Cultura

Arci. Beni: “Torniamo in piazza per sinistra e pace”

Parla al'agenzia Apcom (e a Vita nel numero in edicola da domani), il nuovo presidente dell'Arci, che dal 9 al 10 ottobre tiene a Roma il suo congresso

di Ettore Colombo

“Rivendichiamo di essere un soggetto attivo con una nostra autonomia senza che ci venga chiesto di arruolarci in questa o quell’altra forza politica”. Saldo nel rimarcare la scelta politica di fondo (“stare con le forze che lavorano per un’alternativa al governo della destra”), Paolo Beni, successore dello scomparso Tom Benetollo alla guida dell’Arci, ci tiene a sottolineare che il dna dell’associazione (oltre un milione di soci, quasi 5.500 circoli in tutt’Italia) rimane intrecciato innanzitutto a quello della società civile e dei movimenti noglobal e pacifisti. “Veniamo dalle case del popolo – spiega Beni, 50 anni, fiorentino, da sabato prossimo ufficialmente nuovo presidente dell’Arci – siamo nati con gli stessi valori dei giovani di Genova, quei valori che una parte della sinistra non capì subito…”. Ora, però, con la guerra in Iraq e la necessità di “mobilitarsi per il ritiro delle truppe e per la pace”, non è tempo di rancori. E’ tempo di chiedere all’opposizione il “massimo dello sforzo per uno schieramento il più unitario possibile”, di sottolineare che “Prodi è il candidato indiscusso e che è tempo di parlare di contenuti” e di pensare a campagne precise contro le ‘manovre’ del governo Berlusconi. Per esempio le riforme istituzionali: “L’unica strada è il voto popolare – dice Beni – Ma per arrivare al referendum è necessario un lavoro di mobilitazione culturale e ci stiamo pensando. Molto spesso le forze di sinistra hanno considerato queste materie come questioni da addetti ai lavori. Non è così perché questo tipo di riforme sancisce il trionfo di un egoismo secessionista di fronte al quale va organizzato un movimento diffuso di resistenza culturale”. Beni ne ha anche per la Finanziaria del governo Berlusconi. “E’ un elemento di forte preoccupazione per noi – dice il prossimo presidente dell’Arci – siamo dell’idea che questa manovra sia pericolosa, destinata a penalizzare fortemente la spesa sociale, senza salvaguardare i livelli acquisiti del welfare e senza pensare di estenderli alle nuove emergenze, quelle rappresentate dalla precarizzazione del lavoro, per esempio”. Il ragionamento si lega al tema ‘immigrazione’: “No alla Bossi-Fini – dice Beni – l’immigrazione, da un lato, è stata usata strumentalmente dalla destra per giustificare le proprie politiche; dall’altro, è stata trattata con timore dalla sinistra, preoccupata di inseguire gli umori dell’opinione pubblica. E’ il momento di governare l’immigrazione con coraggio, come un fenomeno positivo che significa accoglienza, politiche per l’inserimento, cultura dell’associazionismo, diritto di voto. Come ‘asse portante’ del movimento contro la guerra, l’Arci della presidenza Beni ribadisce la necessità del ritiro delle truppe dall’Iraq come “precondizione affinchè il futuro dell’Iraq torni nelle mani degli iracheni”. Su questo, dice Beni parlando dell’ennesimo dibattito in corso nel centrosinistra, “è un errore avere posizioni ambigue”. Da parte sua, il movimento ha pensato di tornare in pista con una manifestazione organizzata dal comitato Fermiamo la Guerra. “Saremo in piazza a Roma il 30 ottobre – annuncia Beni – per dire no alla guerra, no allo scontro di civiltà” e, vista la coincidenza temporale della firma della Costituzione europea nella capitale, “per chiedere all’Europa di assumere un ruolo forte e attivo per la pace”. Il punto, per Beni, è che “l’opinione pubblica è molto disorientata. C’è il rischio che prevalga un’assuefazione alla guerra e al terrore. L’antidoto è lavorare per rilanciare la promozione della cultura della pace che aiuti a rileggere il quadro internazionale”. Perché “la pace e la sicurezza del mondo occidentale sono profondamente legati alla affermazione della giustizia sociale e al rispetto dei diritti umani in tutte le parti del mondo”. E anche perché, continua Beni, “è tempo di cominciare a distinguere tra terrorismo, da un lato, e resistenza irachena e società civile, dall’altro. Una società civile che non ha voce, stretta com’è tra le truppe che bombardano e i terroristi che fanno stragi”. Quanto al movimento, che di certo oggi non vive la sua fase di massima espansione almeno rispetto al contro-G8 di Genova o alla mobilitazione contro i treni carichi di armi all’inizio del 2003, “è necessario restare uniti, non dividersi su discussioni ideologiche che non hanno senso, continuare la battaglia controcorrente”.


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