Media e industria
Pfas, una “lobby per sempre” vuol fermare il bando agli inquinanti eterni
«Non ci sono alternative ai Pfas. Dobbiamo continuare a usarli». Con questa argomentazione l'industria chimica vuole evitare la restrizione europea alle molecole resistenti e indistruttibili, "inquinanti per sempre", ormai presenti ovunque. Un'inchiesta giornalistica coordinata da Le Monde ha dimostrato, attraverso l'analisi di oltre 14mila documenti, che la risposta delle lobby spesso è fuorviante, errata, bugiarda, e non tiene conto delle conseguenze per la salute pubblica
Se c’è una potente lobby, capace di influenzare i decisori politici a Bruxelles, non è quella verde. L’inchiesta internazionale sui Pfas Forever lobbying project coordinata da Stéphane Horel, del quotidiano francese Le Monde, ha dimostrato, attraverso l’analisi di oltre 14mila documenti, le pressioni dell’industria chimica per fermare la proposta Ue di restrizione universale delle diecimila molecole della famiglia Pfas. Le sostanze per- e polifluoroalchiliche, indistruttibili e persistenti, ottant’anni fa non esistevano. Oggi sembrano diventate indispensabili. Si trovano ovunque: nell’acqua, nell’aria, nel suolo e negli organismi viventi. Si accumulano anche nel nostro sangue e, comportandosi come interferenti endocrini, possono essere molto dannosi per la salute.
Un’investigazione transfrontaliera
Il progetto Forever lobbying coinvolge 46 giornalisti, 29 media in 16 Paesi e 18 esperti in diverse discipline, tra accademici e avvocati. All’inizio del 2023, il gruppo ha presentato una mappatura di 23mila siti europei contaminati, cui si aggiungono 21.500 altri luoghi presumibilmente inquinati, per l’attività industriale in corso o passata. Ora, dopo un anno di lavoro, svela le prove sulla disinformazione, l’allarmismo e le bugie usate dall’industria per alimentare la convinzione che non ci siano alternative ai Pfas e che la loro sostituzione sarebbe disastrosa per l’economia.
E, per la prima volta, fa il conto di quanto potrà costare alla collettività la bonifica dell’ambiente dagli “inquinanti eterni”, se davvero non ci saranno restrizioni: 2 trilioni di euro nei prossimi vent’anni, cioè 100 miliardi all’anno.
Il limite proposto per l’Ue
Due anni fa, a gennaio 2023, Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia hanno proposto all’Agenzia europea per le sostanze chimiche – Echa di inserire nel regolamento Reach (Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals) una «restrizione universale» di tutti i Pfas, salvo alcune eccezioni da definire, comunque temporanee, nell’attesa di trovare alternative. L’obiettivo è ridurre l’immissione di queste sostanze nell’ambiente. Essendo molecole praticamente indistruttibili, l’unico modo per limitare i danni è smettere di produrle e di usarle. Secondo l’Echa, se non si farà nulla, 4,4 milioni di tonnellate di nuovi Pfas si aggiungeranno a quelle già presenti nei prossimi trent’anni. Parliamo di un quantitativo enorme, visto che si tratta di molecole invisibili e leggerissime.
La strategia dell’industria
Secondo il team investigativo coordinato da Le Monde, centinaia di lobbysti, che difendono l’interesse di una quindicina di settori produttivi, hanno sommerso le istituzioni europee di documenti che cercano di svuotare, se non proprio di eliminare, la proposta normativa di restrizione universale. Analizzando gli argomenti dei lobbysti, con il supporto di Gary Fooks, esperto dell’Università di Bristol, emerge che la gran parte sono fuorvianti, allarmistici, esagerati e potenzialmente disonesti. La strategia è quella classica, usata anche in difesa delle industrie del tabacco, dei combustibili fossili, dei pesticidi.
I documenti analizzati, per circa un terzo, sono stati ottenuti dalle istituzioni Ue e statali attraverso la procedura del Freedom of information act – Foia, che riconosce la libertà di accedere alle informazioni in possesso delle pubbliche amministrazioni come diritto fondamentale (anche in Italia https://www.funzionepubblica.gov.it/foia-7). Altre 3.393 osservazioni sono state scaricate dal sito dell’Echa, nell’ambito della consultazione pubblica sulla restrizione universale. I rimanenti 6.026 documenti provengono o dall’Agenzia per l’ambiente degli Usa o dalla causa tra lo Stato del Minnesota e 3M, la Minnesota Mining and Manufactoring Company, famosa per l’invenzione dello scotch e dei post-it.
In oltre un anno di lavoro, il team del Forever lobbying projectha individuato quasi 1.200 argomenti portati dalle lobby a favore dei Pfas, valutandone il fondamento. L’associazione di categoria Plastics Europe, attraverso il gruppo specifico Fluoropolymer Product Group sostiene in molti documenti, per esempio, che i fluoropolimeri, composti a catena estremamente lunga, non dovrebbero essere vietati perché troppo grandi per penetrare le cellule e causare danni. Le affermazioni però si basano su due articoli scientifici i cui autori sono dipendenti o consulenti dell’industria. Si fa addirittura riferimento a un presunto criterio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – Ocse, che non esiste. In altri casi, i lobbysti puntano sulla possibilità di eliminare queste sostanze, ma per farlo bisogna arrivare a temperature altissime, oltre i mille gradi. Per gli esperti, in realtà, non esistono a oggi tecnologie di incenerimento che possano garantire la completa distruzione dei Pfas.
Le alternative
Il mantra dell’industria è: «Non ci sono alternative». Per Assogomma, ad esempio, i fluoropolimeri assicurano talmente tanti benefici alla società che sono impossibili da sostituire. Le lobby puntano su alcuni settori particolarmente decisivi, come quello medico e farmaceutico e tutte le applicazioni necessarie per la transizione ecologica e digitale. Ma sulla mancanza di soluzioni alternative, secondo il team del Forever lobbying project, ci sono solo le affermazioni dell’industria, non basate su test né sulla ricerca. Emerge che solo alcune realtà industriali stanno cercando il modo di sostituire i Pfas, mentre la gran parte non fa investimenti e non intende cambiare il modo di produrre. Chi dice che mancano le alternative trova ascolto dalle istituzioni, come dimostra tra l’altro il rapporto sulla competitività europea di Mario Draghi.
L’immagine in apertura è di Greenpeace Italia
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