Formazione

La strage di Beslan. Le radici dell’inferno

La strage di Beslan é solo il tragico epilogo di una situazione che matura da tempo nel Caucaso, dilaniato da politiche irresponsabili, bombe, lager e violazioni dei diritti umani.

di Carlo Gubitosa

La polveriera del Caucaso sta esplodendo sotto gli occhi dell?Europa: per scoprirlo basta mettere una cartina geografica accanto alle notizie di cronaca, osservando che il pugno di ferro stretto dall?amministrazione Putin attorno alla Cecenia sta avvolgendo in una spirale di sangue anche Paesi come l?Ossezia, l?Inguscezia, il Daghestan e la Georgia, dove il reporter ?non omologato? Antonio Russo ha perso la vita cercando di testimoniare in prima persona una violenza che altri commentatori descrivono dai salotti televisivi.
Cosa possiamo fare per evitare che questa violenza continui a espandersi pericolosamente vicino all?Europa? Per cominciare basterebbe interessarsi alla guerra anche quando non fa notizia, quando i morti non sono abbastanza numerosi o giovani da meritare le prime pagine dei giornali.

Gli umanitari e i bulldozer
Informandosi sulla recente cronaca del Caucaso si scopre che l?azione armata nella scuola osseta di Beslan è solamente uno, ancorché gravissimo, dei sintomi della malattia che affligge la Cecenia e i Paesi che la circondano, una spirale di violenza che può essere interrotta solo da un intervento deciso e coraggioso da parte di quella comunità internazionale sempre pronta alla retorica dell?umanitarismo armato, ma sorda e cieca di fronte alle 80mila vittime civili della guerra cecena, pari al 20% dell?intera popolazione di questa repubblica maledetta dal petrolio.
I nostri politici farebbero meglio ad accantonare i dibattiti sul terrorismo ?religioso? e lo scontro di civiltà per rispondere a domande più concrete: dov?erano i Paesi europei quando il destino delle vittime di Beslan veniva segnato da politiche irresponsabili che hanno fatto il gioco dell?estremismo e delle bande armate? Dov?era a giugno l?Italia ?umanitaria? dei buoni sentimenti, quando i bulldozer della Federazione Russa spianavano e sgomberavano i campi profughi dell?Inguscezia per una «normalizzazione forzata», abbandonando centinaia di persone al proprio destino e creando le condizioni per il dilagare dell?estremismo?
Dov?erano gli esportatori di democrazia il 28 maggio scorso, quando il ministero della Salute ceceno ha rivelato che il 90% della popolazione soffre di disfunzioni alle ghiandole endocrine per la cattiva alimentazione?
Dov?erano i nemici delle dittature il 2 giugno, quando a Grozny la polizia ha disperso con la forza un gruppo di donne che chiedevano notizie di 1.500 familiari scomparsi durante le cosiddette «operazioni di pulizia» che riempiono i «campi di filtraggio», moderni lager del terzo millennio? Dov?erano i ?moralizzatori? dei tribunali italiani quando un tribunale russo ha assolto il capitano Eduard Ulman, che l?11 gennaio ha ucciso a sangue freddo con i suoi uomini sei civili ceceni? Dov?erano i nemici del terrorismo l?8 aprile scorso, quando l?organizzazione Memorial, finita nella lista nera dell?amministrazione Putin, ha documentato con testimonianze e fotografie l?attacco aereo dell?esercito russo che nel villaggio di Rigakhoy ha seppellito sotto le macerie Maidat Tsitsaeva e cinque dei suoi figli di età compresa tra 9 mesi e 4 anni?

Scacco matto a Putin
L?altra faccia delle bande criminali che cavalcano la rabbia di un popolo per il proprio tornaconto è una comunità internazionale in doppiopetto che stabilisce a tavolino il valore della vita umana, decidendo quali sono le vite da difendere con i bombardieri e quali invece i crimini di guerra da ignorare e tollerare, considerandoli il necessario prezzo da pagare per una lotta al terrorismo sempre più omeopatica, in cui il male si confonde con la sua medicina. Tra le poche voci coerenti nel coacervo di opinionismo sulla Cecenia c?è quella dell?Associazione per i popoli minacciati: «Gli atti terroristici ceceni e la presa di ostaggi», ha dichiarato l?associazione, «vanno condannati come reazione criminale al genocidio in atto in Cecenia. I responsabili ceceni dei crimini di guerra commessi in questi giorni devono assumersi le proprie responsabilità di fronte a un tribunale internazionale, al pari dei responsabili degli omicidi nel Caucaso».
Anche nella Federazione Russa sono in molti a pensarla così, e tra questi c?è il campione di scacchi Garry Kasparov, che ha lanciato il suo scacco al re criticando pubblicamente la politica estera di Putin. Kasparov ha radunato un gruppo di intellettuali, giornalisti e politici che hanno dato vita al comitato ?2008: Free Choice?, nato per assicurare la sconfitta di Putin alle prossime elezioni.

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