Famiglia

Loach: “Cari registi, più spazio alla famiglia”

"Sono contento che tematiche sociali e documentari trovino più spazio. Ma oggi c’è una grande urgenza" (di Nicola Nicoletti).

di Redazione

Nella Venezia dominata dai film sul sociale, Ken Loach si sarebbe trovato a casa sua. Wenders, Gitai, Amelio e tanti altri hanno scelto di mettersi (o di continuare) su strade che il grande regista inglese con forza e con convinzione percorre da una vita. Ma lui è sul set dove sta girando un film con due altri big del cinema della realtà, Abbas Kiarostami ed Ermanno Olmi, e con Valeria Bruni Tedeschi protagonista. Unica eccezione a questa full immersion, la presenza a fine luglio al festival di Giffoni, in qualità di ospite ?intervistato? dai ragazzi. Del film non vuole parlare. Accenna solo al fatto che si tratta di un viaggio in treno. Spiega con ironia: «Essendo io di sinistra, non potevo che girarlo in seconda classe». Ma che cosa significa fare film sociale per Ken Loach? «Non vuol dire fare cinema ?politico?. Meglio essere considerato regista impegnato. Politico oggi è sinonimo di annoiato. Io faccio questo lavoro per comunicare qualcosa. Per dare voce a chi non ha la possibilità di esprimersi e ha fiducia in me». Loach riconosce i debiti che ha verso il cinema italiano: «Le mani sulla città è un film che mi ha dato numerosi spunti di riflessione, anche se la pellicola che apprezzo di più è sicuramente Ladri di biciclette». Poi Loach arriva sui temi del presente. E qui lancia il suo affondo, che è anche un suggerimento ai tanti registi che si occupano di sociale: raccontate la famiglia, le sue difficoltà. La famiglia è un tema che è ben presente nel suo cinema (basti pensare al meraviglioso rapporto tra mamma e figlio in Sweet Sixteen), ma Loach indica la necessità di andare oltre. A Vita racconta una situazione che è molto più drammatica di quella dei suoi film più famosi. «In Gran Bretagna non esiste più la famiglia. Sino a qualche anno fa era un argine fragile contro il degrado sociale, un luogo in cui c?era ancora un dialogo, un confronto. Oggi tra tanta disoccupazione e stipendi sempre più bassi, c?è un drammatico disorientamento che si abbatte anche tra le mura di casa, che distrugge tutti i legami. Questo è un dato terribile, che va raccontato». Ma il cinema può avere un compito di suggerire una strada o ha solo il dovere di raccontare? «Certo che il cinema ha un compito. Altrimenti che ci starei a fare io?» E qual è questo compito? «Fare in modo che i rapporti tra la gente siano veri, che i legami familiari siano importanti, forti, e che ci sia un equilibrio tra le persone, dalla famiglia alla società».

Nicola Nicoletti

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Dal vostro inviato speciale: si intitola così la rubrica quotidiana che Daniele Segre pubblica in questi giorni sul sito di Vita (Biennale 2004: dal nostro inviato Daniele Segre). È proprio il maestro del cinema della realtà l?inviato di Vita alla 61a Mostra del cinema di Venezia. Un grillo parlante, e competente, che si aggira per sale di proiezione e sale stampa. E non perdetevi il prossimo numero di Vita in edicola.

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