Welfare

Rwanda: Tpir, un prete alla sbarra degli imputati

Si è aperto ad Arusha (Tanzania) il processo di Athanase Serumba, prete accusato di istigazione al genocidio e crimine contro l'umanità

di Joshua Massarenti

E’ iniziato ieri, presso il Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda (Tpir) con sede ad Arusha (Tanzania) il processo di Padre Athanase Serumba, un hutu di 41 anni, accusato di istigazione al genocidio della minoranza tutsi e di crimine contro l’umanità. Secondo la versione del procuratore, quattro giorni dopo l’attentato del 6 aprile 1994 contro l’aereo del presidente Juvénal Habyarimana, il prete – in accordo con le più alte autorità locali del comune di Kivomu (regione di Kibuye, a est del Rwanda) – avrebbe ordinato il massacro di oltre 2000 tutsi rinchiusi nella sua parrocchia di Nyange. Il 13 aprile, la Chiesa rimase accerchiata dai miliziani estremisti hutu e, intrappolati in un luogo dove speravano di poter scampare al massacro, i tutsi furono uccisi. La colpa di Padre Serumba riguarda la sua decisione di aver fatto venire un caterpillar davanti alla chiesa per distruggerla. Dopo ripetuti colpi, il tetto crollò sui rifugiati. Non centento, Serumba avrebbe fornito benzina per brucciare i corpi e l’intera chiesa. Secondo il procuratore, nel luglio 1994 non rimase un sopravvissuto tutsi. Dopo il genocidio, Padre Serumba ha trovato rifugio in Italia nel 1997 per proseguire le sue funzioni ministeriali nei dintorni di Firenze. Per anni, l’allora procuratore capo del Tpir Carla Del Ponte esercitò pressioni molto forti sul governo italiano affinché lanciasse un mandato di cattura internazionale, ma senza esiti. Diventato un protagonista scomodo per le autorità pubbliche italiane e la stessa Chiesa cattolica, Padre Serumba decise di consegnarsi alla giustizia dell’Onu nel febbraio 2002 dichiarando non appena arrestato la sua innocenza dai capi d’accusa che pendono su di lui. Come altri 44 detenuti (sui 56 del tribunale), Padre Serumba ha deciso di boicottare le udienze del suo processo per protesta contro l’eventuale trasferimento dei dossier ancora aperti presso la magistratura ordinaria del Rwanda. Nella sua edizione odierna, Le Monde s’interrogava sul dubbio seguente: si tratta del processo di un individuo o quello della Chiesa cattolica? All’agenzia tedesca Dpa, citata da Le Monde, il portavoce del Tribunale di Arusha Roland Amoussouga ha dichiarato che “non è la Chiesa ad essere oggetto di un processo, ma un prete e solo lui”. Fatto sta che alcune associazioni di sopravvissuti del genocidio (e non solo) accusano da tempo alcuni ambienti della gerarchia cattolica di aver favorita l’estradizione di alcuni preti sospettati di aver partecipato al genocidio. Ad ogni alcuni precedenti sono a qui a testimoniare la delicatezza dei processi che riguardano preti e suore rwandesi. Nel 1999, Monsignor Augustin Misago, vescovo di Gikongoro, venne arrestato in Rwanda dopo che l’ex presidente rwandese Pasteur Bizimungu accusò pubblicamente Misago di aver partecipato allo sterminio dei rwandesi tutsi. Dopo 428 giorni passati in carcere, il vescovo fu liberato per mancanze di prove, nonostante il procuratore avesse richiesto nei suoi confronti la pena di morte. Nel giugno 2001, la corte d’assisi di Bruxelles non esitò a condannare due suore rwandesi originarie della regione di Butare (sud del Rwanda) infliggendole rispettivamente 12 e 15 anni di reclusione. Erano accusate di aver consegnato alle milizie hutu migliaia di persone rifugiatesi nel loro convento.


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