Idee Governo

Povertà educativa, quale strategia dopo la chiusura del Fondo?

L'intervento del direttore programmi della Fondazione Soleterre: «È legittimo e opportuno ripensare uno strumento nato in forma sperimentale, ma esiste una vera strategia per rispondere alla povertà educativa, in un Paese con il più alto tasso di denatalità del mondo occidentale?»

di Tiziano Blasi

Ho scritto due progetti nazionali finanziati da “Con i Bambini” insieme a una rete di partner tanto ampia quanto impegnativa. Come molti, mi sono ritrovato a inveire contro Chairos – la piattaforma online di presentazione e gestione dei progetti – sognando di poter usare un semplice file excel, a maledire gli indicatori preimpostati e a non augurare una valutazione controfattuale neppure al mio peggior nemico. Mi sono anche chiesto tante volte quando sarebbero arrivati gli esiti di quelle mitologiche “metavalutazioni” di cui si parla sempre.

Eppure, ho avuto l’occasione di sperimentare progetti e azioni che mai avrei immaginato di poter realizzare in Italia per dimensioni e tematiche. Grazie al “Fondo per il contrasto alla povertà educativa minorile” gestito appunto dall’impresa sociale Con I Bambini, sono riuscito a presentare un intervento innovativo sulla partecipazione civica dei ragazzi, i bilanci partecipati, il citizen e il data journalism, qualcosa che forse mi avrebbero finanziato a Oslo – dove sono ben più propensi a progetti civici – ma difficilmente a Roma se non ci fosse stato questo strumento.

In fase di valutazione, poi, sono stato accolto insieme a tutti partner in una grande sala in via del Corso a Roma, dove abbiamo potuto illustrare e difendere il nostro progetto dal vivo: un’esperienza simile agli esami, con l’ansia ma anche la soddisfazione di chi si gioca la propria visione. 

Nonostante le tante rigidità del Fondo, ho trovato in “Con i Bambini” persone competenti che hanno dedicato tempo e attenzione al Terzo settore dai primi incontri conoscitivi fino alle rendicontazioni.

A fine dicembre, però, è arrivata la decisione di non rinnovare il Fondo. E mi chiedo: qual è l’alternativa? È legittimo e opportuno ripensare uno strumento nato in forma sperimentale, ma esiste una vera strategia per rispondere alla povertà educativa, in un Paese con il più alto tasso di denatalità del mondo occidentale?

Mentre il Fondo macinava bandi e progetti, io sono diventato padre. Ed è proprio da genitore che vedo la totale inefficienza e inattualità del nostro sistema educativo e sociale. Gli edifici scolastici, mentre case e uffici cambiavano nel tempo, sono rimasti uguali a 100 anni fa così come la didattica; la scuola rimane legata al calendario del grano, mentre entrambi i genitori lavorano tutto l’anno. Le attività fuori gli orari scolastici, poi, sono in gran parte affidate a iniziative private, che non tutti possono permettersi. Eppure, il Fondo ha permesso di sperimentare soluzioni a questi problemi attraverso approcci curriculari ed extra-curriculari innovativi, l’apertura della scuola al territorio, la creazione di nuovi legami fra la comunità educante. Queste pratiche sono un patrimonio prezioso per i decisori politici. 


Nonostante questi risultati, il Governo ha il diritto di chiudere una sperimentazione come quella del Fondo. Ma quale sarà la risposta al problema? Davvero ci affidiamo al voto in condotta e al latino per combattere la povertà educativa? Il Fondo ha offerto una chance concreta a chi aveva idee coraggiose, dando spazio a percorsi di partecipazione, inclusione e innovazione pedagogica.

Chiediamoci quindi con onestà: se non c’è più il Fondo, con quali idee e risorse pensiamo di costruire nuove risposte educative? In un Paese che invecchia e non investe nella cura e nella crescita dei più piccoli, il rischio è enorme: ritrovarci domani senza genitori, senza figli, senza insegnanti e, soprattutto, senza futuro.

Foto tratta dal docufilm “Non sono emergenza” di Riccardo Venturi e Arianna Massimini

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