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Aveva ragione Pasolini, la tv è come un’atomica

Il Meeting di Rimini. Parla Giorgio Vittadini. "La vita civile in Italia rischia di venire distrutta dalla cultura dei talk show".

di Giuseppe Frangi

E 25. Edizione importante quella del Meeting di Rimini 2004. La kermesse che, come ormai consuetudine, riaccende i riflettori della vita pubblica dopo i torpori estivi, festeggia il suo quarto di secolo. Si parlerà di questo anniversario nel corso della settimana. Politica permettendo. Quest?anno, infatti, le infinite tensioni della maggioranza non promettono nulla di buono. Non è di questo che interessa parlare a Giorgio Vittadini, 49 anni, uno che di Meeting ne sa qualcosa, essendoseli fatti, in diverse vesti, tutti e 25. Oggi Vittadini, fondatore e per tanti anni presidente della Compagnia delle opere, riveste il ruolo un po? defilato di presidente della Fondazione per la Sussidiarietà. E in questi panni può aggirare la politica e, con l?impeto che gli è proprio, arrivare al cuore di quello che è, o dovrebbe essere il Meeting. Vita: Veniamo subito alla questione. Il Meeting è il luogo di autorappresentazione di un?esperienza? Vittadini: Se guardo indietro alla storia di questi 25 anni, si può leggere un cammino. E questo cammino va nel senso dell?apertura. All?inizio poteva esserci il disegno, magari buono, di imporre un?egemonia culturale. Di lavorare per quella. Oggi è prevalsa l?idea di esser un mondo che fa parlare altri mondi. Non un luogo dove si impone una cultura, ma dove ci si confronta tra diversi. Essere un filo rosso che esprime un dialogo. Vita: In realtà dialogo è una parola che fa parte di un cattolicesimo con il quale avete spesso polemizzato… Vittadini: Sì, se si intende dialogo come alzare bandiera bianca sulla propria identità. Se lo si concepisce come confronto dialettico in cui nessuno è disposto al compromesso. Io penso al Meeting come ad un luogo che ospita. Un luogo dove ci sia possibilità di ascoltarsi reciprocamente, senza isterismi e senza urla. Io non ho paura di avere un?identità, e in forza di questa voglio dialogare con tutti e arricchire me e chi dialoga con me. Ma per far questo ci vuole una condizione: porsi davanti alla realtà in modo assolutamente umile. Percepire il valore di quelli che ho intorno. Perché ognuno può avere un pezzetto di verità. Vita: In effetti il titolo del Meeting di quest?anno è un titolo ?dialogante?, aperto. è così? Vittadini: Certamente. è un titolo che insiste sul senso del limite, che caratterizza realisticamente la condizione dell?uomo, di ogni uomo. Se cade questa percezione si scatenano solo violenze nei rapporti. Noi cattolici parliamo della coscienza di essere peccatori. Ma per chiunque è facile constatare come ogni desiderio di bene faccia i conti tutti i giorni con le contraddizioni e i limite che ci portiamo dentro. Come dice bene il libro della Sapienza, l?uomo è fatto per la vita ma cerca sempre la morte. Partendo da questa percezione della condizione umana è più semplice incontrare gli altri, capirli, costruire assieme una realtà migliore. Vita: Nell?Italia berlusconiana non sembra che si respiri uno spirito così. I muri hanno sbarrato tutti i ponti? Vittadini: Può essere. Ma non facciamone un alibi per arrenderci allo status quo. Rifiuto l?idea del demiurgo o di schieramenti messianici. In questi anni ho imparato che la vera rivoluzione è l?accettazione del quotidiano. È quella fatta di tanti piccoli passi, che desidera il cambiamento senza scorciatoie. Perché il tentativo di costruire un bene, non può essere misurato dalla riuscita. Il bene ha tempi lunghi, e se si è realisti e umili si accetta di lavorare per un bene che verrà e che magari non vedremo. Come dice il titolo, l?importante è ?tendere? verso il bene. Vita: In termini di visione della società cosa significa? Vittadini: Che si deve lavorare puntando a un ?meglio? che riguarda anche la condizione di vita di tutti. In Italia invece vince la conservazione, vince la rendita ad ogni livello, non solo partitico. E invece viene regolarmente soffocato tutto il nuovo. Vita: Un esempio? Vittadini: L?accanimento contro le Fondazioni, che sono un polmone importante che permette a chi non ha altre risorse di crescere, di costruire esperienze o imprese. Ma anche gli ostacoli assurdi che sta incontrando una proposta agile e semplificatrice come la +Dai – versi è un sintomo. Non si vuole permettere ai cittadini di avere voce in capitolo sulla destinazione dei loro soldi. Perché i padroni della rendita temono un?erosione dei loro previlegi. Tremonti ha provato a scalfire questi previlegi. Si è visto com?è finito. Vita: In realtà lui era capofila della guerra alle Fondazioni? Vittadini: Lo so bene. Ma mi ha colpito che sia caduto nel momento in cui ha attaccato la spesa pubblica come fattore di rendita. Comunque, in questo momento è difficile prendere le parti di chiunque. Siamo un po? come dei Robin Hood, che sfidano il grande inciucio degli sceriffi di Nottingham. Quello dei partiti che si sono coagulati in schieramenti che non stanno insieme pur di occupare lo stato. Vita: Non c?è il rischio di un?analisi un po? massimalista? Vittadini: No. Sono profondamente indignato per quello che vedo accadere attorno. Siamo diventati il paese dei talk show, l?immagine più bassa a cui sia stata ridotta la vita civile. I conduttori sono i nuovi presuntuosi guardiani del circo. La verità è che aveva ragione Pasolini: gli ultimi 20 anni della nostra vita collettiva sono passati sotto l?atomica della tv. E in questo scenario io dico: prendiamoci un anno sabbatico, oscuriamo le tv, facciamo che la gente possa guardarsi in faccia e ricominciare a ricostruire con pazienza. So di essere snob. Ma in questo caso sono contento di esserlo. Vita: Snob no. Ma utopista sì? Vittadini: No. Voglio che sia lasciato a tutti il tempo di percepire il valore di ciò che c?è attorno. Il valore di tanti tentativi di costruzione sociale, umili e buoni. La capacità di costruire liberata dall?affanno dell?esito è la cosa più grande che hanno gli uomini. Con un?avvertenza. Vita: Quale? Vittadini: Che ci si può muovere come Ulisse, curioso e mai contento di se stesso, che sull?altare di questa sua curiosità non esita a sacrificare i suoi compagni. Cioè distrugge la socialità. Oppure ci si può muovere come Francesco Saverio, che aveva la stessa curiosità, ma che seppe tradurla in amicizia e in socialità nuova. Davvero ci vorrebbe uno come lui.


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