La battaglia delle associazioni di pazienti

Papilloma virus: una minaccia non solo per i giovani

Questo virus a trasmissione sessuale è causa di molti tipi di tumori, ottomila nuovi casi l'anno, tutti evitabili con due potenti mezzi: vaccino contro l'Hpv per maschi e femmine e screening cervicale per le donne. Ma ancora in pochi lo sanno

di Nicla Panciera

«A mia figlia non serve, è una brava ragazza». «Mio figlio? Forse lo farò vaccinare per il bene delle compagne». «Parlare con la mia compagna dell’infezione? E se poi pensa che l’ho tradita?» «Mi sono già infettata anni fa, ora sono al riparo». Tutte affermazioni errate che confermano, insieme ai dati epidemiologici, che il papilloma virus umano Hpv – un virus a trasmissione sessuale molto diffuso – non è ancora patrimonio della conoscenza degli italiani. E ancora meno lo è il fatto che c’è un vaccino che mette al riparo dai tanti tipi di questo virus che sono cancerogeni, perché creano lesioni pre-cancerose che possono trasformarsi in cancro.

Parliamo di utero, ano, vagina, vulva, pene, cavità orale, faringe e laringe, ma anche testo collo. Sono quasi ottomila i nuovi casi di cancro l’anno sarebbero evitabili perché riconducibili all’infezione da Hpv. In che modo? Con un vaccino, appunto, che previene l’infezione da parte dei virus del papilloma responsabili della maggior parte di questi tumori. Un vaccino che è sorprendentemente poco noto e poco usato.

Un vero e proprio paradosso se si pensa il terrore che ancora accompagna la parola “tumore” e il fatto che questo virus è praticamente la causa di tutti i tumori alla cervice uterina, dell’88% dei tumori anali, del 78% dei tumori vaginali, del 53% dei tumori del pene e del 25% dei tumori vulvari e di circa il 40% dei tumori del distretto testa-collo.

«Se si vaccinassero il 90% delle donne, in 20 anni scomparirebbe il cancro al collo dell’utero» dice Giancarlo Icardi, coordinatore del comitato scientifico della Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica. La sua eliminazione è un obiettivo di sanità pubblica proposto dall’Oms, le cui stime indicano che il 5% di tutti i casi di cancro nel mondo è associato all’infezione da Hpv. Arrivare a questo obiettivo con vaccinazione e screening non è un’utopia, come dimostrano i casi di Svezia, Usa, Danimarca e Finlandia, ma anche dell’Australia che nel 1991 ha istituito il suo programma di screening sui tumori cervicali ed è stata tra i primi paesi ad adottare la vaccinazione per l’Hpv e a estenderla a entrambi i sessi, con un elevato tasso di copertura che la farà a breve diventare il primo Paese quasi totalmente libero da questo tumore.

Un obiettivo cui molte associazioni di pazienti lavorano da tempo, con la firma nel 2021 del “Manifesto per l’eliminazione dei tumori Hpv correlati“, aggiornato poi quest’anno. Le associazioni aderenti sono Fondazione IncontraDonna, Consiglio Nazionale Giovani, Cittadinanzattiva, Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia Favo, Fondazione Umberto Veronesi, Think Young, cui si sono poi aggiunte anche Acto, aBRCAdabra, Lilt, Loto, Europa Donna e Fondazione PRO, oltre alle società scientifiche.

«La possibilità di prevenire i tumori con le vaccinazione è una consapevolezza poco diffusa, tanto meno presente quanto minore è il livello di scolarizzazione, è presente solo nel 32% dei genitori intervistati; più nota alle mamme, il 92%, che ai papà, il 75%» spiega Ketty Vaccaro, responsabile dell’Area salute e ricerca biomedica del Censis, riportando alcuni dati della ricerca “Papilloma virus: verso l’eliminazione dei tumori da Hpv. A che punto siamo?”. Da cui emerge che il ginecologo è una fonte di informazione importante, ma c’è un gap preoccupante tra le informazioni trasmesse relative al papilloma virus e quelle relative alla possibilità di proteggersi con un vaccino. «Nel 27% dei casi, è stato il ginecologo a dare informazioni alle donne sull’Hpv, ma solo il 20% ha dato informazioni anche sulla vaccinazione. È come se si raccontasse solo una parte della storia» continua Vaccaro. «Al 24% di donne della survey che si è vaccinata, chi l’ha consigliato? Solo nel 30% dei casi è stato il ginecologo. Dai dati emerge anche che il 71% delle donne che ha avuto problemi di vario tipo legati all’Hpv non ha ricevuto il consiglio di vaccinarsi. Da migliorare, quindi, la comunicazione alle donne: l’83% delle donne ha ricevuto dal ginecologo il consiglio di fare il pap-test ma solo il 29% il consiglio di vaccinarsi».

