Famiglia

Madrid, la goleada delle donazioni

In Spagna la percentuale dei donatori di organi è la più alta al mondo. Anche grazie a una legge che lascia la decisione dell'espianto ai parenti del morto

di Redazione

Con 33,9 donatori per ogni milione di abitanti, la Spagna è il primo Paese al mondo per numero di donazioni di organi. Nel 2000 ci sono stati 1.354 spagnoli, che hanno donato ad altre persone 4.000 organi. Circa 5.000 pazienti sono ancora in attesa di un trapianto per continuare a vivere o per migliorare la loro qualità di vita, secondo i dati ufficiali daella Organización nacional de trasplantes (Ont), l’organismo pubblico, dipendente del Ministero della Sanità, che dal 1989 si occupa della promozione e coordinazione del trapianto di organi. A determinare il record iberico è stata anche la legge che regola questa materia, scritta nel lontano 1979. Essa vieta innanzitutto qualsiasi tipo di compenso economico per il donatore vivo o per i famigliari del donatore morto, assicurando contemporaneamente la gratuità dell’intervento per il trapianto, e stabilisce i requisiti di maggiore età e piene facoltà mentali per il donante vivo. Un decreto, promulgato il 30 dicembre 1999, ha tentato poi di modernizzare e adattare alla realtà medica di questi tempi questa legge, assicurando per esempio la rigorosa riservatezza sull’identità di donatori e riceventi, determinando con precisione le modalità per considerare una persona morta e le procedure che i medici devono eseguire prima dell’espianto degli organi, e stabilendo i principi per la promozione di questo atto di solidarietà. Se vogliamo cercare subito un paragone con gli aspetti controversi che hanno recentemente suscitato la polemica sui trapianti in Italia dobbiamo chiarire che, in Spagna, non esiste il silenzio-assenso. Si considera cioè che un deceduto sia donatore soltanto quando, in vita, egli abbia espresso la volontà di donare. Esiste una tessera di donatore che può aiutare a esprimere questo consenso. Ma che succede quando l’individuo non la porta con sé tra i documenti? Ecco la questione chiave: la legge lascia completa libertà, nel senso che non stabilisce in che modo deve essere espressa la volontà di donare. La giurisprudenza ha finito per accettare come regola che siano i familiari diretti ad essere consultati e a dare la definitiva autorizzazione per l’espianto degli organi. Essi tuttavia non saranno interrogati sul loro desiderio, ma su quella che essi sanno o credono essere la volontà della persona morta. Comunque, è alla famiglia che spetta l’ultima parola. Perfino nel caso di esistenza della tessera di donatore, perché essa non ha nessun vincolo legale e prevede sempre la possibilità di ulteriore ripensamento, fino all’ultimo istante. La tessera può quindi aiutare i familiari a prendere la decisione, ma non è determinante. Qualora i familiari non possano raggiungere l’ospedale in un lasso di tempo compatibile con l’espianto degli organi, possono dare o negare il consenso con un fax spedito da un organismo pubblico (un’ambasciata, una questura…). Se non esistono familiari, decide il magistrato. Recentemente è stata avanzata una proposta di modifica della legge in modo che il presunto consenso del deceduto sia sufficiente per la donazione, senza la necessaria conferma della famiglia, ma tre sondaggi effettuati nel 1991, 1994 e 1999 hanno rivelato che un grande settore della popolazione spagnola vedrebbe questa misura come un «abuso d’autorità o come un’offesa per i familiari». Eppure, tra gli spagnoli gli indici di solidarietà sono i più alti del mondo. Come mai? In un Congresso internazionale su trapianti tenuto lo scorso agosto i massimi esperti si sono detti concordi su quattro fattori fondamentali: primo, l’efficacia delle campagne di comunicazione rivolte a creare una coscienza sociale e individuale sulla necessità degli organi per i trapianti; secondo, il continuo monitoraggio e controllo delle attività di espianto; terzo, il fatto che gli interventi e il trattamento medico successivo siano completamento gratuiti; da ultimo, la concessione di incentivi finanziari ai centri trapianti. Forse è il primo il fattore più determinante. Negli anni ’90 infatti si sono realizzate potentissime campagne di comunicazione su tutti i media, spesso attraverso storie reali raccontate da trapiantati o da parenti di donatori, che hanno fatto diventare il tema della donazione un argomento di conversazione quotidiana. Nonostante queste cifre l’Ont non è del tutto soddisfatta: il 22% dei famigliari ha infatti negato il consenso alla donazione nel 2000, e ciò ha portato alla perdita di mille organi utili. Non sono motivi religiosi quelli che spingono a negare l’autorità: un terzo di chi rifiuta sostiene di farlo perché sospetta «irregolarità nella distribuzione degli organi». Un altro terzo dubita che il familiare «sia veramente o totalmente morto» e il 13% crede che il corpo della vittima «potrebbe rimanere sfigurato». Le 418 famiglie su 1893 che hanno rifiutato non sembrano tante, ma possono cambiare, e molto, questo triste dato: il 7% dei pazienti in attesa d’un organo muore ogni anno per non aver trovato un donatore. Anche il cinema serve alla causa In Tutto su mia madre, il suo capolavoro, il più grande regista spagnolo ha dato grande spazio al tema dei trapianti. Famoso il dialogo di Manuela, la protagonista, coordinatrice della sezione trapianti in un ospedale di Madrid, che si esercita in una simulazione con due colleghi, a convincere i parenti a donare gli organi della vittima. Ecco il dialogo più famoso. «Suo marito è morto, signora» «Non può essere, l’ho appena lasciato in terapia intensiva, pareva respirare!» «Le abbiamo già spiegato, signora. Sono le macchine che lo stanno ossigenando. Desidera che avvertiamo qualche suo familiare?» «Non ho famiglia, solo mio figlio. Dio, come farò a dirglielo?» «Da vivo suo marito le ha mai detto qualcosa sulla donazione di organi? Si preoccupava di queste questioni?» «Da vivo mio marito si preoccupava solo di vivere» “Bene, però suppongo che fosse solidale con la vita degli altri» «Non capisco» «Quello che il mio collega vuole dirle è che gli organi di suo marito possono salvare la vita a dei malati. Ma ci occorre la sua autorizzazione per questo» «Ossia per potergli fare un trapianto?» «Non esattamente. Il contrario, piuttosto»


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