Mondo

Una viaggio molto speciale per cento studenti romani. Lo scuolabus Roma-Maputo

Walter Veltroni ha portato gli alunni di quattro licei in Mozambico. Per inaugurare una scuola costruita anche grazie a loro. Ma non solo. da Maputo

di Emanuela Citterio

da Maputo

Il clima è quello di una gigantesca gita scolastica. «Però vanno in Mozambico, ti rendi conto?», fa un padre sulla cinquantina a un altro genitore. «Io in gita sono arrivato al massimo fino a Licenza». «Li-cen-za», scandisce. «Sai dov?è Licenza? È la prima uscita sull?autostrada Roma-L?Aquila». Roma-Maputo, andata e ritorno è il nome di un viaggio. Dal 2 al 5 ottobre, cento studenti di quattro licei di Roma hanno seguito il sindaco Walter Veltroni in Mozambico per inaugurare la scuola Roma a Guava, nelle vicinanze di Maputo, costruita in un anno grazie al coinvolgimento dei licei Virgilio, Tasso, Mamiani e Visconti. Ma in gioco c?è di più. Sono loro, gli studenti, i protagonisti di questo viaggio-scommessa fra persone, progetti, volontari italiani e africani, turisti, cantanti, danzatori d?Africa. La partenza. In aereo con Amendola Aeroporto di Fiumicino: l?andata. Arrivano alla spicciolata i cento ragazzi dei quattro licei scelti per andare in Africa con il sindaco Veltroni. Nell?attesa dell?aereo in partenza per Maputo, capitale del Mozambico, c?è chi si organizza. «Che, giochiamo a Macchiavelli?»: pantaloni grigi a vita bassa, grandi tasconi, la ragazza ha una borsa a strisce colorate e due occhi azzurro mare come il maglione che indossa. Di fianco, un compagno di probabile origine indiana e sicuro accento romano. Insomma, la scuola di oggi. Il costo del viaggio aereo per duecento persone – oltre agli studenti, una quarantina di giornalisti più funzionari, ospiti e sostenitori dell?iniziativa – è interamente coperto dagli sponsor, fa sapere il sindaco di Roma. A Maputo, l?alloggio all?Holiday Inn è offerto dal governo mozambicano. Nel gruppo ci sono Daniele Silvestri, Max Gazzè e Claudio Amendola, per il concerto in Praca da Independencia, a Maputo, il 4 ottobre (proprio in questa data, dieci anni fa, la pace mise fine alla guerra civile qui in Mozambico, e gli accordi furono firmati a Roma). Gli studenti non sono scelti a caso. Sono quelli che più degli altri si sono buttati «nel progetto», come dicono loro, insieme all?organizzazione Movimondo e alla cooperativa sociale Armadilla, che operano in Mozambico. Hanno raccolto i fondi per costruire la scuola a Guava, un distretto di 6mila abitanti venuto su in fretta dopo l?alluvione del 2002. Hanno approfondito con gli insegnanti la storia del Mozambico. E poi si sono inventati feste e mille altre iniziative e hanno superato i 32mila euro necessari a costruire la scuola. Alla fine, con l?aggiunta di donazioni private, hanno raccolto 70mila euro. «Siamo qui per fare qualcosa di buono per chi non ha il necessario», spiega Veltroni. «Ma anche per far capire ai ragazzi di Roma cos?è la vita, per aiutarli ad aprire gli occhi su come vive la maggior parte dell?umanità, che non ha accesso alle nostre risorse». La scelta del sindaco è quella di alternare davanti ai ragazzi il volto sofferente e l?energia dell?Africa, i suoi squilibri e la sua capacità di riscatto. Primo giorno. La culla di Bernardo Non è facile, tuttavia, passare dall?Holiday Inn all?orfanotrofio Primeiro de May, una struttura di poche stanze per un massimo di 50 bambini che invece riesce ad accoglierne 154. È la prima tappa della visita in Mozambico, domenica 3 ottobre. Veltroni si sofferma con i ragazzi davanti alle culle di Bernardo e Carlotta, due neonati abbandonati e denutriti che stanno lentamente recuperando le forze. Fuori, nel cortile, è il momento della festa, con i bambini più grandi che coinvolgono gli ospiti nei canti e nella danza. «Qui in Mozambico sarete spesso invitati a ballare», dice Veltroni ai ragazzi. «è un modo per condividere la gioia. Bisogna superare le rigidità e lasciarsi andare». Subito dopo ci si trasferisce a Boane, una trentina di chilometri dalla capitale: qui cinquanta vedove, con il supporto dell?ong italiana Movimondo, hanno costituito una cooperativa che fabbrica mattoni. Così sono riuscite a tirar su le proprie case e, con la vendita dei mattoni, a creare un fondo comune per altri progetti. L?incontro dei ragazzi italiani con l?Africa passa anche attraverso i volontari della Comunità di Sant?Egidio e la visita al progetto Dream per la lotta all?Aids. Francesca, 17 anni, del Visconti, la sera del primo giorno prende il coraggio a due mani e avvicina il sindaco: «Io voglio stare qui due mesi la prossima estate, come posso fare?». Secondo giorno. Sfida alla discarica La visita più drammatica è quella all?immensa discarica della capitale. È la tappa cui il sindaco di Roma tiene di più (provocando anche qualche reazione irritata da parte delle autorità locali). Il problema igienico è risolto con sacchetti di plastica ai piedi e mascherine. Così bardati, i ragazzi avanzano nella discarica, una distesa di cui non si riesce a vedere la fine, che qui a Maputo per diverse centinaia di persone rappresenta una tragica occasione quotidiana per sopravvivere. Non hanno mascherine, però, i coetanei che guardano dai cumuli di spazzatura, poco lontano. Qui i ragazzi italiani non ricevono sorrisi, solo sguardi feriti e carichi di sfida. «In pochi giorni ho visto il posto più bello e quello più brutto di tutta la mia vita», dice Bernie, del Virgilio, riferendosi all?albergo che ci alloggia e alla discarica di Maputo. Alla fine del viaggio ha soprattutto un aggettivo per descriverlo: «difficile». Un altro momento critico è la partecipazione al concerto in piazza, la sera: i ragazzi italiani sono sotto il palco, divisi da un cordone dai coetanei mozambicani. «Capisco le ragioni di sicurezza, ma quel cordone mi ha fatto star male», dice Serena, 17 anni. Terzo giorno. Cosa farò da grande C?è chi dalle contraddizioni ha già tratto le proprie conclusioni. «è un viaggio che mi ha cambiato e che non dimenticherò mai», dice Carlotta, del Visconti. «Non ho passato il test di medicina, ma sono ancora più convinta di questa scelta. Invece di stare un anno a fare biologia, mi piacerebbe venire in Africa. Comincerò a contattare qualche associazione. Intanto mi piacerebbe fare volontariato a Roma al reparto di oncologia del Bambin Gesù». Nella spiaggia di fronte all?Holiday Inn di Maputo la tensione si stempera con una partita a calcio, improvvisata dai ragazzi. Per una volta ,coetanei italiani e africani giocano ad armi pari. Stravincono gli africani, 7 a 3.

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