Riforme
In arrivo il via libera di Bruxelles sul pacchetto fiscale: ecco cosa cambierà per il Terzo settore
La notizia dell'imminente rilascio dell’autorizzazione europea alle norme fiscali del Codice del terzo settore e del d.lgs. 112/2017 imporrà a tutti gli enti, ed in particolar modo alle onlus e imprese sociali di valutare se e come relazionarsi col nuovo ordinamento del Terzo settore e più specificamente in quale sezione del Registro unico (Runts) collocarsi. Il focus del direttore scientifico di Terzjus
di Antonio Fici
Pare ormai in dirittura di arrivo una notizia attesa da diverso tempo: l’autorizzazione europea di cui agli articoli 101, comma 10, Cts (Codice Terzo Settore), e 18, comma 9, d.l.gs. 112/2017, sarebbe infatti in procinto di arrivare[1]. Sarebbe un bellissimo regalo di Natale per il Terzo settore e tutti coloro che gravitano nella sua orbita, perché consentirebbe di poter finalmente contare su norme per tanto tempo (ormai più di otto anni) rimaste inefficaci. Gli effetti positivi dell’autorizzazione europea sarebbero così numerosi da renderne faticosa un’elencazione esaustiva. La riforma potrebbe ritenersi completata (in particolar modo se sarà nel frattempo approvato anche il decreto ministeriale sui controlli sugli ETS) e il quadro giuridico degli enti del terzo settore diverrebbe certo e definitivo (anche se, naturalmente, sempre perfettibile)
Gli effetti dell’autorizzazione su Ets, imprese sociali e onlus
Ebbene, le disposizioni precedentemente menzionate subordinano l’efficacia di alcune norme del Cts e del d.lgs. 112/2017 ad un’autorizzazione da richiedersi a cura del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e da rilasciarsi da parte della Commissione europea ai sensi dell’art. 108, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue)[2].
Più precisamente, ai sensi dell’art. 101, comma 10, Cts, le norme soggette al placet della Commissione sono quelle di cui agli articoli 77, 79, comma 2-bis, 80 e 86, Cts, cui vanno aggiunte, per quanto specificamente riguarda le imprese sociali, quelle di cui agli articoli 16 e 18, d.lgs. 112/2017.
In realtà, l’art. 104, comma 2, Cts, nell’individuare il termine iniziale di applicazione delle norme del Titolo X del Codice (articoli 79-89), subordina al rilascio dell’autorizzazione europea, tutte le disposizioni del Titolo X ad eccezione di quelle di cui agli articoli 81, 82, 83, 84, comma 2, e 85, comma 7. Al riguardo, la norma stabilisce che le disposizioni del Titolo X, inefficaci in attesa del nulla-osta della Commissione, sono applicabili “a decorrere dal periodo d’imposta successivo” a quello in cui l’autorizzazione sarà rilasciata.
Il primo fondamentale effetto dell’autorizzazione europea sarà dunque quello di “sbloccare” il regime fiscale tipico degli Ets (a partire dall’imposta sui redditi e dall’essenziale, al riguardo, art. 79, recante la dicotomia tra Ets commerciali ed Ets non commerciali), che ancora oggi è sospeso tra Cts e Tuir. Poiché il nuovo regime fiscale dovrebbe comunque entrare in vigore a partire dall’1 gennaio 2026 (anche qualora l’autorizzazione venisse rilasciata prima del 31 dicembre 2024)[3], gli Ets avranno dunque un anno intero per comprendere come muterà il loro regime impositivo nel passaggio dalle pertinenti norme del Tuir (o di altri regimi particolari, come quello di cui alla l. 398/1991) al Cts[4] e decidere eventualmente di assumere scelte sostanziali, quali la “migrazione” da una sezione del Registro unico (Runts) ad un’altra (ad esempio da Odv ad impresa sociale oppure da “altro Ets” ad Aps).
Sempre sul versante della fiscalità, di particolare interesse sarà l’effetto che produrrà sulle imprese sociali l’attivazione delle misure di cui all’art. 18 d.lgs. 112/2017, anch’essa tanto attesa.
