Formazione

La pigiama terapia

La trascrizione completa del laboratorio di Daniele Segre con gli operatori di Terni.

di Daniele Segre

Terni, settembre 2004

Sono appena arrivato in macchina da Torino e mi sono già sistemato in albergo, è la terza volta che ritorno a Terni per un laboratorio di ?Cinema utile? avviato nell?estate 2004, organizzato dal Ce.S.Vol della provincia di Terni e dall?Assessorato Pubblica Istruzione del Comune di Terni, che si è svolto in un centro diurno psichiatrico (ASL 4 di Terni ? Dipartimento Salute Mentale) con un gruppo di 20 persone tra operatori, infermieri e utenti.
Da domani, per tre giorni, faremo il montaggio dei materiali filmati realizzati durante il laboratorio; la fase delle riprese è stata sicuramente il momento più intenso ed emozionante dell?esperienza: ho proposto a tutti i partecipanti di presentarsi il primo giorno in pigiama e camicia da notte, e quando sono arrivato il primo giorno ho trovato sul marciapiede del centro diurno persone ?impigiamate? che con perplessità, timore, imbarazzo e felicità infantile mi stavano aspettando; quello che poi è successo nei giorni delle riprese è stata l?attivazione in ognuno dei partecipanti di un percorso sull?identità e sulla memoria, attraverso lo stimolo del costume di scena che è cambiato altre due volte (vestito da cerimonia, casual), con lavoro individuale e di gruppo nel quale si sono messe in scena situazioni ispirate da temi quali la felicità, la rabbia, la tenerezza, la tristezza, il dolore, la paura?
Sono stati giorni molto intensi emotivamente e hanno permesso ad ognuno dei partecipanti di ?prendere possesso? della propria persona, del proprio ?personaggio? con la disponibilità di sapersi guardare e mettersi in discussione, mettersi in gioco. I momenti che mi hanno più colpito e mi hanno fatto capire il senso di quello che, grazie al cinema, stavo vivendo sono stati la felicità, lo stupore e la commozione degli operatori nello scoprire con grande loro sorpresa che il laboratorio permetteva agli utenti, ma anche a loro, di esprimere cose mai espresse sulla loro condizione di ?felicità? e ?infelicità?.
Per alcuni operatori l?esperienza non sempre è stata facile per lo più per problemi legati alla non accettazione della propria immagine, questo comunque non ha precluso la loro la partecipazione al lavoro di gruppo, anzi proprio grazie a questi limiti il lavoro di conoscenza tra le persone è migliorato ed ha stimolato nuove idee e nuove forme di comunicazione.
Domani dalle 9.30 si riprende tutti insieme per questi ultimi tre giorni di lavoro compresa la proiezione di rito al termine del laboratorio; da domani vivrò questa esperienza anche in qualità di inviato di Vita, vi riporterò quello che succederà e spero così, raccontandovi dall?interno, di poter farvi vivere una bella e intensa esperienza di vita.

Lunedì, martedì, mercoledì???

Incontro il gruppo e mi viene consegnato il compito ?delle vacanze? cioè tutta la schedatura del materiale girato e la scelta delle sequenze da tenere in considerazione per il montaggio, sono stati composti 4 gruppi di lavoro ?misti? tra operatori, infermieri e utenti?
Il tempo è molto poco e quindi prevale immediatamente la curiosità della visione del materiale scelto per capire come costruire il senso dell?esperienza che emotivamente è stata molto intensa per tutti ?, si stabilisce che il filo conduttore del racconto sarà suddiviso per ?quadri? definiti dal costume indossato durante le riprese e che possibilmente si deve trovare un equilibrio narrativo che cerchi di superare le differenti condizioni dei protagonisti, per poter comunicare allo spettatore la condizione di ?pari dignità? che è stata alla base dell?esperienza.

Incominciano a scorrere alcune sequenze?

