Made in Italy

Rating sociale, nella moda l’italianità fa la differenza

Ottimi risultati per Moncler, Ferragamo e Calzedonia. Inseguono aziende che del tricolore hanno l’imprinting ma non più la proprietà, come Gucci, o sono ancora nelle mani dei fondatori, come Dolce & Gabbana. Parecchie aziende di casa nostra sono ferme a zero

di Nicola Varcasia

Il nostro viaggio nel rating sociale delle più grandi aziende del made in Italy, con l’anno nuovo entra nel mondo della moda. Gli aggettivi che si usano di solito sono dorato, magico e scintillante. La sensazione, guardandone l’industria che la produce dal punto di vista della “S esterna”, ossia dell’impegno dichiarato dalle aziende per la comunità e il territorio attraverso i loro canali ufficiali (report di sostenibilità e sito corporate) è che la luce non brilli ovunque. Però quando brilla, brilla.

Big, ma di casa

Come per le precedenti puntate, il riferimento è all’indagine che VITA ha svolto nel magazine di ottobre tra le 40 aziende italiane più grandi appartenenti ai settori automotive, alimentare, fashion e arredamento, prendendo in esame le prime dieci, per fatturato, di ciascun settore. In quella sede troverete tutte le indicazioni sui criteri con cui sono state scelte. Qui ricorderemo che viene considerata italiana un’impresa che deposita il bilancio nel nostro Paese e dunque qui paga le tasse. Se dunque non troverete qualche “big” che avete in mente, il motivo è che non presenta il bilancio in Italia o non è tra i primi dieci player nel suo mercato di riferimento.

I mega report

Dalla moda, fiore all’occhiello dell’Italia nel mondo, ci saremmo aspettati un po’ di più. Lo diciamo soprattutto rispetto a quelle aziende che, pur rimanendo italiane in base ai criteri sopra descritti, sono ormai di proprietà di grandi gruppi stranieri. È un fenomeno che probabilmente ha dei riflessi anche sulle politiche di esercizio e comunicazione della responsabilità sociale di questi colossi.

Succede infatti che sia risultato piuttosto difficile trovare nei mega report di sostenibilità di un singolo gruppo le attività riferite all’Italia.

Piume… di peso

Dicevamo però che non dappertutto è così. La prima classificata, che si posiziona anche al quinto posto assoluto del nostro campione di 40 aziende, è l’italiana Moncler, in grado di arrivare a 7,5 punti su 10. VITA non è sola a riconoscere questi meriti, dato che l’azienda guidata da Remo Ruffini è ai primi posti per la sostenibilità anche in vari indici internazionali. Tra i progetti più interessanti della strategia di supporto alle comunità locali, vi è quello di proteggere dal freddo persone in situazioni di vulnerabilità grazie al quale negli ultimi sette anni, l’azienda ha dichiarato di aver aiutato circa 140mila bambini e famiglie con forniture di beni di prima necessità, kit neonatali, coperte e capi.

Podio stiloso

Sul podio troviamo altri due super nomi della moda italiana, posizionati in fasce diverse: Salvatore Ferragamo e Calzedonia (oggi Oniverse). Anche queste aziende, con un ranking superiore al 6 hanno mostrato di seguire una strategia di lungo termine, ben strutturata e non caratterizzata da un approccio tentativamente multi stake holder. Unica eccezione, per tutte e tre le prime classificate riguarda l’attenzione specifica alla comunicazione delle iniziative sociali.

Trio operoso

C’è poi una fascia di aziende, tra le più conosciute al mondo che, pur mostrandosi operose nel campo della “S esterna”, a nostro avviso potrebbero esplicitare meglio, se presenti, i propri risultati in termini di impatto sociale nelle loro attività di responsabilità sociale. Questo segmento è composto dal trittico delle meraviglie Gucci (oggi del gruppo Kering), Prada, Dolce & Gabbana. Una lancia va spezzata a favore di Gucci che mostra dei punteggi interessanti in quasi tutte le categorie (approccio strategico, continuità di intervento, approccio multi stake holder, comunicazione, rendicontazione).

La compliance c’è

Ricordiamo, a scanso di equivoci che, essendo quasi tutte queste aziende anche quotate in borsa, seguono tutti i regolamenti in vigore rispetto alla rendicontazione della sostenibilità. Ma in questo lavoro si è guardato ai report di sostenibilità non con l’occhio normativo, che non ci compete, bensì con quello di capire se e quanta strada abbia da fare la “S esterna” rispetto all’impegno ambientale. O anche solo alle pur importanti attività sulla diversity and inclusion che le grandi società dedicano ai propri dipendenti.

Taglia zero

Con questo sguardo, le aziende posizionate dal sesto al decimo posto, vale a dire Yves Saint Laurent, Bottega Veneta (anch’essa del gruppo Kering), Loro Piana (di Lvmh) e Max Mara totalizzano un ranking pari a zero. L’evoluzione dei sistemi di reporting della sostenibilità potrà sicuramente giovare all’esplicitazione delle attività collegate alla comunità e al territorio. In certi casi, l’obbligo della rendicontazione secondo standard condivisi potrebbe essere la miccia per far tornare tutto il sistema a brillare.

Il legame con il territorio

Guardando in retrospettiva questa classifica, su nota che l’italianissimo podio fa capire quanto il legame di un’azienda con il suo territorio dipenda fortemente dalla proprietà. Non può essere un caso che le prime tre società a sviluppare attività sociali in modo più strutturato siano ancora in mani italiane. Non è una garanzia assoluta, come si vede da alcuni grandi nomi che stazionano a fondo classifica, ma è certo una condizione favorevole. Quando invece l’azienda, pur mantenendo il nome italiano è entrata nell’orbita di grandi gruppi, rischia di sbiadire il legame con la comunità e il territorio, che tende a scomparire dai radar perso all’interno di mega report di sostenibilità che abbracciano più Paesi. (3 – continua).

Leggi le prime due puntate:
1.
Brembo, Ferrari e Iveco corrono, gli altri march inseguono
2. Rating sociale, vincono bollicine, caffè e pasta

In apertura, foto di Priscilla Du Preez da Unsplash

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