Cultura

Al limbo, con quei ragazzi come me

di Davide Pozzi, tra i profughi sudanesi al Cairo.

di Sara De Carli

Sono arrivati al Cairo come si arriva a un molo: pronti a partire. Qualcuno parte subito, per altri invece l?attesa è più lunga: la trafila per ottenere il visto ed essere riconosciuti come rifugiati di guerra è lunga. Intanto, senza documenti, non si può nemmeno tornare a casa, in Sudan, e si resta prigionieri di questa terra di mezzo. Ma per la gran parte di essi, in fuga dal Sud Sudan e dal Darfur, dalla guerra e dalla fame, anche l?Egitto può diventare la terra promessa.
Sakakini, la parrocchia di padre Claudio Lurati, è diventata il punto di riferimento per i profughi sudanesi del Cairo. Un appoggio per le pratiche amministrative, un aiuto per trovare casa, una scuola per 1.500 ragazzi, che in questo limbo senza certificati non possono frequentare quelle statali. Qualche lavoretto, anche se il salario è un terzo di quello di un egiziano. Le storie che più mi colpiscono sono quelle dei ragazzi come me, arrivati in Egitto con borse di studio universitarie e mai rientrati. Soprattutto chiacchiero con Martin, tutti gli esami annullati a un passo dalla laurea per aver organizzato una manifestazione di protesta contro il regolamento universitario imposto dal governo. Poi il carcere. «Se fossi rimasto mi avrebbero ammazzato», dice. Da qualche anno insegna a Sakakini, dove è arrivato dopo essere evaso. In silenzio continuiamo a scarteggiare i banchi della scuola. Nessuno dei due ha la minima idea di come si faccia, ma la vita a volte ti porta a fare cose che non avresti mai immaginato. Tanto ai ragazzi non importa se non sono perfetti, penso. E neanche a Martin.

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