"Emozioni e virtù"

Senza un’educazione etica e affettiva, siamo in balia di inerti (e violente) reazioni emotive

Nel suo nuovo saggio, Luigina Mortari spiega come risolvere l'incapacità di gestire le emozioni tipica della nostra società e che sfocia in reazioni immediate e impulsive. Una via efficace è la pratica continua della riflessione empirica. Acquisire un metodo di ragionamento, e comprendere così le emozioni e la cognizione, è possibile fin da piccoli

di Nicla Panciera

La generale incapacità di gestire le emozioni che caratterizza i nostri tempi ha pesanti ricadute sulle azioni delle persone e, quindi, anche sul tessuto sociale già disgregato da tensioni di varia natura. La mancanza di cultura emotiva si traduce, in tale contesto, in reazioni immediate e impulsive, poco sostenute da ragionamenti e riflessioni valoriali ed etiche. Di queste dinamiche e di un’«implosione della coscienza etica» ci parla Luigina Mortari, docente di Filosofia della scuola presso il Dipartimento di scienze umane e di epistemologia della ricerca qualitativa presso la Scuola di medicina e chirurgia dell’Università di Verona, nel suo «Emozioni e virtù. Educazione affettiva, educazione etica», in uscita il 10 gennaio per Raffaello Cortina.

L’indifferenza dilagante e la crescente violenza sono due delle conseguenze di questa crisi etica e affettiva. «Sintomo della crisi di sensibilità etica» scrive la Mortari «è il fatto che l’avidità e il desiderio senza limiti di potere, quando si rendono manifesti, sembrano non costituire più un problema per le coscienze».

Come contrastare questo preoccupante prosciugarsi del pensiero e della riflessione etica, le cui origini evolutive mostrano che ci ha accompagnato fin dagli inizi? Abituando, fin dalla più tenera età, alla pratica della riflessione empirica nel contesto di una educazione etica e affettiva, perché, scrive, «quando manca l’esercizio del pensare impegnato a interrogarsi sul senso delle cose si finisce per agire sottomessi ai condizionamenti che provengono dall’esterno anziché sulla base di decisioni maturate nell’intimo».

Il punto di partenza, come sempre sostenuto dalla studiosa, è la nostra interdipendenza con gli altri e l’importanza del lavoro di cura, del corpo e della mente, di sé e degli altri, dal momento che la vita è tutto un alternarsi di ricevere cura e di avere cura. Da questi due pilastri nulla può prescindere, neppure l’azione educativa etica e affettiva che faccia «fiorire l’essere», «nutrendo ogni possibile direzione di attualizzazione della persona».

Una condizione necessaria è coltivare la conoscenza di sé stessi e la riflessione etica. «Senza un’etica viva, che si costruisce con pazienza e persistenza, attraverso un’interrogazione radicale e profondamente meditata delle questioni essenziali per l’esistere, restano solo inerti reazioni emotive, indignazioni tanto altisonanti quanto inutili, che mentre illudono il soggetto di essere presenti nel mondo lo distraggono dalla sua vera responsabilità, che chiede non istantanee reazioni emotive ma un solido impegno nell’agire. Richiede la responsabilità della cura per l’esserci proprio, degli altri, del mondo».

Rifacendosi alla filosofia greca antica e alla psicologia cognitiva moderna, la studiosa sostiene dunque l’importanza della teoria dell’educazione affettiva. Che si realizza attraverso l’offerta di esperienze che facilitino l’acquisizione di un metodo per l’autocomprensione dell’esperienza affettiva, partendo dalla definizione di alcuni concetti come emozioni, sentimenti, passioni, vissuti affettivi. L’obiettivo è arrivare a comprendere quello che sentiamo e come ciò influenzi e si faccia a sua volta influenzare da quello che pensiamo. Serve interpretare correttamente questo intreccio di emozione e cognizione, avendone chiara e attenta consapevolezza, al fine anche di scongiurare il rischio di inutili reazioni impulsive, che spesso divampano da una parola sbagliata, come insegna Sofocle quando fa dire a Edipo: «Ci sono parole che scatenerebbero un’ira furibonda anche in una pietra». Tale auto-osservazione e conoscenza di sé ci aiutano a evolvere verso il meglio.  Che sentire e pensare siano meccanismi intimamente connessi e che il ragionamento non solo consenta di comprendere l’esperienza ma anche di trasformarla, dopotutto, lo confermano anche le neuroscienze cognitive.

La Mortari fornisce anche alcuni consigli, tratti da Plutarco, su come raggiungere la tranquillità dell’anima, che favorisce il pensiero. Essi sono il dedicare attenzione a ciò che è essenziale; il disattivare la tensione acquisitiva; il saper accettare la realtà; l’essere capaci di gratitudine; il cercare la giusta misura; l’abitudine a sottoporre ad analisi l’esperienza e il dare il giusto peso all’agire.

Solo a questo punto, si potrà passare a considerare la prospettiva etica, che è «la ricerca di un orizzonte di idee alla luce del quale prendere decisioni sulle questioni rilevanti per l’esserci» e, quindi, «decidere cosa è bene cercare e cosa è bene evitare per fare della vita un tempo buono».

È chiaro, quindi, che non ci sarà mai un decalogo o un insieme di norme o di insegnamenti preconfezionati, ma solo un costante esercizio della facoltà cognitiva. Purtroppo, scrive la Mortari, «il presente patisce una mancanza di pensiero in generale e, specificatamente una mancanza di concetti etici e di stili rigorosi del pensare». Da qui, l’importanza della trasmissione di metodi di riflessione e di analisi, come quelli forniti ai bambini nell’ambito del progetto di educazione all’etica nelle scuole «melArete», che significa ‘cura’ e arete che significa ‘virtù’, che suggerisce delle pratiche di educazione etica, come basarsi su storie, attività esperienziali esaminare dilemmi etici, per riflettere sui vissuti.

In conclusione, «quello cui puntare è la realizzazione di una buona qualità della vita sia per sé sia per gli altri». Un’etica della cura che si preoccupa del bene, ma nel senso molto pratico di quelle cose buone che tutti desideriamo, e farlo con generosità e rispetto.

Foto di CDC su Unsplash

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