La non imponibilità degli utili reinvestiti dalle imprese sociali, che porrà fine ad un’ingiustificata disparità di trattamento all’interno della categoria (segnatamente, tra cooperative sociali ex l. 381/1991 ed imprese sociali costituite in altra forma), dovrebbe ulteriormente favorire lo sviluppo di un modello organizzativo del Terzo settore che già dimostra di essere abbastanza apprezzato dagli stakeholder. L’impresa sociale potrà così accogliere, ad esempio, fattispecie associative puramente imprenditoriali che oggi si trovano “forzate” nella veste dell’associazione ordinaria del codice civile (talvolta munita della qualifica di onlus) o dell’associazione di promozione sociale di cui all’art. 35 Cts.
Si deve qui subito mettere in evidenza il potente ruolo che sul “decollo” delle imprese sociali potranno altresì svolgere, una volta divenute efficaci, le misure di cui ai commi 3-5 dell’art. 18. Esse potranno attribuire alle imprese sociali societarie maggiore capacità di acquisire capitale di rischio, tanto più oggi che questo investimento dei soci può essere, ancorché parzialmente, remunerato mediante assegnazione di dividendi (cfr. art. 3, comma 3, lett. a), d.lgs. 117/2017). Specularmente, l’entrata in vigore dell’art. 18 potrà costituire il volano per l’istituzione di fondi di investimento (anche moderatamente lucrativi) specificamente destinati alla promozione e allo sviluppo delle imprese sociali, inclusi quelli costituiti dalle medesime imprese sociali sul modello dei fondi mutualistici di cui alla l. 59/1992 in materia di società cooperative[5]. E i medesimi fondi, a loro volta, potrebbero essere utilmente ed efficacemente gestiti da imprese sociali societarie.
Il secondo effetto fondamentale dell’autorizzazione europea sarà quello di eliminare la categoria delle onlus, che sebbene “congelata” (per effetto di quanto disposto dal DD 561/2021) dal 23 novembre 2021, data di avvio del Runts, è tuttora presente nell’ordinamento giuridico italiano, così come ancora vigente ne è il regime fiscale.
L’art. 101, comma 2, lett. a), CTS, prevede infatti l’abrogazione degli articoli 10-29 d.lgs. 460/1997 “a decorrere dal termine di cui all’articolo 104, comma 2”, ovverosia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in cui l’autorizzazione europea sarà rilasciata[6]. Se, come sembra, l’autorizzazione europea sarà prossimamente rilasciata, la disciplina delle onlud cesserà di esistere a partire dall’1 gennaio 2026.
A quel punto, le onlus che non l’abbiano già fatto, avranno tempo sino al 31 marzo 2026 per iscriversi al Runts ed evitare così l’effetto devolutivo di cui all’art. 10, comma 1, lett. f), d.lgs. 460/1997 (cfr. art. 34, commi 3 e 14, DM 106/2020, e art. 101, comma 8, CTS)[7].
L’ormai prossimo rilascio dell’autorizzazione europea interesserà e coinvolgerà dunque, in maniera diretta, quella moltitudine di enti che ancora popola l’Anagrafe di cui al d.lgs. 460/1997.
Stando ai dati più recenti, vi sarebbero circa 21mila onlus tuttora iscritte all’Anagrafe[8]. Se circa il 25% delle onlus che erano iscritte all’Anagrafe nel novembre 2021 (data di avvio del Runts) ha già spontaneamente scelto il Runts[9], il restante 75% di onlus iscritte, che ancora (in molti casi ragionevolmente)[10] tergiversa nel suo stato, si troverà presto costretto a dover affrontare l’alternativa tra iscriversi e non iscriversi al Registro, ed ancor più specificamente a decidere in quale sezione tra le sette disponibili, iscriversi. Come si comporteranno?
Gli scenari che possono al riguardo prefigurarsi sono i seguenti.
i) Vi sono innanzitutto alcune onlus che per ragioni strutturali potrebbero avere difficoltà, pur volendolo, a iscriversi: il riferimento è ai trust onlus e a quelle onlus soggette al controllo degli enti “esclusi” di cui all’art. 4, comma 2, Cts. Proprio per queste onlus, non a caso, è stata di recente inserita, ad opera della l. 104/2024, un’esplicita previsione nel corpo dell’art. 101, comma 8, con lo scopo di esonerarle, a determinate condizioni, dall’obbligo di devoluzione patrimoniale nel caso in cui non fossero in grado di iscriversi al Runts.
