Mondo

La sfida di J.F.Kerry

Cosa cambierà nella politica degli Usa se dovesse vincere il candidato democratico? L’America continuerà a guidare il mondo? E come si uscirà dal pantano iracheno?

di Paolo Manzo

Un think thank ?etico-sociale? su scala internazionale al servizio della pace. Obiettivo dichiarato: creare nuove regole di governance da suggerire a chi oggi è alla guida della politica e dell?economia mondiali, per elaborare una strada differente, una terza via alla ricomposizione delle crisi internazionali. Ecco, in sintesi, la ?mission? del World Political Forum (Wpf), centro di ricerca e di studi promosso da Michail Gorbaciov, costituitosi nel maggio 2003 e che oggi annovera tra le sue fila un centinaio dei politici mondiali più prestigiosi. Dal già citato Nobel per la pace russo a Giulio Andreotti, da Benazir Bhutto a Boutros Boutros-Ghali, da Jacques Delors a Wojciech Jaruzelski? Insomma, un ?parterre de roi? da fare invidia alle Nazioni Unite che, per due giorni, si è incrociato in quel di Stresa, sul Lago Maggiore. Tema dell?incontro, le sfide imposte al nuovo ordine mondiale dalla povertà nel mondo: i ?ghetti? delle metropoli, le discriminazioni economiche e di genere, le nuove linee che dividono Nord e Sud del pianeta. Ricerche, discussioni anche animate, proposte di riforma del Consiglio di sicurezza Onu e – naturalmente – tanta, tanta politica di alto livello. Vita era in prima fila e ha assistito durante il pranzo della prima giornata a un abbraccio tra Gorbaciov e Jaruzelski (evento impensabile in quel 1980 quando il generale polacco prima represse Solidarnosc con i tank, poi si ?staccò? da Mosca), e ha percepito che – tra tavoli e buffet – gran parte dei pour parler erano incentrati sulle elezioni del 2 novembre. Da qui l?idea di porre ad alcuni dei membri eccellenti del Wpf la seguente domanda: cosa cambierebbe nel mondo se dovesse vincere il senatore Kerry? Perché, come dice Beppe Grillo nell?intervista a pagina 54, «se vince Bondi o Fassino la mia vita non cambia di un millimetro. Se vince Bush o Kerry cambia di metri?». Benazir Bhutto (ex primo ministro del Pakistan, prima donna a governare un Paese musulmano) Il candidato democratico è ritenuto un multilateralista. Per questo la popolazione mondiale ripone in lui molte speranze. È certo che se lui vincerà, Washington avrà molte più consultazioni con i suoi alleati tradizionali, compresi gli europei. Gli interessi statunitensi più strategici saranno portati avanti anche da Kerry; cambieranno però i metodi, che in politica sono fondamentali. Anna Kajumulo Tibaijuka (responsabile del programma Onu Habitat,Tanzania) Senza dubbio gli Usa sono la nazione guida nel mondo. L?attuale sistema economico è disastroso, sia per i Paesi poveri che per i Paesi ricchi e, dalla nazione leader a livello mondiale, ci aspettiamo che offra la leadership, sia in termini di risorse che di esempi e di solidarietà, per migliorare il mondo. All?Onu attendiamo il 2 novembre per convincere il prossimo governo Usa – vinca Kerry o Bush – che è impensabile continuare a fare business com?è stato sino ad oggi. Giulio Andreotti (ex presidente del Consiglio) Se Kerry vincerà, dovrà trovare il modo di uscire dal pantano iracheno. Anche se con i nuovi presidenti, in generale, in America le cose non cambiano molto. Anzi, spesso c?è una linea di continuità, per cui un presidente democratico agisce seguendo i programmi dei repubblicani, e viceversa. Comunque, rispetto all?Italia, gli Usa hanno un grande vantaggio: i loro presidenti durano quattro anni. Ode Ojowu (Consigliere personale del presidente nigeriano Obasanjo) Cosa cambierà? Difficile a dirsi, perché la crisi in Iraq non potrà essere risolta rapidamente da nessun leader. La mia sola speranza, in caso di vittoria di Kerry, è che gli Usa la smettano di combattere per ottenere contratti economici, e che facciano rientrare in gioco le Nazioni Unite. La soluzione migliore, a mio avviso, è che l?Onu sostituisca la guida statunitense in