Idee Cooperazione internazionale
Valorizzare la solidarietà delle ong genera sicurezza
«Da qualche anno si avverte una sorta di insofferenza costante in alcune delle nostre sedi diplomatiche nel doversi far carico di eventuali situazioni di pericolo ed emergenza per il personale espatriato delle ong», scrive Silvia Stilli, presidente Aoi - Associazione delle ong italiane. «Eppure sono loro che aprono la strada a relazioni e presenza diplomatica per futuri “tempi migliori”»
Nel dicembre 2021 venne firmato il “Protocollo d’azione per la sicurezza degli operatori della cooperazione” dal Maeci – Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e le Reti delle organizzazioni della società civile, Aoi, Cini e Link2007.
Per tutto il periodo dei lockdown del Covid, nel 2020 e di nuovo nel 2021, c’è stata un’intensa collaborazione quotidiana tra ong italiane e Farnesina, sia a livello centrale che nei Paesi di cooperazione con Ambasciate e sedi decentrate dell’Aics – Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, nella comune ricerca di modalità e canali sicuri di evacuazione. Questa spontanea pratica di collaborazione tra istituzioni, diplomazia e società civile è avvenuta anche nel caso dell’evacuazione dell’agosto 2021 dall’aeroporto di Kabul. Le ong da molti anni si sono dotate di vademecum e manuali sulla sicurezza sempre revisionati in tempo reale, operando in condizioni di emergenza in partenariato per lo più con le Agenzie umanitarie internazionali che li richiedono e verificano. La responsabilizzazione nelle azioni nostre e dei partner in un quadro di sicurezza e trasparenza è parte integrante della missione delle ong italiane.
Alcune settimane fa è stata ufficializzata la notizia che da dicembre scorso un giovane cooperante italiano è in carcere in Venezuela e di lui non si hanno informazioni certe: Alberto Trentini è detenuto in un luogo sconosciuto e non si conosce il capo d’imputazione. È vietato qualsiasi incontro con l’ambasciatore italiano. Alberto ha iniziato la sua esperienza nella cooperazione internazionale come volontario in servizio civile, poi ha lavorato per alcune ong italiane e in questo periodo è in Venezuela con Humanity and Inclusion. Amiche e amici ed ex colleghi lo definiscono una persona mite e prudente, un cooperante esperto che svolge seriamente il delicato lavoro, nel rispetto delle primarie regole di sicurezza per sé e per le comunità in cui opera. Il suo unico “difetto”, quindi, è avere a cuore il destino di chi soffre per malattie e privazioni, cercando di offrire speranza, aiuto e occasioni per un futuro sostenibile.
Il Venezuela è un Paese che tra la fine del 2023 e il 2024 ha contato più di 400mila profughi. Scegliere di svolgere attività umanitarie, di solidarietà attiva e cooperazione per lo sviluppo nel mondo significa oggi decidere di mettere comunque a rischio la propria incolumità. I conflitti armati censiti nel 2024, come riporta il Global Peace index, sono 56, quindi 40% in più del precedente rilevamento. Ma scontri locali tra fazioni e bande, tentativi di colpi di stato e altre violenze portano la cifra a più di 100. I media si concentrano ovviamente su quelli più rilevanti nel medio e vicino Oriente e ai confini con l’Unione Europea. Le vittime civili certe nel mondo nell’ultimo anno sono 200mila. Le conseguenze di cambiamenti climatici a dicembre scorso indicavano 100 eventi estremi, migliaia di vittime e 6 milioni di persone sfollate. Nonostante questo quadro impressionante, le ong continuano a presidiare tanta parte del Pianeta che è in sofferenza e hanno il “maledetto difetto” di pretendere di continuare a farlo persino in situazioni di pericolo estremo. È una scelta consapevole, affrontata con le misure di cautela necessarie. È un rischio che corrono anche persone che non hanno scelto di essere cooperanti e portano volontariamente, quando possono, carichi di aiuti e solidarietà, per esempio nell’Ucraina occupata dalla Russia. La spinta solidale e umanitaria è innata nelle ong oggi determinate ad assistere le vittime civili a Gaza e con la speranza di contribuire alla ricostruzione di quel territorio devastato. Nonostante le garanzie di saper agire in sicurezza, consolidate da anni di esperienza in tanti territori in azioni umanitarie impegnative e nel rispetto di protocolli firmati, per operatrici ed operatori delle organizzazioni sociali sta diventando più difficoltoso lavorare in queste aree di crisi con programmi del Maeci. Le ong italiane hanno visto la cancellazione di progetti di emergenza a Gaza e adesso il blocco per la sicurezza in Cisgiordania. Se i finanziamenti provengono da Agenzie Internazionali l’operatività nei medesimi luoghi è invece garantita. Alcuni progetti ritenuti finanziabili dall’Aics, tra quelli presentati ai bandi dalle organizzazioni sociali, vengono bloccati dalle nostre rappresentanze diplomatiche in loco: anche per Paesi come il Perù o la Bolivia, il Mali o il Kenja e il Burkina Faso, considerati “non sicuri”. Se il mondo fosse sicuro e giusto, non ci sarebbe bisogno dell’Aps, l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo.
