nei dispositivi medici, come i ventilatori, e nella teleassistenza, per supportare i pazienti che, sempre più numerosi, vengono trasferiti dai reparti o dall’hospice direttamente a casa. Non dobbiamo mai dimenticare che l’obiettivo delle cure palliative pediatriche è proprio portare i pazienti a casa, perché, come ci ha detto una volta un bambino: “A casa è più meglio!”». Inoltre, c’è tutta una parte di ricerca che riguarda i modelli organizzativi, ovvero come garantire assistenza a un numero relativamente basso di pazienti distribuiti su tutto il territorio nazionale.
La cura della famiglia
Un altro grande tema delle cure palliative pediatriche riguarda la famiglia, che deve adattare la propria vita per prendersi cura del figlio. Genitori costretti a lasciare il lavoro, figli “ombra” che imparano a mettere da parte i propri bisogni perché il fratello malato ha la priorità. «Il nostro compito come medici è anche quello di supportare la famiglia in questo percorso», prosegue il responsabile del Guscio. «È fondamentale far capire ai genitori che non devono trasformarsi solo in infermieri e medici per i loro figli. Questi genitori spesso devono dedicare anche otto ore al giorno alle cure e alle procedure necessarie per la vita del loro bambino, ma il nostro compito di medici palliativisti è anche quello di aiutarli a riuscire a mantenere viva la loro funzione genitoriale».
E Manfredini conclude: «Ci impegniamo molto nella formazione del personale medico, infermieristico e, anche, dei docenti, affinché sappiano come supportare comunicativamente le famiglie. Una cosa che ci stupisce sempre è che, all’inizio dei corsi, i partecipanti pensano di dover imparare quale sia il loro ruolo rispetto alla malattia dei bambini. Alla fine del corso, però, si rendono conto che la cosa più importante è per tutti trovare un ruolo rispetto alla traiettoria di vita di questi bambini e delle loro famiglie».
Foto di Porapak Apichodilok, Pexels
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