Volontariato

Romania, il vuoto negli involucri di lusso

di Ariele Mazzolini, tra i ragazzi di Târsolt.

di Sara De Carli

Târsolt, Romania. La famiglia che mi ospita ha una casa molto bella, sette locali, tutti con il parquet. Sono già un po? scocciato, ci avevano tratteggiato una situazione di povertà e degrado, e invece sono finito in una villa. Strano però: in cucina si cena, ma il cibo lo preparano in uno sgabuzzino in cortile. Mi portano in camera: sul parquet ci dormo, come tutti gli altri, perché non ci sono letti; giusto un materasso. Dulcis in fundo, la sera, in un bagno dalle tenui piastrelle azzurre, apro il rubinetto e scopro che non c?è l?acqua. Le case così sono tante: involucri lussuosi, pensate più per stupire i vicini che per essere vissute. E quasi vuote. Qui a 14 anni si emigra in cerca di lavoro: Francia, Italia, Spagna. Due, tre anni senza tornare, mandando 600 euro al mese. Un patrimonio, visto che il salario medio è sui 50 euro. E quando si torna, per prima cosa, si danno disposizioni per costruire una casa come quelle viste da noi. In queste case restano i bambini e gli anziani. Se va bene, anche le mamme. Loro continuano la vita di sempre, contadini che raccolgono prugne, nonostante i metri quadri di parquet. I bambini dimenticano in fretta la faccia del loro padre, e alcuni non l?hanno mai vista. Siamo qui solo da due giorni, e tra i più piccoli qualcuno già mi chiama «papà». Un po? mi fa sorridere, un po? mi fa arrabbiare. Avrei scommesso che i bambini si sarebbero affezionati più facilmente alle ragazze del gruppo, e invece noi ragazzi siamo stati i primi ad essere studiati e assaltati dai bambini in cerca di attenzioni. I più grandi, quelli con più di 10 anni, ci hanno studiato sospettosi per qualche giorno, poi anche loro hanno svelato il loro bisogno di affetto. Un?affettività da maschi: poche carezze e molti ragazzini che ti si arrampicano sulla schiena, strette di mano, gare a schiacciarsi il pollice? Credo sia quello che i sociologi chiamano «mancanza di figure maschili di riferimento». Il ricordo più bello? Il figlio dodicenne del sacerdote greco ortodosso di Târsolt: per due settimane ha fatto il bullo, non voleva mai giocare a niente e ci guardava con aria di scherno. L?ultimo giorno mi ha abbracciato forte. E ha persino pianto.


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