Disabilità & Tv
Noi, “mamme dei pinguini”, siamo tutte mamme combattenti
Una serie targata Netflix porta per la prima volta in tv la quotidianità delle mamme con un figlio con disabilità. Per tutte loro la "lotta" non è solo una metafora. Abbiamo visto "Le mamme dei pinguini" insieme a Monica, mamma caregiver di una bambina con sordocecità
«Quando il figlio di sette anni cambia scuola, una lottatrice di Mma capisce che dovrà combattere più duramente come madre che nell’ottagono». È questa la descrizione che Netflix fa della serie polacca Le mamme dei pinguini, da poco disponibile sulla piattaforma. La mamma combattente, però, scenderà in campo su un altro ring.
Nelle sei puntate della serie vengono tratteggiati i profili di alcune madri – e un padre, forse due – caregiver, i cui figli vivono disabilità di diverso tipo. Un universo frastagliato, fatto di situazioni molto differenti tra loro, tratteggiate forse in maniera un po’ semplicistica, ma con un cuore importante: il coraggio delle mamme, che fanno di tutto per i propri figli. Nel mondo della disabilità questo è un ritratto che a volte sta stretto, un’etichetta da cui tante mamme vorrebbero liberarsi: hanno ragione, non dovrebbero servire lotte per vedersi riconosciuti quelli che sono semplicemente dei diritti, non delle concessione. La realtà però alla fin fine spesso è questa: avere un figlio con disabilità ti costringe prima di tutto a lottare, combattere, ad avere coraggio e testardaggine per denunciare ciò che non va, per chiedere, bussare, provare, sollecitare.
È la quotidianità che racconta anche Monica Meloni, mamma caregiver di Giulia, bimba nata sordocieca e con malformazioni ai reni e ai malleoli, seguita dalla Lega del filo d’oro. Insieme a lei abbiamo visto la serie Le mamme dei pinguini.
Quello che è stato portato in tv somiglia alla realtà o no?
A parte il sistema scolastico, diverso dal nostro, perché nella scuola ci sono tanti bambini disabili e solo pochi “normodotati”, tutto il resto è molto simile. Per esempio, quando le mamme si uniscono per far battaglie o per creare associazioni. Per tappare, insomma, i buchi nella vita dei nostri figli e nei servizi.
È capitato anche a lei quindi di dover lottare per sua figlia?
Assolutamente. Comma 255 è un movimento nazionale di caregiver di cui ho fatto parte e che abbiamo creato nel periodo dell’epidemia di Covid-19, perché venivano stanziati fondi per tutti e non per i caregiver. Il fondo per noi esiste già da tempo, ma è stato sbloccato solo negli ultimi anni. Nel periodo della pandemia ci siamo trovati a fare anche da fisioterapisti.
Nella serie sono rappresentati diversi approcci alle diagnosi dei figli. La protagonista, che ha un figlio nello spettro autistico, per esempio, all’inizio ha un rifiuto.
All’inizio è sempre difficile. Da noi, per avere il sostegno e gli assistenti a scuola devi firmare una dichiarazione in cui affermi che sei consapevole della disabilità di tuo figlio e per questo chiedi le figure di supporto. Se un genitore non firma, nonostante la disabilità, anche certificata, del figlio, la scuola – o il Municipio, nel caso di Roma – non è autorizzata a dare le figure che servono. Giulia è nata con una pluridisabilità, ma è diverso quando si parla dello spettro autistico. Ho conosciuto una mamma di un bambino Asperger che ha avviato le pratiche soltanto quando il figlio era in terza elementare.
Un po’ come la protagonista del film, insomma.
Esatto, nonostante i problemi si vedessero. Un giorno, per esempio, erano arrivati i nonni dalla Sicilia. Hanno trovato il bambino seduto in bagno che piangeva perché la nonna aveva lasciato le ciabatte nella stanza: un grande cambiamento per lui. Da lì l’abbiamo tutti supportata perché avviasse le pratiche necessarie alla certificazione. Non è facile, bisognerebbe essere accompagnati. In Lazio, per esempio, lo psicologo è una scelta tua, non c’è nell’equipe che stabilisce la disabilità: c’è il neuropsichiatra, c’è l’assistente sociale che dà consigli sulle pratiche, ma non c’è una figura che segua l’andamento della famiglia nell’accettazione della disabilità.
Nella serie, la mamma di Michael, un bimbo con distrofia muscolare, ha invece problemi con il marito. Sono cose che accadono?
