Caucaso
Il sogno europeo dei cittadini georgiani
È dal 28 novembre che la popolazione è scesa in massa lungo le strade della capitale per contestare la decisione del primo ministro Irakli Kobakhidze di sospendere unilateralmente il processo di adesione della Georgia all'Unione europea. Secondo i sondaggi il sostegno all'adesione all'Ue nell'opinione pubblica è massiccio rasentando l'80%
«Le proteste non si sono fermate; anche se la partecipazione si è ridotta i dimostranti continuano a bloccare il viale di fronte al Parlamento», mi scrive Davit da Tbilisi. Lui è un giornalista di professione, oltre che un amico di lunga data, che mi tiene costantemente al corrente di quanto avviene in Georgia. «Se questo Governo non se ne va, sarò io a lasciare la Georgia», conclude laconico il suo ultimo messaggio whatsapp.
È dal 28 novembre che la popolazione è scesa in massa lungo le strade della capitale per contestare la decisione del primo ministro Irakli Kobakhidze di sospendere unilateralmente il processo di adesione della Georgia all’Unione europea. Al momento dell’annuncio, in realtà, Bruxelles aveva già congelato l’integrazione della repubblica caucasica nell’Ue ma il Sogno Georgiano, il partito al potere, non sembrava volersi sforzare più di tanto per invertire la rotta. La palese dichiarazione è stata la scintilla di cui i georgiani avevano, forse, bisogno per esprimere il loro malcontento scatenando un’altra ondata di resistenza decentralizzata, quella che molti considerano la più grande manifestazione di protesta nella storia della Georgia indipendente, che ha attirato vari gruppi sociali, categorie professionali e organizzazioni non governative e si è diffusa a macchia di olio in decine di città. Bisogna, però, fare un passo indietro per capire quello che sta succedendo nella ex repubblica sovietica. Il 26 ottobre scorso si sono svolte le elezioni legislative considerate dai partiti di opposizione come un referendum sulle aspirazioni europee del Paese. Secondo i sondaggi il sostegno all’adesione all’Ue nell’opinione pubblica è massiccio rasentando l’80%. A vincere, tuttavia, è stato il Sogno Georgiano accusato di simpatie filo-russe.
L’inclusione della Georgia nelle strutture euro-atlantiche è un obiettivo sancito dalla costituzione quindi, almeno sulla carta, condiviso dalle forze politiche. È stato lo stesso Governo guidato dal Sogno Georgiano a presentare ufficialmente la domanda di adesione all’Ue nel marzo del 2022, subito dopo l’aggressione russa all’Ucraina, ottenendo lo status di Paese candidato nel dicembre del 2023. Ed è sempre lo stesso Governo, che, a parole, ha ribadito l’orientamento europeo salvo adottare lo scorso anno una legge sul finanziamento alle ong e un’altra sulla difesa dei valori della famiglia, ribattezzate rispettivamente come legge sugli agenti stranieri e legge anti LGBTQI+, che restringono le libertà fondamentali su cui poggia il processo di integrazione nell’Ue. A nulla sono valse le obiezioni di Bruxelles e le denunce rumorose della società civile; le autorità di Tbilisi hanno tirato dritto imperterrite avvelenando i rapporti con la diplomazia europea. Sull’esito delle elezioni di ottobre, inoltre, pesa l’ombra di brogli con la conseguente decisione dei membri dell’opposizione di boicottare il nuovo parlamento.
“I preparativi per le elezioni sono stati ben gestiti. Tuttavia, il giorno delle elezioni frequenti compromessi sulla segretezza del voto, diverse incongruenze procedurali e segnalazioni di pressioni e intimidazioni, anche attraverso la registrazione del processo, hanno avuto un impatto negativo sulla fiducia del pubblico nel processo in una giornata elettorale altrimenti generalmente ordinata dal punto di vista procedurale” sono le conclusioni a cui è giunta la missione internazionale di osservazione elettorale dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa – Osce che, pur rilevando gravi falle, non si è sbilanciata sul riconoscimento o meno del risultato finale.
Le forze di opposizione, però, chiedono a gran voce nuove elezioni che il Governo non ha alcuna intenzione di concedere. Due figure si stagliano sulla scena politica: da una parte Bidzina Ivanishvili, l’uomo più ricco della Georgia considerato il burattinaio del governo, e l’ex presidente, nonché ex alleata, Salome Zurabishvili dall’altra, ormai assurta a leader dell’opposizione. Sono loro a ingaggiare un braccio di ferro che non vede per il momento una via di uscita. «Credo che le manifestazioni dureranno ancora a lungo», mi scrive Sergi, un accademico georgiano. «La convinzione che l’attuale Governo sia illegittimo non svanirà», mi dice, «spero che gli amici europei e americani continuino a sostenere le rivendicazioni dei georgiani». Sbrogliare la matassa, tuttavia, non è affatto facile, né a Tbilisi e tantomeno a Bruxelles. Il muro contro muro non giova a nessuno.
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