Alberto Trentini è un cooperante italiano di un’ong francese in Venezuela. La sua incolumità per il nostro Paese non ha minor importanza per questo ingaggio estero. Me lo auguro. Da qualche anno si avverte una sorta di preoccupazione e insofferenza costante in alcune delle nostre sedi diplomatiche nel doversi far carico di eventuali situazioni di pericolo ed emergenza per il personale espatriato delle ong, soprattutto rispetto alle volontarie e i volontari del servizio civile universale. Non è sempre e ovunque scontato il supporto delle Ambasciate per avere il rinnovo dei visti per permesso di lavoro dalle autorità locali. Eppure le ong hanno garantito e assicurano il presidio dell’Italia in molte zone del pianeta dove le istituzioni e la diplomazia, per legittime ragioni di politica estera, non possono esserci stabilmente: così le ong aprono la strada a relazioni e presenza diplomatica per futuri “tempi migliori”. La sussidiarietà della solidarietà internazionale delle organizzazioni sociali italiane è riconosciuta dal Governo attuale, stando alle dichiarazioni del Ministro o, con maggiore convinzione, del Viceministro alla Cooperazione Internazionale alla Farnesina Edmondo Cirielli: ma al tempo stesso si colgono quei segnali di limitazione dell’operatività che ho accennato. Una contraddizione di non poco conto. I tagli nella legge finanziaria alle voci dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo, che vedono una regia del Mef, Ministero delle finanze, riguardano molto il settore bilaterale e in particolare i fondi di gestione diretta di Aics, che in larga parte sono impegnati nei progetti delle ong e, in misura minore, di enti locali e regioni e privato profit. Meno fondi e più difficoltà a operare in loco penalizzano quelle relazioni di comunità tessute dalle ong che garantiscono la sostenibilità dei programmi di sviluppo nel tempo e la loro efficacia.
È indubbio che è scomodo e pericoloso essere testimoni diretti di soprusi e violenze nei salvataggi in mare dei profughi, come per la presenza a fianco delle vittime dei conflitti e dell’impoverimento di larga parte del Pianeta per lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali. Questa nostra natura, l’essere protagonisti di solidarietà attiva, ci rende sempre più vulnerabili e insicuri se viene messo in discussione dalla politica e dai media il valore di quello che facciamo nel dare un contributo per sconfiggere la povertà e affermare i diritti con lo sviluppo. Purtroppo, definirci “taxi del mare” o “buonisti” con spregio (era il 2017) ha sdoganato di fatto il processo aperto alla solidarietà internazionale. Alberto Trentini è uno di noi, non è un personaggio conosciuto, la sua vita non è di interesse mediatico, perché in silenzio e nella normalità svolge il suo lavoro all’estero. Potrebbe essere un figlio o un fratello per molte e molti di noi, che agisce nella cooperazione internazionale con passione e competenza e di cui sicuramente parleremmo con orgoglio. A questo dobbiamo pensare. Non lo dimentichiamo. La vita di Alberto detenuto in luogo non conosciuto è in pericolo e merita dal Governo italiano la stessa cura e azione diplomatica che c’è stata per liberare Cecilia Sala detenuta in Iran. Ci auguriamo che il silenzio della stampa e della politica di questi ultimi giorni sia una consapevole scelta per lavorare meglio al raggiungimento del risultato auspicato.
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