Editoriale

Crisi della partecipazione? Attenzione agli abbagli

Sta emergendo una generazione di cittadini attivi che sta ritessendo reti di identità, collettive, solide e generative. Una generazione che va riconosciuta e raccontata

di Stefano Arduini

Cinquant’anni fa, il primo febbraio 1975, Pier Paolo Pasolini sul Corriere della Sera pubblicava “Il vuoto del potere”, un pezzo passato alla storia con un altro titolo: “L’articolo delle lucciole” (come venne ribattezzato sul volume Scritti Corsari, pubblicato lo stesso anno). Si tratta di rappresentazione magistrale del passaggio da un’epoca (quella di una società ancorata a un conservatorismo paleocapitalista, talvolta reazionario, a trazione democristiana) verso una fase inedita di un capitalismo nuovo che doveva fare i conti con il movimento operaio e le sue rappresentanze. Un processo che stava avvenendo senza che la classe dirigente ne avesse contezza e ne capisse le dinamiche. La scomparsa delle lucciole coincide quindi con un mutamento radicale. Il vuoto del potere, cui il titolo originale dell’articolo si riferisce rimanda appunto alla completa inconsapevolezza del regime politico dominante di un tale cambiamento e quindi alla completa incomprensione del Paese e della società.
Oggi quella divaricazione fra processi sociali e capacità di governo risulta forse ancora più clamorosa di allora, amplificata dai nuovi strumenti di comunicazioni digitali. Mai prima d’ora era emersa una distanza tanto larga fra il desiderio di una dimensione collettiva autentica e l’individualizzazione forzata delle nostre vite di consumatori. I dati sulla partecipazione elettorale sono lì a dimostrarlo: in Emilia Romagna, una delle regioni con tassi di civismo più elevati in Italia, ha partecipato al voto il 45% degli aventi diritto. Il 55% ha considerato ininfluente esprimere una scelta. Percentuale che sale al 70% fra chi ritiene di vivere una condizione economica di difficoltà. Elezione dopo elezione, la partecipazione elettorale è in picchiata. E la cosa non sembra preoccupare i politici. Torneremo alle democrazie dell’Ottocento fondate sul censo e la ricchezza che funzionavano sulla base di poche migliaia di persone? Non sarà così.

Dentro il vuoto di potere del Pasolini di 50 anni fa si sta aprendo un varco una generazione di cittadini attivi che sta ritessendo reti di identità collettive solide e generative, capaci di interpretare l’interesse generale a partire dalla propria comunità. I soggetti impegnati sono tanti. E soprattutto sono in crescita. Lo dimostra, per esempio, il boom delle adesioni ai circoli Arci. E lo racconta il decimo rapporto Iref-Acli sull’associazionismo sociale dato alle stampe poche settimane fa.

Sostengono i curatori (Cristiano Caltabiano, Tommaso Vitale e Gianfranco Zucca) sulla base anche di un’analisi sul campo condotta in quattro grandi città, Milano, Firenze, Roma e Napoli: «In Italia, la partecipazione associativa appare in diminuzione, e anche la partecipazione multi-associativa è ridotta. Tuttavia, il fenomeno non indica una crisi dell’impegno, ma una sua trasformazione. Molte associazioni si concentrano ora sulla coproduzione, rendendo i beneficiari protagonisti consapevoli e attivi. L’associazionismo è così una scuola di formazione civica, creando spazi di partecipazione anche per le classi popolari che trovano così modo di confrontarsi e impegnarsi per la cosa pubblica». E di seguito: «L’impegno associativo risulta sempre più orientato verso il riconoscimento reciproco: gli attivisti, infatti, non cercano solo di incidere sulle politiche, ma considerano prioritario il giudizio e il feedback della comunità in cui operano. Empiricamente l’indagine conferma l’ipotesi che aveva fatto Filippo Barbera in Piazze Vuote di una “reciprocità dissonante”, in cui i volontari dedicano tempo e risorse per costruire un rapporto paritario con le persone che aggregano, valorizzandone il ruolo e incoraggiando la partecipazione attiva. In questo modo, il volontariato non è un’azione a senso unico ma sempre più una collaborazione». Nella scuola, nei centri di salute mentale, nelle reti dell’organizzazione dei lavoratori della cultura, affiorano dunque importantissimi segnali di rinnovo e cambiamento.

L’associazionismo oggi in Italia rappresenta un potente contromovimento di demercificazione sociale. Un movimento che la società dei consumi con i suoi schemi comunicativi (il Natale è un successo, se i consumi voluttuari sono maggiori dell’anno precedente) non è in grado di leggere. Ci sono sempre più persone, spesso giovani, a cui non basta poter contare su un reddito per soddisfare i propri desideri materiali, ma cerca comunanza, riconoscimento, convivialità e persino partecipazione politica (che però difficilmente diventa partitica).

Simone Cerlini (uno dei contributors di vita.it), grande esperto del mercato del lavoro nota come in Italia stia nascendo «una nuova antropologia positiva, fondata sulla natura collaborativa di uomini e donne; una nuova economia, che valorizzi la missione verso il bene comune dell’impresa; una nuova idea di valore che supera una mera quantificazione monetaria; una nuova idea di lavoro che ne mette in luce la funzione di risposta ai bisogni degli altri, che ne riconosce l’utilità al consorzio umano, come diceva Primo Levi; una nuova idea di fine collettivo, che promuove la lotta alle diseguaglianze e la tutela del pianeta. Infine, forse, finalmente, una nuova idea di comunità, talmente tanto vasta da abbracciare le generazioni future. Si intuiscono i primi vagiti di questa creatura nuova: da più parti nascono proposte per una fiscalità più giusta, che possa tassare i grandi patrimoni, che ripensi le tasse di successione e premi il lavoro sulle rendite. Si scorgono barbagli di una nuova sensibilità nelle nuove generazioni per l’attivismo civico e climatico, per la coerenza valoriale con le aziende presso cui si lavora, per un consumo sostenibile e per un fare impresa inclusivo. C’è un disperato bisogno di senso». Un attivismo che merita di essere riconosciuto e raccontato.

Questo articolo è l’editoriale del numero di VITA magazine di dicembre/gennaio. Lo pubblichiamo integralmente e aperto a tutti i lettori. VITA è un’impresa sociale editoriale senza scopo di lucro. Grazie alle organizzazioni del comitato editoriale e a chi si abbona (qui tutte le info, grazie molte a chi potrà e vorrà farlo) da 30 anni raccontiamo il mondo del sociale e del Terzo settore in piena libertà.

Credit Foto: Centro servizio per il volontariato etneo (Csve)

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