Volontariato

America contro America

I due candidati, al di là delle cortesie da talk show, sono portabandiera di due nazioni ostili. Due blocchi contrapposti che un sistema elettorale perverso e sofisticato lascia divisi. Per controll

di Fabrizio Tonello

Il 12 aprile 1861, a Charleston, in South Carolina, B. S. Osbon, un corrispondente del quotidiano New York World portava al locale ufficio telegrafico il suo dispaccio: «Le batterie di Sullivan Island, Morris Island e altri luoghi hanno aperto il fuoco su Fort Sumter stamattina alle 4. Fort Sumter ha risposto al fuoco e un vivace fuoco d?artiglieria è continuato». Fort Sumter era una base militare del governo di Washington e gli schiavisti del Sud iniziarono con quell?attacco la Guerra di secessione. Sarebbe durata quattro anni, con oltre 600mila morti. Chissà se, nell?aprile del 2005, un corrispondente del quotidiano New York Times, scrivendo da Tallahassee, Florida, dovrà iniziare il suo articolo con la notizia della formazione di milizie armate e scontri fra la Guardia nazionale del governatore repubblicano Jeb Bush e giovani afroamericani. Se il 2 novembre prossimo dovesse vincere di nuovo George W. Bush e se il risultato, come nel 2000, dovesse dipendere dal conteggio dei voti in Florida, o addirittura da una nuova battaglia legale e da una decisione della Corte Suprema, scontri violenti, se non una nuova guerra civile, sono negli Stati Uniti una reale possibilità. Migliaia di elettori eliminati Occorre ricordare che quattro anni fa la crisi dei conteggi durò 26 giorni tra novembre e dicembre, e che gli aspetti analizzati dai media furono sostanzialmente tre: il disegno delle schede e gli apparati obsoleti di voto; la battaglia legale tra i due candidati; la necessità di «trovare una soluzione» nel più breve tempo possibile per non lasciare il Paese senza governo. Poco o nulla fu detto sul fatto che la Florida avesse illegalmente eliminato dalle liste elettorali decine di migliaia di afroamericani che, in maggioranza, avrebbero votato per Gore (notizia poi riemersa nel film di Michael Moore Fahrenheit 9/11). Né la stampa diede sufficiente rilievo alle azioni squadriste di iscritti al partito repubblicano, che si opponevano a nuovi conteggi delle molte migliaia di schede annullate benché fosse chiaramente possibile interpretare la preferenza dei votanti, di nuovo per Gore. Nel 1960, di fronte al sospetto di brogli elettorali a favore di Kennedy in Illinois, Richard Nixon preferì rinunciare alla contestazione dei risultati per non creare un clima di sospetto nel Paese e delegittimare la presidenza. Nel 2004, il governatore Jeb Bush ha nuovamente fatto del suo meglio per impedire alla minoranza nera di esercitare il suo diritto di recarsi alle urne e ha appaltato la fornitura di macchine elettroniche per votare a una ditta ?vicina? al partito repubblicano. Queste macchine, il cui software è ovviamente vulnerabile a manipolazioni, non permettono un nuovo conteggio cartaceo e hanno già mostrato, nelle due settimane in cui sono state in funzione, difficoltà di funzionamento ed errori. Qualcuno si stupirebbe, quindi, se di fronte a una nuova elezione ?rubata?, l?America che vota Kerry scendesse nelle strade e paralizzasse il Paese? Nel 2000 fu proprio il timore di uno scenario del genere a indurre Al Gore e tutti i 50 senatori democratici a rifiutare ogni appello alla piazza e a boicottare il tentativo di un gruppo di deputati neri di discutere in Congresso dello scandaloso verdetto della Corte Suprema (anche questa notizia, quasi ignorata dai media, è diventata parte del film di Michael Moore). I limiti delle circoscrizioni I timori sarebbero ovviamente del tutto infondati se i due candidati alla presidenza, Bush e Kerry, fossero leali avversari che condividono valori e convinzioni comuni, mentre divergono sulle strategie politiche da seguire. Ma malgrado la forzata cortesia dei dibattiti televisivi non è così: sono piuttosto i portabandiera di due Americhe profondamente ostili l?una all?altra, due blocchi contrapposti divisi tra loro per classe, censo, valori e religione. La frattura è ben descritta nel libro di