Perché questa diffidenza? Da un lato, la generale perdita di terreno della vaccinazione come metodo di prevenzione, come evidenzia anche il Censis. Nel caso poi dell’Hpv, si aggiungono ragioni che poco hanno a che fare con l’efficacia del vaccino ma più culturali. «La vaccinazione non ha sesso e non ha età. Esattamente come il virus» spiega Paolo Cristoforoni della Società italiana di colonscopia e patologia cervico-vaginale «Il papilloma virus infetta la maggior parte delle persone entro un anno dal debutto sessuale; è un’infezione asintomatica di cui l’organismo si sbarazza nel giro di un 14 mesi in oltre nove casi su dieci. Quando non ce la fa a eradicare il virus, le cose però si fanno serie».

Vanno smentite alcune false credenze. Un’infezione eradicata in passato non mette al riparo per sempre da altri ceppi ad alto rischio, per questo c’è il vaccino. Inoltre, «il virus è pericoloso anche per i maschi» dice lo specialista: la vaccinazione il protegge da condilomi anogenitali e da alcuni tumori correlati all’infezione, come quelli del pene, dell’ano e della base della lingua. La vaccinazione maschile è raccomandata nel Codice europeo contro il cancro dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro Iarc di Lione. Inoltre, vaccinando sia maschi sia femmine si limita la circolazione del virus. Infatti, «la presenza di Hpv-Dna è stata segnalata nell’asta del pene, nel glande, nel solco coronale, nello sperma e nelle regioni scrotale, perianale e anale. Questo dato ha suggerito un possibile ruolo dei maschi come serbatoi dell’infezione» spiega Icardi «Nei maschi la prevalenza dell’infezione resta costante durante tutta la vita, mentre nelle donne si osserva un picco intorno ai 25 anni e poi un secondo intorno ai 45 anni. Per questo, la strategia è di integrare prevenzione primaria e secondaria, rispettivamente con il vaccino e lo screening». Infine, non hanno alcuna base scientifica tabù e ritrosie di chi evita di parlare di Hpv per timore che l’infezione sveli un’infedeltà: «Il virus alberga in noi» afferma Cristoforoni «L’infezione può manifestarsi in qualunque momento, per un calo delle difese immunitarie o altri motivi senza per questo essere riconducibile a un evento recente». Un chiaro esempio di questo sono le pazienti oncologiche in trattamento chemioterapico in cui viene scoperta l’infezione, pur in assenza di rapporti sessuali per le condizioni di salute, ricorda Adriana Bonifacino, presidentessa della Fondazione IncontraDonna firmataria

Per raggiungere gli obiettivi bisogna incentivare e potenziare la prevenzione oncologica primaria (vaccinazione) e secondaria (lo screening con pap test e hpv test). «I vaccini sono offerti gratuitamente a uomini e donne dai 12 ai 26 anni, ma con dati di efficacia anche in donne fino a 45 anni di età e in chi ha già ricevuto trattamenti per lesioni pre-neoplastiche» spiega Giancarlo Icardi.

In Italia, si deve fare di più. Per le due coorti di nascita del 2010 siamo solo al 38% di copertura raggiunto fra le femmine e al 31% registrato tra i maschi. Persistono poi all’intero del territorio nazionale forti differenze tra i tassi riscontrati nelle diverse Regioni.

IncontraDonna è molto attiva sulle piazze e tra la gente. «Andrebbero attuate iniziative per favorire l’accesso ai servizi di vaccinazione» conclude Bonifacino «Come nelle farmacie o open-day, noi andiamo anche nei concerti, momenti sui territori che devono essere preceduti da una comunicazione efficace, pensata per ciascuna fascia d’età cui rivolgersi, i giovani stessi e le donne d’età compresa tra i 30 e i 40 anni».

Foto di Ann Danilina su Unsplash

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