Rita: Io pensavo di vergognarmi, ma una volta che ci siamo spogliati tutti quanti insieme, abbiamo messo le camicie da notte, abbiamo fatto la sfilata?la vergogna mi è passata. Pensavo di vergognarmi perché lo spogliarmi qui e mettermi in camicia da notte davanti a tutti quanti, mi dava un po?, pensavo, un po? di ansia.
Dico: ?boh come mi troverò??. Ho tanta confidenza con loro, tutti, però certo in camicia da notte non ci siamo messi mai, anche perché non abbiamo mai fatto insieme una gita, non siamo mai stati di notte insieme da qualche parte. Il pigiama è una cosa privata personale.

Carolina: Adesso non mi vergogno, era più il pensiero che mi imbarazzava, forse perché comunque uno si trova a condividere con persone che vede quotidianamente, con cui magari non ha mai condiviso, appunto, un?intimità anche di un abbigliamento come il pigiama. Che poi è un abbigliamento che uno usa a casa, di solito, quando sta in famiglia. Però adesso no, quando ci siamo messi tutti in pigiama devo dire che è stato anche divertente.

Antonietta canta ?Amado mio? in camicia da notte con tutto il gruppo che in
girotondo l?accompagna:

?Amado mio stanotte o mai mi bacerai, ti bacerò,
amado mio in questo incanto parliam soltanto del nostro amor?

Nello studio dove stiamo lavorando al montaggio è un via vai molto affettuoso e curioso di tutti i partecipanti all?esperienza, ci sarebbe voglia di prolungare i saluti, le chiacchierate, le confidenze, ma il poco tempo a disposizione ci impone un ritmo di lavoro quasi senza pausa e si segue la visione e la scelta dei brani da inserire nel filmato in costruzione:

Francesco: Vedevo tutte maschere, cioè una maschera dopo l?altra che si toglievano e non riuscivo mai a vedere il volto di una persona insomma mi succedeva di vedere le persone, tipo un vero incubo, che si trasformassero in lupi.

Carolina: Fare un numero di telefono che io conosco a memoria, e non riesco mai a finirlo o magari lo faccio bene, ogni volta che lo provo dico: ?stavolta devo farlo bene fino in fondo? manca solo l?ultima cifra e poi lo sbaglio sempre, automaticamente.
E poi mi sveglio sempre prima di riuscire a fare il numero.

Viviana: Molto spesso mi trovo a fare dei sogni in cui sono incazzata e dove dico poi quello che penso e lo dico alla persona con cui sto parlando, molto spesso però la reazione della persona è l?indifferenza totale, e è proprio quella che alla fine mi da fastidio è proprio quella che nella vita quotidiana mi da fastidio è l?indifferenza delle persone e quindi durante la notte spesso sogno di affrontarla questa indifferenza, però poi non trovo soluzione se non sfogo solo la mia rabbia.

Andrea: Sono separato dal suolo soltanto di pochi metri e non so come sono riuscito a staccarmi dal suolo e non riesco neanche ad atterrare quindi continuo questo volo che non è una sensazione né di angoscia né però troppo piacevole e poi mi sveglio e non c?è mai una fine?

Antonietta: Nel sogno vedo l?acqua e l?acqua dice che porta male infatti è vero ogni volta che sogno e vedo l?acqua la notte mi sento molto male molto, un?angoscia dentro che non resisto e le volte che non mi vede nessuno mi metto a piangere da sola su in camera.

Gli occhi diventano lucidi e emozionati nel rivedersi così come sono, come loro si conoscono davanti ad una telecamera a raccontarsi:

Francesco: Con la realtà, ho un rapporto un po? di contrasto perché a volte diciamo sono un po? sognatore, un po? con la testa fra le nuvole, insomma così, un po? cioè trascuro un po? certi rapporti, certi passaggi con il reale, diciamo certi agganci con il reale, con quello che mi circonda, con quello che mi dovrebbe dare sicurezza, qualche volta invece non me la da, per cui allora mi rifugio, in un posto diciamo che è un po? alternativo rispetto a quello che io chiamo realtà che è poi tutto quello che accade tutti i giorni insomma, cioè non so andare da una parte dall?altra, insomma, vivere la vita di tutti i giorni.

