Immigrazione

Meloni e l’Europa rispondano sulla “caccia al migrante”

“State trafficking” è un rapporto che denuncia il traffico di migranti alla frontiera tra Tunisia e Libia. Il lavoro è stato presentato anche al Parlamento europeo: «Una ricerca che prova l'esistenza di un ignobile mercato tra autorità libiche e autorità tunisine», dice Leoluca Orlando, parlamentare europeo del gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea. «Tutto questo avviene sotto l'ombrello di accordi con l'Ue»

di Gabriella Debora Giorgione

“State Traffiking” è un rapporto che denuncia la tratta di esseri umani tra la Tunisia e la Libia. È stato scritto da un gruppo di ricercatori e ricercatrici che, per motivi di sicurezza, hanno scelto di restare anonimi. 71 pagine che «restituiscono 30 testimonianze di migranti che sono stati espulsi dalla Tunisia verso la Libia da giugno 2023 a novembre 2024, mettendo in luce un tratto saliente che appare nelle narrazioni: la vendita di esseri umani alla frontiera da parte di apparati di polizia e militari tunisini e l’interconnessione fra questa infrastruttura dei respingimenti e l’industria del sequestro nelle prigioni libiche. In tal senso il rapporto contribuisce a documentare eventi e situazioni che nelle scienze sociali e nel diritto internazionale vengono classificati sotto il termine di “crimini di Stato”», si legge nella presentazione.

Il rapporto è stato presentato anche al Parlamento europeo: «Dopo questa iniziativa», dice Leoluca Orlando, parlamentare europeo del gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea, «con Cecilia Strada ed altri europarlamentari di diversi Paesi stiamo scrivendo ai presidenti della Commissione europea e del Parlamento europeo per una interrogazione con risposta scritta su iniziative europee per bloccare questa sistematica violazione di diritti umani». 

Una ricerca che prova l’esistenza di un ignobile mercato tra autorità libiche e autorità tunisine attraverso una “caccia al migrante” che avviene sotto l’ombrello di accordi con l’Unione Europea che, come è noto, paga il regime di Sayed

Leoluca Orlando, eurodeputato

«La scelta dell’anonimato nasce dal dovere di tutelare la sicurezza e l’incolumità fisica dei colleghi, ma anche dalla volontà di continuare a fare ricerca su un tema che in Tunisia è oggi oggetto di una radicale repressione. Il gruppo ha realizzato il disegno dell’indagine, la raccolta e l’analisi dei materiali, cosi come la supervisione scientifica di tutto il processo», precisa Orlando.
La redazione di State Traffiking ha il sostegno giuridico, cartografico e scientifico di Associazione per gli sudi giuridici sull’immigrazione-Asgi, Border Forensics, un’agenzia che indaga le pratiche di violenza alle frontiere con metodi innovativi di analisi spaziale e visiva e in collaborazione con le comunità di migranti e i gruppi non governativi; On borders, uno spazio plurale e multidisciplinare di osservazione, ricerca e analisi su frontiere, margini ed oltrepassamenti che nasce da una collaborazione ventennale tra storici, sociologi, antropologi, specialisti delle arti visuali, tra accademia e società civile, tra studio e impegno civile con l’obiettivo di affinare metodologie e tecniche di osservazione, di ricerca e di analisi sociale, condividere materiali e analisi comparate.

«Una ricerca fatta con molto scrupolo e che prova l’esistenza di un ignobile mercato tra autorità libiche e autorità tunisine attraverso la caccia al migrante. Attraverso la cattura, il trasporto dalla Tunisia alla Libia, la vendita dei migranti, le torture e poi la uccisione di molti loro in territorio libico. Tutto questo avviene sotto l’ombrello di accordi con l’Unione Europea che, come è noto, paga il regime di Sayed, che certamente è un regime illiberale che non rispetta i diritti umani, e che paga le cosiddette “autorità libiche”, che in realtà sono bande di criminali che alterno violenze ad ruoli istituzionali», continua Orlando.

