Idee Migranti

In un mondo interconnesso stiamo globalizzando l’indifferenza verso le persone

Ancora attuale la lezione di Zygmunt Bauman "Educazione globale" del 2015. Il sociologo sperava nel sussulto dell'Europa dopo la tragedia di Lampedusa del 2013. Oltre dieci anni dopo però passi avanti verso una visione cosmopolita e inclusiva dei migranti non ci sono stati. Anzi si è andati indietro

di Doriano Zurlo

Il sovranismo nasce nel 1648, a Westfalia, con la famosa firma dei trattati che misero fine alla guerra dei trent’anni, una guerra che causò, secondo l’accademico e germanista Nikolao Merker, ben 12 milioni di morti nell’Europa centrale.

La guerra dei trent’anni…

Uccisioni di massa, distruzione di centri abitati, devastazione delle campagne, carestie, epidemie, attività belliche feroci eseguite da mercenari dediti allo stupro e al saccheggio… la guerra dei trent’anni non ha nulla da invidiare alle guerre che si combattono oggi nelle periferie del mondo. Era scoppiata per la contrapposizione violenta tra protestanti e cattolici in quello che rimaneva del Sacro Romano Impero, ma ben presto coinvolse le maggiori potenze europee, interessate a ridefinire confini, a spartirsi zone d’influenza, a riequilibrare l’annosa rivalità franco-asburgica.

Al Westfalia nacque il sovranismo

Perché Zygmunt Bauman (1925-2017), il famoso sociologo inventore della “società liquida”, dice che il sovranismo nacque allora? Alcuni Stati nazionali c’erano già. L’idea di un mondo cristiano guidato da un solo potere temporale e un solo potere spirituale andava disgregandosi ormai da secoli.

I trattati di Westfalia però introdussero una novità: il divieto di ingerenza di uno Stato negli affari di un altro Stato. È un principio nuovo, che pone le basi della diplomazia moderna. Bauman, in una lezione intitolata “Educazione globale” (tenuta al Festival di Filosofia di Modena nel 2015), spiega che i popoli europei erano alla ricerca di una specie di formula magica che mettesse fine alle violenze e permettesse il ritorno alla pace. E la formula trovata, secondo il sociologo, si può riassumere in questo semplice programma: “separiamoci”. Ovvero: chi comanda su un certo territorio ha il diritto di decidere quale “lingua” si parlerà in quel territorio, intendendo per lingua molte cose: religione, usi, costumi, leggi, tradizioni, eccetera. Ma la “lingua” che viene parlata in un altro territorio non è più affar suo. La separazione delle “lingue” e il divieto di ingerenza avrebbero garantito la pace.

Confini, la pace a partire dalla separazione

È un riassunto grossolano. L’idea di fondo però è chiara: i confini – queste linee pur sempre immaginarie, anche quando favorite dalle conformazioni geografiche – diventano il criterio di una civiltà che garantisce la pace a partire dalla separazione, e non dall’incontro.

Sappiamo che tutto questo non ha funzionato tanto bene, visto che le prime due guerre mondiali sono nate in Europa. Ma quello che più preme a Bauman è spiegare come questa soluzione, questa formula magica – che oggi chiamiamo sovranismo e che non appartiene ad alcun ordo naturalis – sia ormai totalmente inadeguata. Perché oggi, spiega il sociologo, viviamo immersi in un contesto cosmopolita, e il problema è, semmai, che non abbiamo ancora elaborato un pensiero coerentemente cosmopolita.

Dipendiamo gli uni dagli altri

Siamo rimasti a Westfalia. Eppure: «Tutti quanti noi, adesso, non ci possiamo separare. La separazione è impossibile. Tutti quanti noi dipendiamo gli uni dagli altri. Ciò che succede anche in qualche posto remoto, lontano da noi, ha una ripercussione, un impatto tremendo su tutti quelli che sono i nostri futuri personali attuali, di noi e dei nostri figli e dei nostri nipoti. Noi non possiamo fare niente contro questo fenomeno, quindi la capacità che i nostri figli hanno, per esempio, di poter trovare un buon posto di lavoro, magari proprio qui, nel luogo in cui vorrebbero vivere, dipende adesso da ciò che sta succedendo proprio in questo momento in Africa, in Cina, in Bangladesh e in diversi altri Paesi. Ovunque mettete il vostro dito sulla cartina del mondo c’è qualcosa che sta accadendo lì che ha un impatto, una sorta di influsso diretto o indiretto, visibile o invisibile, con la nostra situazione. Siamo già all’interno di questa situazione cosmopolita e questo, almeno in teoria, dovrebbe generare quelle che sono delle istituzioni politiche globali, che però non abbiamo».

