Raccolta fondi
Sorpresa, dopo il “pandoro gate” il corporate fundraising è cresciuto
Nel giorno in cui arriva la notizia che Chiara Ferragni è stata citata a giudizio per truffa aggravata, siamo andati a vedere che cosa è successo in questi dodici mesi nelle relazioni fra imprese e non profit. Un'anticipazione del X Italy Giving Report di VITA
Nessun effetto domino, anzi. Nel giorno in cui arriva la notizia che Chiara Ferragni è stata citata a giudizio per truffa aggravata, per la doppia vicenda del pandoro Pink Christmas di Balocco per l’ospedale Regina Margherita di Torino e delle uova di cioccolato commercializzate da Dolci Preziosi per I bambini delle fate, il non profit smentisce i timori che aleggiavano un anno fa e racconta di un corporate fundraising non solo cresciuto nelle sue dimensioni quantitative, ma soprattutto di relazioni più solide e consapevoli con le aziende. È uno dei focus del X Italy Giving Report di VITA, che uscirà settimana prossima all’interno del numero di febbraio del magazine.
A fine 2023, quando la vicenda Ferragni esplose, il grande timore che serpeggiava fra le organizzazioni era quello che le imprese – sulla scia dell’evidente e clamoroso crollo reputazionale che una raccolta fondi non limpida poteva generare – per un po’ si sarebbero tenute alla larga dall’idea di mettere il proprio brand accanto a quello di una non profit. Nulla di più sbagliato.
Nell’anno post pandoro gate, le aziende non solo non si sono tirate indietro, ma hanno accresciuto il loro impegno: cinque grandi organizzazioni (Save the Children, Aism, Cesvi, Dynamo Camp e Lega del Filo d’Oro) raccontano a Nicola Varcasia di una crescita nel corporate fundraising nel corso del 2024, quasi per tutte addirittura a doppia cifra.
Alla crescita del giving si aggiunge un’altra bella novità: se prima era il Terzo settore a caldeggiare la necessità di comunicazioni chiare e trasparenti, che evitassero come la peste frasi generiche che parlassero di “donazioni” di “parte del ricavato” ora questa richiesta parte proprio dalle aziende, che hanno compreso quanto la generosità degli italiani sia cosa seria e da trattare con rispetto e delicatezza. Lo scriveva d’altronde qualche settimana fa Valerio Melandri, che a onor del vero nemmeno “a caldo” prevedeva un contraccolpo negativo sulla raccolta fondi per via del pandoro gate. «Dire “parte del ricavato” è vago e, in realtà, rischia di minare la fiducia, lasciando tutto all’immaginazione. Senza una cifra precisa, quel “parte” suona incerto e poco professionale. E questo è un errore che abbiamo già visto fare, anche a grandi brand e personaggi famosi». Qualcosa è cambiato.
Lo tsunami che non c’è stato
Al di là di queste cinque organizzazioni, che evidentemente sono un campione piccolo ma significativo, già il rapporto Noi doniamo dell’Istituto Italiano della Donazione, pubblicato a settembre, mostrava dati rassicuranti. A giugno 2024 infatti solo il 5% delle organizzazioni non profit dichiarava che il “pandoro gate” aveva avuto conseguenze negative sulla propria raccolta fondi. Più di tre su quattro affermano al contrario che il caso Ferragni non ha lasciato tracce. Il temuto crollo del corporate fundraising, in particolare, non c’è stato: l’effetto negativo del pandoro gate, dove c’è, ha riguardato più i donatori privati (51%), che le aziende e le fondazioni erogative (entrambe citate dal 17% delle onp).
In quello stesso report, Valeria Reda – Senior Research Manager BVA Doxa e responsabile dell’indagine annuale Italiani Solidali – aveva curato un focus dedicato a “Donazioni a onp, donazioni informali e corporate partnership a cavallo tra il 2023 e il 2024”, realizzato nella primavera 2024 sull’onda del “caso Ferragni”, da cui emerge che due italiani su dieci dichiarano di aver fatto almeno una donazione negli ultimi anni a seguito di una iniziativa organizzata in collaborazione con un brand famoso o un influencer.
A ottobre 2024, rivela Reda nell’Italy Giving Report di VITA, sono scesi al 12%: un dato che non legge però come una “fuga” o una “sfiducia” per effetto del pandoro gate, ma solo come un calo di attenzione al tema e una maggiore “distanza emotiva” dai fatti dello scorso dicembre. Tante invece le erronee convinzioni degli italiani sul punto, a cominciare dal fatto che sei su dieci ritengono che l’onp contribuisca economicamente (in tutto o in parte) all’organizzazione di queste iniziative. «Un terzo delle aziende che ha partnership attive dichiara che durano da più di 15 anni, e questo è vero in particolare per le collaborazioni con gli Ets», scrive Reda nel rapporto Noi doniamo, mentre «guardando al futuro, sei aziende su dieci tra quelle che collaborano o collaboravano con Ets sicuramente rinnoveranno la partnership in futuro, e due su dieci probabilmente lo faranno anche con il supporto di un/una testimonial o influencer».
In apertura, Chiara Ferragni: AP Photo/Antonio Calanni
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