Umbra: Lei mi faceva arrabbiare e mi offendeva nel profondo che io ci rimanevo sempre male. E poi magari uscivo e gli compravo i fiori, però non è che a volte se li meritava, perché mi faceva lavorare tanto. E io stavo sempre impicciata e non stavo mai libera.
Un giorno il figliolo glielo ha detto: ?ma mamma lo vedi che la fai lavorare tanto? e lei gli ha risposto: ?tu zitto, fatti gli affari tuoi!?

Antonietta: Quando stavo tanto male, quando avevo le mie paure, sono stata tanto male; a letto stavo e camminavo e vedevo sempre l?acqua giù sui piedi, questo non è un sogno è realtà: l?acqua giù sui piedi mi sentivo quando stavo molto male perché so? stata ricoverata a Rieti, ho fatto gli elettroshock, ne ho fatti parecchi, dieci?

Umbra: Io il Marco Polo l?ho scoperto tramite il SIM, dove ero in cura dove sono perché ho avuto un forte esaurimento nervoso e quindi sono dovuta andare dallo psichiatra che mi ha detto: ?Ci sarebbe un posticino dove andare, ci vorresti andare … se tu ci vai ti sentirai meglio?, infatti così è stato, un giorno ho deciso sono venuta, mi ha accompagnato la mia infermiera e sono venuta qui, e adesso mi trovo bene, molto bene.

Rossella: (sul tavolo viene posata una caramella) Ah! Questa me la mangio! (risate). Questi sono uno dei piaceri della vita cappuccini, pizzette, caffè, niente pasticche, non è un piacere nella vita prendere pasticche antidepressive e le faccende non sono un piacere nella vita bisognerebbe non farle. Bisognerebbe vivere, ecco, forse giorno per giorno bisognerebbe vivere.

Viviana: Sono emozionata, non perché c?ho vergogna, sono emozionata per tutto quello che ho sentito.
Segre (v.f.c.): te l?aspettavi?
Si me l?aspettavo, però che ne so? queste situazioni così mettono un po? a nudo
Segre (v.f.c.): Mettono a nudo cosa?
La persona che c?è in ognuno di noi, e quindi, cioè? anche se tu ti conosci però poi non ti conosci mai fino in fondo.
Quindi queste sono situazioni che comunque aprono?

Nel pomeriggio durante una pausa emergono alcune considerazioni alla luce dei materiali che piano piano incominciano ad aggregarsi:

Rita D. (infermiera psichiatrica): Prima c?è l?immagine dell?incubo (scena di gruppo) e poi l?intervista a tutti noi sul letto che raccontiamo gli incubi che abbiamo, è un completamento della situazione.
A me sembrava di stare lì dentro, le stesse sensazioni…

Segre: Come avete vissuto quei giorni?

Rita D.: Non è facile raccontare quei giorni, è stata la prima volta? Quindi un vissuto nuovo, quindi l?emozione di vivere una cosa nuova, in mezzo ad una situazione vecchia?, però questo incontrarsi in pigiama, raccontarsi i sogni, parlare di se stessi in modo così privato,
raccontare dei figli?, cose private in una situazione in cui magari pensi di avere detto tutto, di dare tutto te stesso, di dimostrarti per quello che sei, invece poi ti rendi conto che in quei tre giorni (periodo delle riprese) ti sei mostrato di più?

Rita M. (infermiera psichiatrica): E? come non ci fossero state più barriere, mentre rivedevo queste immagini ho notato che le paure loro erano le paure nostre, in quella situazione avevamo un po? rotto quella che è la separazione, che nonostante uno cerca di non averla, bene o male questa separazione esiste sempre, in quei giorni non c?era più, si è un po? fratturata questa separazione.
Questa è stata una sensazione grossa.