Non ci salverà l’Internet

Va senza dirlo che il rimedio avrebbe dovuto essere l’Internet. Ma Bauman già allora – nove anni fa, un’intera era geologica di questi tempi – affermava che stiamo riponendo troppa fiducia nella tecnologia; noi speriamo che sia la rete a salvarci, a unire i popoli, creando quella sovrastruttura globale e democratica che sarà in grado di saldare armonicamente le irreversibili interconnessioni del mondo.

Ma è una speranza mal posta, perché la rete è un luogo dove ci si rinchiude ancora di più in piccole enclavi che la pensano allo stesso modo, e dove l’altro, il diverso da noi, viene eliminato con un click. La rete ci porta verso un mondo separato non per nazioni, ma addirittura per singoli individui. Chissà cosa avrebbe detto Bauman oggi, se fosse ancora vivo, a vedere i plurimiliardari possessori degli algoritmi più potenti del pianeta… tutti alla corte di Trump.

2013, il naufragio di Lampedusa

La lezione, che vi invito ad ascoltare (è facilmente reperibile sotto forma di podcast), si conclude con il ricordo di un fatto tragico avvenuto due anni prima, nel 2013, conosciuto come il naufragio di Lampedusa. Una barca stracolma di migranti si rovesciò a mezzo miglio dall’isola, provocando la morte accertata di 368 persone.

Bauman, che poi citerà, commosso, le parole di papa Francesco pronunciate proprio a Lampedusa, racconta il fatto così: «Due anni fa c’è stata una catastrofe. I profughi volevano arrivare e hanno pagato un sacco di denaro a questi scafisti… gli scafisti si sono arricchiti a scapito di queste persone che erano a bordo di una grossa nave che si è rovesciata e diverse centinaia di loro sono affogati… lì c’è stato una sorta di risveglio, un campanello d’allarme che è suonato forte in Europa; gli stranieri infatti non erano più dall’altra parte del confine, ma c’erano degli esseri umani. Ci si è resi conto che c’erano persone, persone come noi, all’interno di quella nave, in quelle stive, oppure in fondo al mare; c’erano dei padri, delle madri, che si stavano occupando dei loro figli, dei loro bambini; persone che cercano di fare esattamente ciò che i nostri bisnonni e trisnonni hanno provato a fare anche loro: andare là dove c’è una possibilità di vivere in modo decente, dove poter avere un pezzo di pane e poter bere dell’acqua potabile e magari, speriamo per loro, qualcosa di più di un pezzo di pane e di un po’ d’acqua. È stato uno shock morale per l’Europa. Ecco quindi che appaiono questi germi, questi inizi, queste prime radici di una consapevolezza cosmopolita. Lo shock morale però non è durato a lungo. Quello che infatti leggete nei giornali oggi è qualcosa di molto diverso rispetto a quel risveglio. Leggiamo di Paesi che creano muri, che stanno creando delle palizzate, e c’è una sorta di quasi stato di guerra in corso in questo preciso istante tra la Croazia e l’Ungheria; si accusano di non avere rispettato le regole, di non aver rispettato la legge, questo veramente è il punto importante: loro semplicemente cercano di scaricare i loro guai al di là appunto della frontiera e addirittura nel giardino dei vicini. Questa tattica, respingere il problema, buttarlo al di là del confine, pensare che il vicino si possa occupare della patata bollente… ci sta portando molto vicino alle radici vere e proprie del problema (…), che è questo: non c’è un percorso legale affinché i profughi e i richiedenti asilo possano arrivare in Europa».

Tre passi indietro

Possiamo dire senza paura di smentita che, a dieci anni di distanza da queste parole, l’Europa non ha fatto un solo passo avanti nella direzione di questo pensiero cosmopolita, che lo shock morale è più che archiviato – a migliaia hanno continuato a morire nel Mediterraneo – che la globalizzazione dell’indifferenza di cui parlava Papa Francesco sembra un fatto compiuto e irreversibile, che si ostacolano le ong nel Mediterraneo e si riportano a casa aguzzini e torturatori libici a spese dei contribuenti italiani, e che il mondo di passi verso una considerazione più umana dello straniero, del povero, del migrante ne ha fatti tre, ma indietro.

In apertura graffiti a Lampedusa Pa Images /LaPresse

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