Questo primo gruppo di onlus, la cui consistenza numerica non è nota, potrebbe dunque finire per non iscriversi, anche se – occorre dire – nulla impedisce però che l’ostacolo che si frappone all’iscrizione venga rimosso mediante una trasformazione dell’ente (ad esempio, da trust a fondazione) o modifiche della base associativa o dello statuto finalizzate ad eliminare o impedire il controllo dell’ente da parte dei soggetti “esclusi”: così facendo, queste onlus potrebbero entro il 31 marzo 2026 iscriversi al Runts. Fare previsioni su quante onlus di questo primo gruppo potrebbero scegliere questa seconda strada (solo apparentemente più complessa, ma comunque impattante sulla struttura dell’ente) è ovviamente impossibile.
ii) Le onlus che svolgono le proprie attività di interesse generale con modalità erogative o comunque non imprenditoriali, avvalendosi prevalentemente di volontari e/o di entrate di natura non commerciale (liberalità, quote associative, contributi, ecc.), dovrebbero in teoria tutte quanto optare per l’iscrizione al Runts, poiché la qualifica di “Ets non commerciale” è quella che più, e forse ancora meglio di quella di onlus, si addice (per il regime, non solo fiscale, applicato) alla particolare modalità del loro agire per finalità sociali[11], né vi sono strade alternative percorribili (l’assenza di status determinerebbe l’assenza di “premi”). Così facendo, andrebbero inoltre esenti dall’obbligo di devoluzione patrimoniale di cui all’art. 10, comma 1, lett. f), d.lgs. 460/1997.
Che questo esito sia plausibile lo dimostra il fatto che più del 70% di quelle onlus che hanno già effettuato la scelta di (dismettere la qualifica di onlus ed acquisire la qualifica di ets mediante iscrizione nel Registro), hanno scelto sezioni che necessariamente o in linea di principio ospitano Ets non commerciali, ovverosia le sezioni delle organizzazioni di volontariato-Odv (scelta dal 38,2% delle ex-onlus già iscrittesi al Runts), delle associazioni di promozione sociale-Aps (scelta dal 31%) e degli Enti filantropici (scelta dal 2,3%)[12]. Soltanto l’1,7% di queste onlus ha scelto la sezione delle imprese sociali, mentre il 26,8% ha preferito la sezione degli “Altri ETS”[13] che può ospitare sia enti commerciali che non commerciali.
iii) Le onlus che esercitano le proprie attività di interesse generale in forma d’impresa sono quelle che più avvertiranno il venir meno della disciplina onlus. Queste onlus, infatti, non potranno più contare ai fini dell’imposta sui redditi sull’art. 150 Tuir, che non considerando esercizio di attività commerciale lo svolgimento delle attività istituzionali, le qualifica ope legis come enti non commerciali, e sancisce inoltre (nel suo secondo comma) la non imponibilità dei proventi da attività direttamente connesse.
Il limitato numero di onlus (1,7%) che, in sede di iscrizione al Runts, ha sin qui optato per la sezione “imprese sociali” testimonia lo scarso indice di gradimento che le onlus di fatto commerciali nutrono verso la disciplina del Terzo settore. Tuttavia, una volta abrogata la disciplina delle onlus ed in particolar modo l’art. 150 Tuir, anche queste onlus non potranno, a ben vedere, che iscriversi al Runts, e ciò non solo per evitare la devoluzione patrimoniale, ma anche perché non sembrano esservi anche per loro alternative convenienti. Al contrario, al venir meno della disciplina di cui al d.lgs. 460/1997, ospitalità potrà loro offrire l’ordinamento del terzo settore, e più specificamente la sezione “imprese sociali” del Registro delle imprese, per quanto la relativa disciplina sia ancora suscettibile di miglioramento (si pensi soprattutto alla mancanza di norme ad hoc in tema di Iva). Né va trascurato che molte onlus “moderatamente” commerciali ed attive in determinati settori di interesse generale potrebbero, piuttosto, trovare conveniente iscriversi al Registro nelle sezioni degli “Altri Ets” o delle Aps per poter ottenere la qualifica di non commercialità per effetto delle norme di cui agli articoli 79 e 85 Cts, e potere così avvalersi inoltre di un regime IVA potenzialmente più favorevole per le prestazioni rese (esclusione o esenzione a seconda dei casi).