Viviana (operatrice): Io quei giorni li ho vissuti con tanta emozione e il fatto di scoprirsi, di raccontarsi, di stare insieme, di raccontare anche del proprio privato, dei sogni, è stata un?esperienza bella e forte, perché vieni a contatto con le parti delle altre persone che comunque non conosci, e quindi ti confronti e in un certo senso non ti senti comunque solo, vedi che certe cose ce le hanno gli altri come ce l?hai tu e riesci a condividerle?

Segre: Vi ha creato problemi questa pari dignità?

Orietta (operatrice): Rispetto alle paure ci assomigliamo parecchio, forse alcuni di loro (gli utenti) puntualizzavano di più sulla paura della gente, ma poi anche noi ci ritrovavamo nella sofferenza, la malattia, ecco una cosa che ho notato non avendo io figli, per chi ha i figli la preoccupazione di proteggerli.
Io personalmente non ero abituata a mettermi in mostra e mi sono sentita molto a disagio, per noi operatori è stata veramente forte come esperienza?

Andrea (operatore): E? stata una grande possibilità di espressione?, di esprimersi liberamente che va al di là della quotidianità del lavoro, del vivere anche il Centro come si vive tutti i giorni , quindi una cosa completamente diversa che fa bene secondo me , fa bene proprio a se stessi : il fatto di esprimere emozioni e di condividerle con gli altri, perché anche gli altri esprimono le loro emozioni personali, uno si ritrova nell?espressione della propria interiorità?

Orietta (operatrice): Dopo che il materiale filmato è stato selezionato dai gruppi di lavoro ho trascritto al computer tutti i dialoghi che sono stati scelti, e devo dire che poi scrivendo mi sono impressionata ancora di più per quello che era stato detto, i discorsi di alcuni pazienti sono stati, per me, impressionanti per quello che sono stati in grado di tirare fuori, molto forte come emozione.

Segre: Secondo voi a cosa è servita questa esperienza?

Rita. D: Sicuramente il fatto di averli visti noi, e loro aver visto noi in questa maniera? Noi abbiamo scoperto delle cose che nonostante gli anni che stavamo insieme non conoscevamo. E? questa è stata una scoperta, per me è un pensare che ogni volta uno potrebbe andare ancora più a fondo nella conoscenza più diretta sia nostra che loro.
Quello che mi ha lasciato questa esperienza, che nonostante pensassi, sempre, che il rapporto fra noi e loro?, di riconoscerli sempre come persone, il discorso di pari dignità che sono come noi; questa esperienza m?ha dimostrato che questa parità non è scontata, spesso succede che magari ci troviamo a essere ?impositivi? anche quando non ce ne bisogno, questo mi ha rimesso un po? in discussione, mi ha fatto rivedere il rapporto con loro, un po? rimettere le cose a posto, ricominciare con un entusiasmo diverso, un vedere le cose e dire: ?Va beh, su questa cosa mi sbaglio, su questa cosa mi sono lasciata andare e non ho più considerato il resto??

Viviana: Questa esperienza ci dovrebbe servire come strumento per rimanere sullo stesso piano; come dice Rita a volte ci sono degli atteggiamenti che per il ruolo che hai nel Centro sei quasi obbligata a tenere, se riguardi questa esperienza ti rendi conto che ci sta una comunicazione diversa rispetto al quotidiano, occorrerebbe tenere sempre presente che ci sta una comunicazione del genere?

