Natale con i poveri

Aver messo sotto l’albero un regalo per il mio bimbo: conta solo questo

Giovanna è arrivata a CasArché dopo un susseguirsi di buche lungo il sentiero, di quelle che fanno cadere. Oggi fa i conti con l'ennesimo contratto non rinnovato, ma ha una casa sua e non perde la fiducia: «Mi hanno insegnato a non arrendermi, a uscire fuori con il sorriso ogni giorno, nonostante tutto»

di Daria Capitani

«Mia nonna diceva sempre che prima di lavarti la faccia al mattino devi avere pulito la casa. E così, finché la casa non è pulita, io non esco». Giovanna ha un sorriso sincero quando si racconta, è appena rientrata dalla spesa: «Mancava il pane». Guardarla negli occhi è un piacere: «Ne ho dovute fare di battaglie…».

Il suo nome è di fantasia, la storia no. Giovanna ha 32 anni, è la mamma di un bambino di quasi 9. Non vive a Milano, ma quando riesce va alla messa celebrata da padre Giuseppe Bettoni, il fondatore di Fondazione Arché. «Quel posto per me è famiglia», dice subito. Ci è arrivata poco prima della pandemia, con un figlio alla scuola dell’infanzia e un susseguirsi di buche lungo il sentiero, di quelle che fanno cadere. «Sono nata in una famiglia benestante, mia mamma e mio papà lavoravano sodo». Il primo inciampo cambia la prospettiva: «Mia madre si ritrovava spesso da sola con noi figli, le capitava di dover chiedere i soldi alla nonna, c’erano liti. Di quel periodo ricordo che a scuola guardavo per ore fuori dalla finestra».

Quello che è accaduto dopo è un susseguirsi concitato, un dolore enorme, la violenza che sembra non far altro che generare violenza. «La cosa brutta è che se vivi certe situazioni, spesso ti ritrovi a riviverle. Ti sembra normale quel tipo di uomo, che poi normale non è». La decisione l’ha presa con un’amica prima e poi con un’assistente sociale. Davanti al giudice, un bambino piccolissimo e diversi tentativi per sentirsi al sicuro in almeno una delle case in cui sarebbe potuta stare, «ho stretto la mano dell’assistente sociale e ho chiesto di poter entrare in comunità».

Giovanna, oggi, racconta questa storia dal suo soggiorno. C’è un albero di Natale accanto al divano e una bella luce. «Ho ottenuto la casa popolare dopo una lunga attesa. Non sarei mai riuscita ad arrivare dove sono ora senza il percorso fatto a CasArché. La prima volta che ci sono entrata ero traumatizzata, non avevo niente eccetto qualche scatolone e il telefonino». Adesso ha un tetto per sé e per il suo bambino, mostra la camera del piccolo, «non manca niente, l’ho dipinta tutta io. A CasArché ci spiegavano continuamente l’importanza di tenere da parte il denaro per il nostro futuro e quello dei nostri figli».

Tra ieri e oggi, c’è un intermezzo fatto di vita in comunità, e poi un progetto di semi autonomia: «Il giorno in cui mi hanno chiesto di attraversare il cortile per andare a vivere in un appartamento da sola ho pianto», racconta. «Al primo tirocinio, avevo paura a prendere la metro, mi venivano gli attacchi di panico, un’educatrice mi ha insegnato a superare il blocco ascoltando la musica. La vita in comunità non è sempre semplice, ma lì ti insegnano a non arrenderti, a uscire fuori con il sorriso ogni giorno, nonostante tutto».

