Violenza di genere
Per Natale vorrei che le donne trovassero il coraggio di denunciare
Si è concluso oggi con una condanna a 20 anni di reclusione il processo a Dominque Pèlicot, che per dieci anni ha stuprato e fatto stuprare da altre decine di uomini la moglie Gisele. Un caso che ha sconvolto la Francia e il mondo, anche grazie al coraggio della vittima, Gisele Pèlicot, che ha trovato la forza di rendere pubblico il procedimento. Ne abbiamo parlato con l'avvocata Irma Conti, Cavaliere della Repubblica per la lotta alla violenza di genere
«Penso anche a tutte le famiglie colpite da questa tragedia. Penso anche alle vittime non riconosciute, le cui storie rimangono spesso nell’ombra». Gisèle Pèlicot ha affrontato con un coraggio da leonessa il processo contro l’ex marito, Dominique Pelicot, che per dieci anni l’aveva drogata, stuprata e fatta stuprare da decine di uomini. Oggi il procedimento, che lei ha voluto fosse pubblico, è giunto al termine, con una sentenza a vent’anni di reclusione per l’ex coniuge e altre condanne per i 50 coimputati. Quella di aprire le porte del processo è stata una decisione di cui Gisèle Pelicot non si è mai pentita, perché spera che crei consapevolezza e dia ad altre donne la forza di denunciare. «Ora ho fiducia nella nostra capacità collettiva di cogliere un futuro in cui tutti possano vivere in armonia e nella comprensione reciproca», ha dichiarato.
Irma Conti, avvocata penalista, presidente dell’Associazione nazionale donne giuriste Italia e Cavaliere della Repubblica per la lotta alla violenza di genere, ha fatto di questi temi una missione. È stata lei, per esempio, a seguire la parte civile nel caso dell’uomo sieropositivo che a Roma dal 2006 al 2016 ha contagiato volontariamente una trentina di donne. «Entrambi sono autori di reati contro le donne, quindi hanno un aspetto criminogeno contro le donne», dice.
Gisèle Pelicot ha deciso di rendere il processo pubblico, cosa ne pensa?
Ha fatto benissimo. In questi casi i media e la comunicazione hanno un ruolo importantissimo. Sono processi e fatti il cui interesse è pubblico ed è intrinseco. Questi reati ancora oggi, nel 2024, sono molto diffusi, tra l’altro con un interessamento della fascia giovanile. C’è sempre di più la necessità di un cambio culturale, che può essere fatto tramite l’informazione. In questa occasione, vorrei esprimere tutta la mia solidarietà a Gisèle Pelicot e a tutte le donne che sono ancora vittime di violenza. E spero che questa solidarietà si trasformi in forza per agire.
In che modo si può agire?
L’unica reazione è la denuncia; è il solo modo per interrompere il circuito della violenza, che non ha un’attenuazione fisiologica. È qualcosa di patologico, che ha sempre un’escalation. È questo il messaggio che dobbiamo passare interessandoci a queste vicende. Deve essere sempre lo stesso, senza effetti scenici ma con un impatto reale su tutte quelle donne che non hanno la consapevolezza di quello che sta accadendo perché sono vittime. Quindi voglio esprimere un riconoscimento non solo alla forza di Gisele Pelicot, ma anche alla funzione che sta avendo, dopo questo tragico vissuto, per chi deve ancora denunciare.
Spesso quando si parla di stupro si pensa che il colpevole sia uno sconosciuto. Invece, in molti casi, come in questo, si tratta di un familiare.
Succede in tanti casi e in modi diversi. Per esempio anche subire una modalità sessuale e di manifestazione della coppia che non è quella che la donna condivide. Ci sono donne che tollerano per 20,30 o 40 anni per evitare la disgregazione familiare. Questo concetto è errato, perché una famiglia che ha in sé una situazione patologica così cronicizzata è già disgregata; mantenendola, anche i figli subiscono, perché capiscono e vivono quello che sta succedendo. Lo rappresenta bene il film di Paola Cortellesi (C’è ancora domani, ndr), quando la mamma ridendo e scherzando chiude la porta per attendere di essere picchiata.
La sentenza, in questo caso, cosa può portare alla vittima?
Un nuovo inizio. È cessata quella violenza. Adesso il processo finisce, deve rimanere alle spalle. Il vissuto ovviamente è difficile, però adesso ha la forza di una nuova vita. Non è tanto l’entità della pena che conta: quella è un fatto dello Stato, come ha da poco dichiarato anche il papà di Giulia Cecchettin. Quello che conta è la rinascita della vittima e la giusta condanna dell’autore di reato.
Dominique Pelicot utilizzava internet per trovare gli stupratori, animava anche un forum online in cui si discuteva di queste cose. È un fenomeno diffuso anche da noi?
Il diritto e la tecnologia si rincorrono a vicenda in Italia. Abbiamo il revenge porn che costituisce un reato specifico, che consiste nella diffusione, reiterazione e divulgazione sui social tramite chat e sistemi informatici di immagini e filmati che avrebbero dovuto rimanere privato. Quest’uomo cercava anche altri utenti; è un abuso di strumenti nati per tutt’altro. Si tratta di crimini contro le donne, bisogna dirlo: :«Io abuso di te, ti maltratto, ti violento e ti faccio violentare per il solo fatto di essere donna». Sono concetti gravi, antichi, inaccettabili, però ancora presenti nei contesti in cui viviamo.
In questo caso sembra quasi che la moglie fosse vista come una proprietà del marito, di cui poteva disporre come voleva.
Risaliamo negli anni a quando una donna non poteva votare, quando doveva chiedere il permesso per poter esercitare una professione. Vede com’è arretrato il pensiero a parte di questi uomini, che pensano di essere tanto potenti, tanto avanti, invece dimostrano solo la loro criminalità. Abbiamo un aumento esponenziale dei detenuti per reati riconducibili a maltrattamenti in famiglia, anche in virtù delle politiche che stiamo attuando, che hanno portato a un aumento delle denunce e quindi a un’emersione di questi crimini di genere. Quello di Gisele Pèlicot è un altro esempio di donna che ce l’ha fatta. Voglio mandare un messaggio, oggi, a ridosso del Natale. Siamo nel periodo in cui domina l’amore, quell’amore che dovrebbe essere il contesto in cui ogni uomo, donna e famiglia – perché spesso sono coinvolti anche i bambini – vivono. Invece ci sono ancora persone che soffrono questi drammi. Io mi auguro che le donne, amandosi, riescano a denunciare e a uscire dalle situazioni di violenza.
In apertura AP Photo/Lewis Joly/LaPresse
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