Sport sociale

Da violare le regole a farle rispettare: a Modena le persone detenute diventano arbitri

Il Comitato territoriale del Csi di Modena da molti anni lavora all'interno dei penitenziari della zona, utilizzando lo sport come leva per abbattere i pregiudizi e per instaurare un dialogo. Tredici persone detenute sono state anche formate per diventare arbitri di calcio

di Veronica Rossi

foto inviata a Gazzetta di Modena

«Qualunque persona può essere risocializzata, se viene inserita in una situazione appropriata, che miri al recupero e alla formazione, offrendo possibilità diverse a chi spesso è stato destinato solo alla criminalità dall’ambiente di provenienza». Sono tanto forti quanto vere le parole che una persona detenuta ha condiviso con il Comitato territoriale del Csi di Modena poco prima della scarcerazione. Si può dire che lavorare all’interno dei penitenziari attraverso la pratica sportiva sia una missione per l’associazione, che ha una lunga storia in questo campo, che inizia nel 2003, nella sezione femminile della casa circondariale di Sant’Anna di Modena. Poi ha continuato nella sezione maschile dello stesso istituto, per poi entrare anche nelle case di reclusione di Saliceta San Giuliano e Castefranco Emilia.

«Vent’anni di carcere dedicati all’educare attraverso lo sport», dice Emanuela Carta, presidente del comitato territoriale del Csi di Modena, «al pensare l’attività sportiva come strumento di relazione e incontro dell’altro lasciando fuori dal campo i pregiudizi, lavorando sulla condivisione delle regole e sul rispetto dell’avversario, sulla pratica motoria come momento di allentamento delle tensioni e di riattivazione psico-fisica. Lo sport come linguaggio universale e per questo interculturale, fare sport per imparare a gestire le emozioni, anche le più negative, e per insegnare a saper vincere e perdere, per creare un ponte fra l’esterno e l’interno grazie alla disponibilità di tanti volontari, allenatori e società sportive del nostro territorio». Il lavoro del Csi di Modena è stato possibile perché l’associazione si è messa in dialogo e in collaborazione con la polizia penitenziaria, la direzione dell’istituto e l’ufficio educatori, che hanno supportato i percorsi all’interno delle carceri.

Fare sport non vuol dire solo tenersi in forma. Anzi: è un linguaggio universale, che abbatte barriere e crea legami. «Attraverso lo sport, i detenuti e le detenute imparano il valore della collaborazione, del rispetto e della disciplina. In un ambiente come quello carcerario, dove le tensioni sono alte e le relazioni spesso segnate dalla difficoltà, l’attività fisica rappresenta una valvola di sfogo che aiuta a ridurre lo stress e a migliorare il benessere psicofisico», commenta Carta. « Inoltre, lo sport favorisce una crescita personale, permettendo ai partecipanti di sviluppare competenze come la resilienza, la capacità di lavorare in team e di affrontare le sfide con spirito positivo». L’attività motoria è anche un ponte di comunicazione per volontari e operatori che arrivano dall’esterno, per favorire il dialogo, aprendo spazi di confronto.

Col tempo, l’associazione si è resa conto che la pratica motoria non era sufficiente, ma doveva essere arricchita da un percorso culturale e formativo che servisse a rimettere in moto la mente. È così che è nata la “palestra del confronto”: progetti di lettura e scrittura per interrompere l’isolamento del singolo, per accrescerne l a capacità di riflessione, dandogli la possibilità di comprendere il proprio vissuto attraverso le vicende narrati in testi letterari. Tutto questo, aumentando anche la capacità di comprensione del testo in lingua italiana. «In questa palestra atipica sono arrivati anche gli studenti delle scuole di secondo grado di Modena, Istituto Tecnico Fermi, Liceo Sigonio e Istituto Professionale Cattaneo», continua la presidente. «La presenza degli studenti ha favorito ulteriormente la partecipazione delle persone recluse che attraverso il confronto su temi complessi ha permesso loro di attivare una discussione paritaria e di interagire adeguatamente».

Attualmente, l’associazione sta seguendo quattro progetti, due a Modena e due a Castelfranco Emilia, rispettivamente “Il mio campo libero” e “Sportivi: dentro e fuori”. Le attività sono finanziate da Sport e Salute attraverso i bandi Sport di Tutti Carceri 2023 e 2024, nonché dalla Regione Emilia Romagna e dalla Cassa delle Ammende, grazie al progetto “Territori per il reinserimento”. «A Castelfranco Emilia, dal 2023, abbiamo attivato un percorso di formazione per l’acquisizione della qualifica di arbitro di calcio» dice Carta. «I detenuti e internati selezionati per il corso prestano il proprio servizio durante le partite amichevoli mensili all’interno dell’Istituto e in futuro nelle partite dei campionati esterni organizzati dall’associazione. Inoltre, grazie alla convenzione con la Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia, i detenuti in regime di art. 21 hanno l’opportunità di svolgere attività di volontariato in associazione e di partecipare agli eventi e alle manifestazioni sportive organizzate dal Csi, favorendo così una maggiore integrazione con la società civile».

foto inviata a Gazzetta di Modena

Fare gli arbitri non è solo un passatempo: grazie alla recente normativa è diventata una professione: è così che il corso organizzato dal comitato di Modena, in collaborazioen con il Csi nazionale nell’ambito del progetto “Sportivi sempre” è particolarmente importante. Le persone detenute coinvolte – in tutto tredici –hanno ottenuto una qualifica ufficiale riconosciuta. «A settembre 2024, alcuni degli arbitri formati hanno preso parte al raduno generale, un’occasione per confrontarsi con i colleghi esterni e condividere una testimonianza significativa», racconta la presidente. «La riflessione sul rispetto delle regole, fondamentale sia nello sport che nella vita, è stata particolarmente toccante: per coloro che hanno trasgredito, la possibilità di diventare ‘custodi delle regole’ è stata un’importante opportunità di crescita e di riflessione personale, non solo come arbitri, ma anche come persone».

Le attività del Csi all’interno della Casa di reclusione di Castelfranco Emilia sono diventate anche oggetto di una mostra al Laboratorio aperto di Modena, dedicata al progetto “Il mio campo libero”. In esposizione 24 scatti dei fotografi Dante Farricella e Diego Camola, che raccontano l’impegno del comitato a favore delle persone detenute. «Abbiamo cercato di raccontare l’effetto dell’attività sportiva a livello di socializzazione e di benessere di chi è recluso», spiega Farricella, «prendendo come spunto un allenamento e una partita. Abbiamo voluto comunicare l’incontro con le persone, con la squadra. Lo sport ti porta ad aprirti: anche se sei tra quattro mura per quelle due ore sei una persona che si apre al resto del mondo e che si mette in contatto con i compagni in maniera diversa. Sul campo siamo tutti uguali, ci relazioniamo in maniera perfettamente naturale, non nel modo innaturale che si ha di solito a tutti i livelli nella relazione carceraria».

Le foto nell’articolo sono una selezione degli scatti di Dante Farricella e Diego Camola confluiti nella mostra, forniti dagli autori

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.