Stanley Greenberg, The Two Americas, che analizza come una combinazione di fattori disparati (politici, storici, geografici, razziali) abbia ?solidificato? due coalizioni oggi ferocemente nemiche.Un irrigidimento favorito anche dalla pratica del gerrymandering, la creazione di nuove circoscrizioni elettorali dopo ogni censimento decennale. Negli Stati Uniti, il disegno delle circoscrizioni non è di competenza di commissioni tecniche: la Costituzione lo lascia ai parlamenti degli Stati, dove le maggioranze lo usano per favorire i propri deputati. Esistono una varietà di sistemi, di cui il più diffuso è quello di utilizzare sofisticati database con i risultati delle elezioni precedenti e la demografia della zona, disegnando così una mappa di come si vota, quasi casa per casa. Ciò rende possibile creare una circoscrizione ?su misura? per il deputato uscente: tanti bianchi, tanti afroamericani, tanti latinos. Le circoscrizioni su misura favoriscono incomunicabilità tra progressisti e conservatori: ciascuno vota in un quartiere dove tutti, o quasi, la pensano come lui. Il Center for voting and democracy, un centro studi di Washington, prevede che il 2 novembre solo 14 circoscrizioni della Camera su 435 cambino di mano. Strategie a confronto Dal 1968 in poi, i repubblicani hanno lanciato, con successo, una strategia di ?riconquista? del potere basata sull?uso strumentale della religione (i fondamentalisti protestanti), sul culto del mercato, sullo sciovinismo nazionale, sul disprezzo per le minoranze. Era una strategia che aveva il suo fulcro nel Sud, che ha conquistato l?Ovest e che si è arrestata soltanto sulle due coste, dove forti correnti economiche e demografiche andavano in direzione opposta.Negli ultimi anni, infatti, c?è stato un eccezionale afflusso di ispanici, che hanno cambiato la composizione sociale di molti Stati del Sud, in particolare California e Florida: con l?eccezione di quelli di origine cubana, questi immigrati tendono a votare per il partito democratico. La strategia di divisione dei repubblicani, che si fonda sulla capacità di attrarre con una retorica puramente superficiale le classi a basso reddito, ha ricevuto un sostegno del tutto insperato dagli attentati dell?11 settembre; oggi, tuttavia, è messa in pericolo dai costi umani della guerra in Iraq e dall?aumento della povertà negli Stati Uniti. I democratici, inoltre, possono oggi contare su di un numero maggiore di donne laureate, di professionisti, di neri, di ispanici e di iscritti al sindacato. Tutte queste categorie, dopo una breve adesione alla politica del ?comandante in capo? nei mesi successivi all?11 settembre, sono tornate a diffidare del fanatismo religioso, dell?intolleranza, del culto delle armi da fuoco, dell?indifferenza dei repubblicani verso le minoranze. Si tratta di milioni di elettori che sono stati spinti nel campo democratico proprio dalla crociata dei neoconservatori, dal loro tono «Dio è con noi». L?incomunicabilità tra elettori democratici e repubblicani è registrata perfino nella lista dei bestseller del New York Times, dove convivono i libri di Michael Moore, o di Joe Conason, sulle bugie di George Bush, con i pamphlet anti Kerry scritti da esponenti della destra repubblicana come Ann Coulter. Ancora più significativo il fatto che i tre dibattiti televisivi fra Bush e Kerry, più quello fra Cheney e Edwards, non abbiano affatto modificato gli orientamenti di fondo del voto. Secondo molti istituti di sondaggio, una settimana fa Bush rimaneva in vantaggio nelle intenzioni di voto, sia pure con uno scarto molto ristretto. I sondaggi sottostimavano la forza di Kerry, ma a noi qui interessa un?altra cosa: i dibattiti avevano inciso soltanto sui potenziali elettori di ogni partito, rafforzandone le rispettive convinzioni. Il risultato elettorale diventa quindi non lo sbocco di un dibattito razionale e democratico sulle politiche da seguire nei prossimi quattro anni, e ancor meno una caccia agli elettori incerti, bensì una mobilitazione di tipo militare per fare il pieno dei propri sostenitori e convincerli ad andare a votare.


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