Iraq, perché le truppe di Usa e Gran Bretagna non potranno risolvere i problemi di quel Paese. Ed è molto più probabile che ce la faccia un presidente come Kerry, rispetto a uno come Bush jr. Luigi Cal (responsabile esteri Cisl) La vittoria di Kerry può provocare un nuovo concetto di governance a livello mondiale, dove non ci sia più uno che comanda per tutti e si impone, ma uno che entra negli organismi stabiliti – pur con tutti i limiti che hanno – e nel sistema dell?Onu per costruire questo nuovo tipo di governance mondiale. Michel Rocard (ex primo ministro francese) In caso di vittoria di Kerry, i rapporti tra gli Stati Uniti e il resto del mondo sarebbero meno turbolenti. E quindi ci sarebbe maggiore possibilità di lavorare insieme cercando soluzioni ai problemi del Medio Oriente e dell?Iraq. Con Bush non si può discutere. E i guasti che ha fatto in Iraq fanno sì che oggi le truppe Usa non se ne possano più andare da quel Paese. A meno che non si voglia lo scoppio di una guerra civile. Sarà più facile per Kerry dire «non sono colpa mia questi disastri, ma adesso l?Iraq è sotto la nostra responsabilità». L?eventuale vittoria di Kerry porterebbe un po? più di multilateralismo. Jeffrey Sachs (americano, economista, direttore della Columbia University e consigliere personale di Kofi Annan per i Millennium Development Goals) Se dovesse vincere Bush vedremmo di nuovo il vecchio film: politiche unilaterali. Sono molto preoccupato di questo, perché negli ultimi quattro anni queste politiche sono state un fallimento totale per la politica estera statunitense. Credo che il senatore Kerry, da presidente, farebbe davvero la differenza, perché è un multilateralista. E la rinuncia Usa ad agire a livello multilaterale è stato il più grosso errore degli ultimi anni della nostra storia. Ernesto Olivero (fondatore del Sermig-Servizio missionario giovani di Torino) Più che su Kerry o Bush io punto sull?Onu, che deve cambiare, e smetterla di avere dei diritti di veto? Gli Usa sono arrivati alla fine dell?impero, se non si convertono alla giustizia e non puntano sull?Onu. Chiunque sia il prossimo presidente. Riccardo Petrella (fondatore e segretario del Comitato internazionale per il Contratto mondiale sull?acqua) Psicologicamente potrebbe cambiare molto, immediatamente. La rottura sarebbe evidente. Soprattutto nel modo in cui gli Usa si riposizionano nei contatti con gli altri Paesi, e alle popolazioni del mondo arabo. Per i contenuti non credo ci saranno cambiamenti notevoli, perché per sua stessa ammissione Kerry manterrà sempre la capacità di governo del mondo da parte degli Stati Uniti. Muteranno i modi e le forme, che saranno più aperti e democratici e terranno finalmente conto delle opinioni altrui. Frei Betto (teologo della liberazione, consigliere personale del presidente brasiliano Lula) Se Kerry vincerà, spero che porti avanti una politica un po? più sensata di quella di Bush. Spero che faccia più conferenze per discutere le vie per superare la povertà nel mondo. Povertà e fame nel mondo dovranno diventare delle gravi violazioni dei diritti umani. Spero che Kerry ci aiuti in questo. Pascal Boniface (direttore dell?Institut de relations internationales et stratégiques di Parigi) Cambierà poco. Ci sarà più multilateralismo, più aperture degli Usa verso l?Europa, più negoziati. Ma la politica statunitense non cambierà totalmente, e molto presto arriveranno molto presto delle incomprensioni. Sul Medio Oriente non cambierà nulla, e questo sarà il punto centrale che farà comprendere anche agli europei che con Kerry i cambiamenti saranno solo marginali. Paul Singer (ministro brasiliano per l?economia sociale) Kerry è più liberale, e ha puntato sugli elettori di centro. Ma non sono molto convinto che, in caso di una sua vittoria, ci saranno cambiamenti sostanziali nella politica statunitense. Eppoi il profilo basso e il disimpegno di Bush verso il Sud America non è stato male per noi?


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