Assolutamente sì. Le famiglie si sfasciano. Non tutte reggono, non tutte hanno gli strumenti per rimboccarsi le maniche. Quella del caregiver è una professionalità – mi passi il termine – che lo Stato dà per scontata. Noi ci prendiamo cura con amore dei nostri figli, ma è un lavoro a tutti gli effetti. Se ci fa caso, nel film, accanto al letto di Michael c’è un lettino: quindi i genitori, probabilmente a turno, dormono col figlio, per aiutarlo. È una realtà che molti caregiver vivono.
Un altro personaggio della serie è la “mamma attivista e social”.
Innanzitutto quella è una mamma benestante e quando sei benestante hai altri strumenti. Ha adottato anche un altro bambino con sindrome di Down, però ha una badante, è aiutata. Ha anche una stanza sensoriale: le pare? Chi c’è l’ha in casa una stanza sensoriale? A parte questo, è vero che i social ti aiutano e non ti fanno sentire sola, perché basta che li apri e ti rendi conto di quante altre situazioni esistono.
Quindi le disuguaglianze, già molto presenti nella società in generale, si fanno più evidenti quando si tratta di caregiver?
Quello del caregiver è un lavoro di cura vero e proprio. È fatto con amore, ma c’è da dire che ci sono alcune persone che se potessero scapperebbero e non lo fanno solo perché sarebbe abbandono di incapace. Ci sono tantissimi caregiver che lasciano la loro professione, tante mamme soprattutto, perché non puoi fare tutte e due le cose. Per tutti i primi tre anni di Giulia – è nata sordocieca e con malformazioni ai reni e ai malleoli – abbiamo dovuto andare ogni 15 giorni al Bambin Gesù. Sarebbe stato impossibile lavorare in ufficio.
Non c’è supporto, quindi, è tutto demandato alla famiglia.
Di fatto è proprio così, in alcune Regioni. Tu hai la croce e tu te la porti. I caregiver hanno situazioni molto diverse, ma tutti chiedono i contributi, per esempio. Ci sono persone che hanno perso il figlio e che improvvisamente, oltre a non avere più la persona a cui si sono dedicati per 30 anni, si sono ritrovate a 60 o 70 anni senza sussidi, senza entrate, senza speranze di poter rientrare nel mondo del lavoro. È un incaglio legislativo, un grosso problema dello Stato. E non dico nulla del lato emotivo. Tanti genitori non fanno altri figli, perché non vogliono farli nascere già con il carico di doversi prendere cura del fratello o della sorella. Così danno tutto a un figlio, come abbiamo fatto noi. Se succede qualcosa a Giulia, la nostra vita è finita sotto tutti i punti di vista, perché le nostre giornate sono completamente incentrate su di lei.
Nella serie pare che tutto sia sulle spalle delle mamme.
Perché magari tra i genitori è quella che rinuncia al lavoro. In realtà ci sono anche molti papà caregiver. Però, pensi: nella serie c’è la mamma di Michael che resta fuori da scuola tutta la mattina per portarlo al bagno. Conosco persone, soprattutto con figli alle materne e alle elementari, che rimangono nei paraggi della scuola tutta la mattina per portare i medicinali ai figli nel caso in cui avessero delle crisi epilettiche. La nostra realtà è fatta di cose così, che da fuori sembrano assurde. Per esempio c’è questo grosso problema nella scuola:, per cui non si sa chi somministra i farmaci. Quindi davvero la tua vita è incentrata tutta su tuo figlio. Quella della mamma, certo, ma anche di tanti papà. E poi bisogna ricordare che caregiver è chi si prende cura di un proprio caro nato o diventato disabile, non necessariamente di un figlio: ci sono anche mogli, mariti, fratelli, sorelle, familiari.
Cosa le è piaciuto di più della serie e cosa non le è piaciuto?
Senza dubbio il sistema scolastico che viene presentato è diverso dal nostro: è quello polacco, non lo conosco e non saprei cosa dire. Quello che mi è piaciuto di più è vedere il coraggio che, come sempre, le mamme ci mettono. Siamo mamme che organizzano manifestazioni e che lottano. Le ho vissute in prima persona queste cose, so quanto una madre può arrivare ad essere combattiva per ottenere il meglio per il proprio figlio. Ho visto molte similitudini con i caregiver italiani, sì. Non ho trovato grossi lati negativi nella rappresentazione della nostra realtà quotidiana.
Le foto della serie sono state fornite dall’ufficio stampa Netflix, la foto di Giulia e della mamma da Monica Meloni
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