Palermo: una donna sbarca in barella, sfinita dopo giorni in mare | foto: GDG

Il Rapporto

State Traffiking analizza, attraverso i racconti delle vittime, le diverse fasi che uniscono i respingimenti dalla Tunisia all’economia del sequestro in Libia: 1) l’arresto; 2) il trasporto verso la frontiera tunisino-libica 3) il ruolo dei campi di detenzione dal lato tunisino della frontiera; 4) il passaggio e la vendita a corpi armati libici; 5) la detenzione nelle prigioni libiche sino al pagamento del riscatto e la liberazione.

Sono racconti terribili, ma che esprimono la forza delle vittime di voler far sentire la propria voce. Un’esigenza interiore di testimoniare l’orrore. Perché qualcuno metta fine a questa disumanità.

Come quello della intervistata n. 17: Mi hanno arrestata il 20 agosto 24,
a Sfax sulla strada di Mahdia. Uscivo dal lavoro e tornavo a casa. Stavo aspettando un bus. È passato un veicolo della Garde Nationale e mi hanno caricata senza chiedermi documenti né nulla. Io avevo una carta consolare del Camerun, ma loro l’hanno strappata e mi hanno caricato con violenza nel furgone dove c’erano altre 7 donne che mi hanno detto anche loro di essere state brutalizzate, che gli era stato rubato il telefono e i soldi. Mi hanno messo le mani nelle tasche. Avevo 150 dinari e me li hanno presi, insieme al mio telefono.

Oppure come il racconto di WI: Ci hanno portato alla frontiera. (…) dal lato libico, ci sono i militari che sono lì, per fare gli acquisti. (…) prima di attraversare, i tunisini hanno già chiamato i militari e i cokseurs (intermediari) libici. Quando arrivi ti dividono in gruppi di 10. (…) i libici pagano i tunisini di fronte a noi. (…) Non so perché hanno deciso di fare la vendita, forse per i soldi, non so se il Presidente è al corrente di questo, ma è reale. Abbiamo visto i soldi, li contano di fronte a te e li danno di fronte a te. Le donne costano di più, perché
in Libia le donne servono da oggetti sessuali. Io non so esattamente quanto i libici danno ai tunisini”.

Il rapporto di RR[X], nome del collettivo di ricercatori, si chiude con un «sommario delle violazioni e delle responsabilità in cui Asgi rilegge dal punto di vista del diritto europeo e internazionale l’insieme delle testimonianze raccolte e mette in rilievo il ruolo del finanziamento europeo alle politiche di respingimento ed espulsione in Tunisia. Border Forensics ha realizzato il lavoro cartografico di geo-localizzazione, On Borders ha contribuito all’analisi delle testimonianze», si legge nell’introduzione.

Il governo Meloni non può ostacolare la ricerca della verità sul caso Almasri: dunque risponda politicamente del comportamento tenuto sottraendo all’arresto disposto dal Tribunale internazionale penale di un torturatore di migranti

Leoluca Orlando, europarlamentare

«Tutto questo evidentemente era noto, ma adesso è provato con la voce, con gli occhi, con lo sguardo di chi è vittima di questo ignobile mercato. Per questo chiediamo l’immediata sospensione degli accordi tra l’Italia, l’Unione europea, la Tunisia e la Libia. Chiediamo anche a Dubravka Šuica, Commissaria europea per il Mediterraneo, di recarsi, così come ha promesso, con una delegazione anche di parlamentari in Tunisia per verificare e monitorare quello che sta accadendo anche con soldi europei, ricordando che in queste ore in Italia stiamo vivendo la vicenda di Almasri.
Il Governo Meloni non può ostacolare la ricerca della verità sul caso Almasri, il torturatore libico rilasciato e rimpatriato con un volo di Stato. I fondi europei non possono finanziare il traffico di esseri umani, schiavitù e torture. Dunque, Meloni risponda politicamente del comportamento tenuto sottraendo all’arresto disposto dal Tribunale internazionale penale di un torturatore di migranti, il generale Almasri. È necessario che la Commissione Europea apra gli occhi e smetta la propria partecipazione a questo ignobile modo di trattare il tema della migrazione», conclude Leoluca Orlando

foto copertina: Palermo, sbarco migranti | foto GDG

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