Le immagini e le parole riprendono a scorrere nel monitor, ecco i girotondi delle paure e dei bisogni:

Antonietta: Ho paura di sentirmi sola, ho paura del mondo che è molto cattivo, ho paura delle gente che mi vogliono male, ho paura di andare sola nella notte, ho paura dei sogni brutti

Michela: Ho paura del buio, ho paura di quelli che mi stanno intorno, ho paura della guerra, ho paura di tutto

Francesco: Ho paura che crolli il mondo, ho paura della notte, ho paura della gente che mi vuole male, ho paura di fare brutti sogni, ho paura di non essere realizzato, ho paura di non capire bene gli altri, ho paura di non essere bene qua al mondo, ho paura di? qualche volta di me stesso, ho paura un po? di tutto

Rita D.: Ho paura dei potenti, ho paura delle dittature, ho paura dell?arroganza della gente, ho paura dell?arroganza e della stupidità della gente, ho paura dei terremoti, ho paura della morte e ho paura della sofferenza, ho paura di non essere in grado di aiutare i figli prima di tutto e le persone che c?ho intorno a cui voglio bene

Carolina: Ho paura dei serpenti, ho paura della solitudine, ho paura dell?altezza, ho paura della morte, ho paura della stupidità, della guerra, dell?ignoranza

Lorenzo: Ho paura dell?ignoto, ho paura della morte, ho paura di soffocare, ho paura della violenza, ho paura della guerra, ho paura dei miei lati oscuri, ho paura della vecchiaia, ho paura di non riuscire

Antonietta: Ho bisogno di amore, di amore della gente ,che mi state tutti attorno specialmente qui dentro c?ho tanto bisogno, ho bisogno dell?affetto di mia figlia, ho bisogno di tante cose

Rita D.: Ho bisogno degli altri, ho bisogno di essere rispettata come persona, ho bisogno dell?affetto delle persone che mi stanno vicino, delle persone che mi stanno intorno, ho bisogno di serenità e di tranquillità

Carolina: Ho bisogno di sapere che le persone che amo di più stanno bene, ho bisogno di essere amata, di sentirmi importante per le persone che amo, ho bisogno di tempo, di amore?

Francesco: Ho bisogno degli altri, ho bisogno di essere capito, ho bisogno di qualcuno che mi prenda per mano, ho bisogno dell?affetto degli altri, ho bisogno? di tante cose

Non sembra quasi vero ma i tre giorni di lavoro sono volati e ora siamo qui nella piccola sala di proiezione del Laboratorio Giovani Comunicazione di Terni (Blob.lgc pratiche di evasione) ad attendere la proiezione del filmato che dura c.a. 40? , il titolo che gli abbiamo dato è ?Vestiti di vita? che pensiamo sia il miglior titolo per l?esperienza che è stata vissuta.
Tra sorrisi e silenzi il video scorre e riempie la sala di emozioni che travolgono un po? tutti:

Maria Rita: Mi piace la musica da discoteca, una volta andavo in discoteca, però adesso non ci vado più, certo che ballavo in discoteca, in discoteca dei ragazzi mi scansavano, mi scansavano?

Francesco: A me sarebbe piaciuto continuare gli studi cioè approfondire tutte quelle cose che ho lasciato diciamo nel passato, che non sono riuscito a realizzare e che adesso mi risorgono dal passato, per cui magari mi piacerebbe insomma?però non so se sono ancora sono in tempo per farlo, mi piacerebbe avere una seconda possibilità di fare queste cose che non ho fatto nel passato.

Massimiliano: Io sono un tipo buono, ho anche io i miei momenti di rabbia però poi passano, io sono tranquillo e allegro, con gli altri amici miei qui del Marco Polo, scherziamo, leggiamo insieme, a me piace ? sono un tipo allegro, cordiale.

Nel video Mery che anni fa aveva fatto anche un provino per il festival di Sanremo canta ?Che sarà sarà?, tutti quanti la seguono nel canto, scorrono i titoli di coda, e poi come d?incanto alla fine dei titoli ricompare Mery che conclude la canzone e Antonietta, tra gli applausi di tutto il gruppo, la cinge con un forte e tenero abbraccio. Al termine della proiezione paste e spumante e la grande speranza di poter andare nelle scuole di Terni, tutti insieme, a presentare ?Vestiti di vita? quale ambasciatore di una comunicazione utile per tutti.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.