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Carlo Alfredo Clerici, pioniere del legame tra spiritualità e cura
È impossibile non richiamare l’insegnamento di Abraham Joshua Heschel pensando alla vita e all’opera di Carlo Alfredo Clerici, uomo e studioso di straordinaria apertura intellettuale. La sua scomparsa lascia un vuoto profondo nel panorama della ricerca psicologica e medica
di Marco Dotti
«La curiosità, non il dubbio, è il fondamento di ogni conoscenza». È impossibile non richiamare l’insegnamento di Abraham Joshua Heschel pensando alla vita e all’opera di Carlo Alfredo Clerici, uomo e studioso di straordinaria apertura intellettuale. La sua scomparsa lascia un vuoto davvero profondo nel panorama della ricerca psicologica e medica, in particolare nello studio del rapporto tra spiritualità e cura.
Psichiatra, psicologo clinico e ricercatore all’Università degli Studi di Milano, impegnato presso la Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, Clerici ha unito il rigore scientifico a una sensibilità attenta. Il suo contributo è stato fondamentale nella comprensione del ruolo che la dimensione spirituale svolge nei percorsi di guarigione e nell’elaborazione della malattia, specialmente nei bambini, negli adolescenti e nei giovani adulti malati di tumore.
La sua curiosità andava ben oltre i confini del suo campo di specializzazione e lambiva un eclettismo praticato sempre con gioia e autoironia. Dalla storia della magia alla storia militare, dal rapporto tra fede e benessere psicologico all’uso dell’intelligenza artificiale in ambito clinico – tutti settori cui ha dedicato energia e passione. Clerici che non si preoccupava di tracciare confini disciplinari, ponendoli costantemente in discussione.
Se c’è una parola che contraddistingueva questo straordinario studioso cinquantacinquenne scomparso ieri dopo una lunga malattia, è, appunto, curiosità. La parola “curiosità” deriva dal latino curiosus, che significa «attento, premuroso, diligente», e si lega etimologicamente a cura, ovvero «sollecitudine, preoccupazione, interesse».
La sua ricerca si è concentrata sull’impatto psicologico della malattia, con particolare attenzione ai pazienti oncologici e alle loro famiglie. Ha dimostrato come la spiritualità possa costituire una risorsa essenziale nei momenti di maggiore vulnerabilità, offrendo sostegno emotivo e facilitando l’adattamento alla malattia. Ma il suo lavoro non si è mai limitato alla teoria: è stato uomo di campo, profondamente radicato nella realtà clinica. Per questo Clerici ha incarnato nell’accezione più profonda il termine curiosità: un’attenzione instancabile verso l’essere umano e le sua fragilità. Con una preoccupazione in più (da qui il suo interesse per temi come l’illusionismo e la magia): la voglia di reincantare il mondo. Partendo da un ambiente, quello oncologico ospedaliero, dove tutto fuorché un reincanto sembrava impossibile. Eppure…
In un libro pubblicato per Il Mulino dieci anni fa, scritto con Laura Veneroni (Psicologia clinica in ospedale), evidenziava un problema ancora attuale: «Purtroppo, è consuetudine che tanti sforzi di studio nel campo della psicologia, dalla tesi di laurea fino alle pubblicazioni accademiche, non siano connessi con la realtà clinica dell’ospedale». Per un buon lavoro clinico, sosteneva, «serve una dimensione teorica seria e realistica, basata sulla realtà dei fenomeni». La cura ospedaliera non può basarsi su modelli dogmatici: «Ogni teoria deve essere inoltre in accordo con le contingenze storiche e il contesto».
Il tratto distintivo del suo lavoro è stata la capacità di connettere saperi apparentemente distanti – psicologia, medicina, filosofia, scienze sociali – in un dialogo interdisciplinare profondo e fecondo. Non una dispersione del sapere, ma un’intelligente contaminazione tra discipline, essenziale per comprendere la sofferenza umana e i percorsi di cura. Parallelamente, Clerici ha indagato il potenziale delle nuove tecnologie nel supporto ai professionisti della salute, studiando come l’intelligenza artificiale possa migliorare diagnosi, trattamenti e accompagnamento dei pazienti, senza mai perdere di vista la dimensione umana della cura.
La sua attività accademica e clinica ha dato voce a un cambiamento culturale di cui il nostro Paese avrebbe davvero bisogno, sensibilizzando istituzioni e professionisti sulla necessità di un approccio integrale alla medicina. Il tutto in un tempo in cui, tra affanni e problemi, la domanda centrale della medicina sembra sempre più elusa. Ed è una domanda radicale di senso.
Nel 1964, l’American Medical Association invitò Abraham Joshua Heschel a parlare alla sua riunione annuale in un programma intitolato Il paziente come persona. In quell’occasione, il rabbino affermò: «L’ammirazione per la scienza medica sta aumentando, il rispetto per i suoi praticanti sta diminuendo. Il deprezzamento dell’immagine del medico è destinato a diffondere il disincanto e a ripercuotersi sullo stato della medicina stessa». Il riferimento di Heschel al disincanto richiama il pensiero di Max Weber, che nel 1917, nel suo celebre La scienza come vocazione, descriveva il mondo moderno come disincantato dal progresso del razionalismo.
Ma per Heschel, il disincanto non era un destino ineluttabile, bensì il risultato delle scelte dei medici: l’inseguimento del successo mondano e del confort materiale li aveva allontanati dalla loro vocazione più autentica. Tuttavia, proprio perché testimoni della vulnerabilità umana, i medici, insegnava Heschel, avrebbero il dovere di sviluppare la propria dimensione interiore e di reincantare la medicina, trasformandola in un motore di cambiamento per la società intera. «Il medico – scriveva Heschel – deve rendersi conto della suprema nobiltà della sua vocazione, quella di coltivare il gusto per i piaceri dell’anima […]. Il medico è una fonte importante di energia morale che influisce sulla struttura e sulla sostanza spirituale dell’intera società». Facile a dirsi. Ma per Clerici, questa energia morale non è mai venuta meno. Era il motore della sua curiosità: non semplice desiderio di sapere, ma un’attitudine contagiosa capace di generare cura, vicinanza e ascolto. È questo il suo lascito più grande per noi.
Nella foto: Carlo Alfredo Clerici
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