Mondo

Darfur: negoziati di pace in stato confusionale

Massima incertezza sui negoziati che Khartum e ribelli del Darfur stanno conducendo in Nigeria

di Joshua Massarenti

Tra annunci contraddittori dei ribelli, la possibile ratificazione di un accordo umanitario e un Consiglio di sicurezza dell’Onu incapace di assumersi le proprie responsabilità, ad Abuja (Nigeria) i negoziati di pace intersudanesi hanno raggiunto la massima confusione. “Tutti vogliono proseguire i negoziati” ha assicurato oggi all’Afp un mediatore ciadiano. “Una sospensione di qualche giorno ci può stare, non è inusuale in questo tipo di negoziati. Per quanto ci riguarda, non si può parlare di fallimento”. Dichiarazioni che sembrano destinate al capo della delegazione di uno dei movimenti ribelli, Mohammed Hamed Tugod del Jem (Movimento per la giustzia e l’uguaglianza), che ieri giudicava i negoziati “falliti”. Lo stesso Jem ha rigettato alla firma di un protocollo umanitario raggiunto lo scorso 2 settembre, ma la cui ratificazione era stata vincolata da tutte le parti in conflitto a un accordo sulla sicurezza bloccato da due settimane. Senza pronunciarsi su questa ratificazione, da parte sua, l’altro movimento ribelle (SLM, Movimento per la liberazione del Sudan), il più improtante, si è reso disponibile a salvare i negoziati. “Sebbene rimanendo sulle sue posizioni il governo sudanese faccia di tutto per fallire i negoziati, noi vogliamo proseguire il dialogo” ha detto il protavoce del Jem Abduljabbar Dorfail. Secondo un membro della mediazione africana, “le parti in conflitto non possono lasciare Abuja senza aver firmato almeno firmato il protocollo umanitario. Probabilemente vi sarà una sospensione di quattro settimane”. In realtà, “prima di pronunciarsi, i ribelli aspettano cosa deciderà il Consiglio di sicurezza”. Già, l’Onu. Gli Stati Uniti hanno espresso ieri la loro intenzione di far passare al Consiglio di sicurezza un progetto di risoluzione sul Darfur entro la fine di questa settimana. Un progetto che mirava a sanzionare il regime sudanese, in particolare il suo settore petrolifero, e che Khartum aveva già respinto in passato.


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