Amo il Natale perché ci insegna a fare piccoli gesti anche per gli altri. Io ci provo ogni giorno: aiutare la vicina anziana a portare la spesa, donare i vestiti che non vanno più… A volte però mi sembra che le persone abbiano paura di chiedere aiuto e anche di riceverlo

Giovanna

Giovanna il sorriso non lo perde nemmeno quando racconta che da inizio dicembre è disoccupata: «Non mi hanno rinnovato il contratto». Come ci si sente a ricominciare da capo ogni volta? «Non sono preoccupata, ho ascoltato bene le lezioni di educazione finanziaria, ho imparato a tenere sempre un gruzzoletto da parte per le emergenze. Potrebbe rompersi qualcosa in casa, bisogna avere i soldi per ripararlo. La cosa più preoccupante è che oggi le persone fanno fatica e ognuno guarda al proprio giardino, tutto l’opposto di quello che ci hanno insegnato a fare in Arché. Io vorrei continuare a fare la segretaria, è un lavoro che amo, ma non mi faccio problemi ad accettare altri tipi di mansione. I problemi sono negli orari (se vivi da sola con un bambino, devi arrivare tu a prenderlo a scuola) e negli stipendi non idonei al costo della vita. Quando mi sono fatta male a un braccio ho dovuto fare delle visite private: non è facile riuscire a pagare tutto, con l’aumento delle spese di luce, gas e affitto».

Una mamma in una delle case di accoglienza di Fondazione Arché supervisiona il gioco dei bambini

Il Natale? «Lo amo, perché è la nascita di Gesù. Ci insegna a fare piccoli gesti anche per gli altri. Io provo a farli ogni giorno: aiutare la vicina anziana a portare la spesa, andare in Arché a portare dei vestiti che non vanno più… A volte però mi sembra che le persone abbiano paura di chiedere aiuto e anche di riceverlo». Per la vigilia di Natale, quest’anno, Giovanna ha un programma speciale: «Ho comprato due pigiami natalizi. Ce li metteremo addosso, io e mio figlio, guarderemo un film di Natale e mangeremo schifezze. E poi aspetterò che il mio bimbo si addormenti per mettere sotto l’albero il suo regalo».

Quali sono le priorità di una mamma con un figlio quando deve far quadrare i conti? «Bisogna rinunciare ad andare a mangiare fuori, a comprare abbigliamento firmato, cercare di evitare le spese superflue. Le cose fondamentali sono la scuola, la sanità e, se si riesce, una settimana di vacanza all’anno. Quello che una mamma deve concedersi sempre sono le amicizie, il curarsi e il volersi bene, perché senza il benessere psicologico non c’è nessun altro tipo di benessere. E poi, bisogna circondarsi di persone sincere che possano dare una mano nella ricerca della felicità».

Ho comprato due pigiami natalizi. Ce li metteremo, io e mio figlio, guarderemo un film di Natale e mangeremo schifezze. Poi aspetterò che il mio bimbo si addormenti per mettere sotto l’albero il suo regalo

Giovanna

Le prossime battaglie di Giovanna sono continuare a lavorare su se stessa per stare sempre meglio e fare in modo che la società si faccia carico della prevenzione della violenza di genere. «Bisogna andare nelle scuole, iniziare dalla quinta elementare, insegnare il rispetto delle donne e delle culture diverse dalla propria. Stare accanto a chi è in difficoltà, perché ci sono giorni in cui facciamo fatica ad alzarci, poi pensiamo a quello che ci hanno insegnato in posti come Arché e ricominciamo. A tutte le persone che sono in difficoltà o che hanno fatto degli sbagli auguro di ritrovare la luce per iniziare un cammino migliore».

La povertà è un tema totalmente dimenticato del dibattito politico e pubblico. Eppure abbiamo tassi mai visti negli ultimi dieci anni. E allora occorre avere il coraggio e la responsabilità di raccontare le storie di chi fatica ad arrivare a fine mese. Perché non solo le “loro” storie, sono le “nostre” storie. Questo articolo fa parte di una serie intitolata “Natale con i poveri”. Leggi anche:

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Gli abitanti delle Vele di Scampia: «Il nostro Natale da “senzatetto”»
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Francesca: «Non sono sola. Per questo sarà un buon Natale, nonostante tutto»

Le fotografie sono di Fondazione Arché e dell’autrice dell’articolo

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