In definitiva, ancorché sia impossibile effettuare previsioni certe, la cancellazione della figura delle onlus per effetto del prossimo rilascio dell’autorizzazione europea, non potrà che determinare un’espansione degli attuali confini del terzo settore. Escluse alcune onlus che non potranno iscriversi al Runts a meno di non intraprendere percorsi di modifica sostanziale della propria struttura, tutte le altre onlus, tanto quelle di natura imprenditoriale quanto quelle di natura erogativa, difficilmente potrebbero trovare alternative più convenienti dell’iscrizione al Runts, anche tenendo conto dell’obbligo di devoluzione patrimoniale cui andrebbero incontro ove non s’iscrivessero nel registro del terzo settore. Per tutte queste onlus la sfida del prossimo anno sarà piuttosto quella di individuare, tenendo conto principalmente della composizione della proprie risorse umane (lavoratori remunerati e volontari) e della natura delle loro entrate (commerciali e non), la sezione del Runts nella quale iscriversi, anche se, fortunatamente, la facoltà di “migrare” da una sezione all’altra, che la legge riconosce agli enti iscritti al Registro (cfr. art. 50, comma 3, CTS, e art. 22 DM 106/2020), può ridurre le conseguenze negative di eventuali errori compiuti in sede di prima scelta.
[1] Cfr. G. Sepio, In arrivo l’autorizzazione europea per il fisco del Terzo settore, in www.terzjus.it (17 dicembre 2024).
[2] L’art. 108, comma 3, TFUE, in tema di aiuti di stato e loro compatibilità col diritto dell’UE, così dispone: “alla Commissione sono comunicati, in tempo utile perché presenti le sue osservazioni, i progetti diretti a istituire o modificare aiuti. Se ritiene che un progetto non sia compatibile con il mercato interno a norma dell’articolo 107, la Commissione inizia senza indugio la procedura prevista dal paragrafo precedente. Lo Stato membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto a una decisione finale”.
[3] Cfr. G. Sepio, In arrivo l’autorizzazione europea per il fisco del Terzo settore, in www.terzjus.it (17 dicembre 2024).
[4] L’applicazione delle norme del Titolo X del CTS determinerà infatti l’inapplicabilità agli ETS degli articoli 143, comma 3, 144, commi 2, 5 e 6 e 148-149 del TUIR, nonché della l. 398/1991. Ciò non significa, però, che il TUIR non sarà più applicabile agli ETS. Oltre ai rimandi specifici che il CTS fa al TUIR, rimane infatti stabilito dall’art. 79, comma 1, CTS, che anche le norme del TUIR, in quanto compatibili, si applicano agli ETS (diversi dalle imprese sociali) in aggiunta a quelle di cui al titolo X del Codice.
[5] A queste ultime tipologie di fondi fa riferimento l’art. 16 d.lgs. 112/2017, nell’obbligare le imprese sociali a destinare loro il 3% degli utili netti annuali.
[6] Non è questa l’unica abrogazione che l’autorizzazione europea produrrà. Tra le più rilevanti v’è anche quella dell’articolo 8, comma 2, primo periodo e comma 4, l. 266/1991, che prevede norme fiscali ad hoc sulle organizzazioni di volontariato.
[7] Ai sensi di questa norma, le ONLUS hanno “l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’organizzazione, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale o a fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo di cui all’articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, salvo diversa destinazione imposta dalla legge”. Soppressa l’Agenzia per il Terzo Settore, l’organismo competente è oggi il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
[8] Cfr. Rapporto Terzo Settore 2024 di Generali e Cattolica Assicurazioni, p. 25 s.
[9] Cfr. Rapporto Terzo Settore 2024 di Generali e Cattolica Assicurazioni, p. 39.
[10] Ciò alla luce di quanto si osserverà subito dopo nel testo, con riguardo alle ONLUS che svolgono le proprie attività di interesse generale in forma commerciale.
[11] Si pensi solo alla possibilità di avvalersi dei benefici di cui all’art. 83 CTS, nonché alla possibilità di poter esercitare attività “diverse” non necessariamente “connesse”, tra cui le attività di sponsorizzazione.
[12] Cfr. Rapporto Terzo Settore 2024 di Generali e Cattolica Assicurazioni, p. 39.
[13] Cfr. Rapporto Terzo Settore 2024 di Generali e Cattolica Assicurazioni, p. 39.
Foto Wikipedia: Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea a Bruxelles
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