Diritti sospesi

Più di dieci anni per scoprire la malattia rara

Diagnosi lente, difformità territoriali e rinuncia alle visite: il 22° Rapporto sulle politiche della cronicità a cura di Cittadinanzattiva ci offre un’analisi della situazione e alcune proposte per cambiare rotta. A cominciare da: «Un patto rinnovato fra le istituzioni, in particolare tra stato e regioni», spiega la segretaria Mandorino

di Nicola Varcasia

Essere malati senza sapere di cosa. In più di un caso su quattro la diagnosi di malattia cronica e rara si riceve dopo oltre i dieci anni. Ci sono poi difformità territoriali nell’erogazione delle prestazioni sanitarie, dal supporto psicologico all’assenza di percorsi specifici, di centri specializzati o di una rete di presidi dedicati. Nel capitolo dei costi, quasi due malati su tre li sostengono per le visite specialistiche private, uno su due per gli esami diagnostici o per acquistare farmaci necessari che il Servizio sanitario non rimborsa. Emerge così il fenomeno della rinuncia alle cure, segnalato dal 30% degli intervistati: per un su dieci l’abbandono per questi motivi avviene di frequente.

Oltre 24 milioni di persone

Il 22° Rapporto sulle politiche della cronicità presentato da Cittadinanzattiva, dal titolo Diritti sospesi, non fa sconti. L’indagine, effettuata su tutto il territorio nazionale, ha interessato 102 presidenti delle Associazioni dei malati cronici e rari, 3.500 persone affette da patologia cronica e rara e i loro familiari. D’altra parte, le malattie croniche interessano il 40,5% della popolazione italiana, pari a 24 milioni di persone, mentre le persone affette da almeno due patologie croniche sono 12,2 milioni. Gli ultra 75enni affetti da una patologia sono l’85%, il 64,3% da due o più patologie. In base ai dati la tendenza è che nel 2028, i malati cronici saliranno a 25 milioni, mentre i multi-cronici saranno 14 milioni. In riferimento alle malattie rare, le indagini del registro nazionale dell’Istituto superiore di sanità stimano 20 casi di malattie rare ogni 10mila abitanti e ogni anno sono circa 19mila i nuovi casi segnalati. Il 20% delle patologie coinvolge persone in età pediatrica, cioè di età inferiore ai 14 anni.

Da dove partire

«Da diversi anni il dibattito pubblico riconosce nella cronicità l’ambito che richiede, anche per le caratteristiche demografiche del nostro Paese, maggiore innovazione e maggior investimento in termini professionali, organizzativi ed economici. Piani e norme non mancano e, in genere, ben definiscono i diritti delle persone con malattia cronica e rara.

Ma, troppo spesso, restano sospesi nelle more delle decisioni, negli ostacoli che le istituzioni tendono a frapporsi, nella insufficiente partecipazione dei pazienti e delle loro associazioni, nelle maglie di procedure poco orientate alla concretezza», osserva Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva. Questo, soprattutto, denuncia il Rapporto: «La necessità di politiche pubbliche efficaci per ora e per il futuro, e l’urgenza di un patto rinnovato fra le istituzioni, soprattutto nel rapporto fra Stato e Regioni, per accelerare i tempi di esigibilità dei diritti e dar loro attuazione in modo equo a tutti i pazienti in tutto il Paese», aggiunge Mandorino, che con il suo movimento sta monitorando l’iter della fondamentale legge sui caregiver.

Diagnosi troppo lunghe

Il rapporto è molto documentato, qui riassumiamo alcuni dei numeri principali riportati da Cittadinanzattiva. Per il 27,6% delle persone affette da patologia cronica, il tempo necessario per dare un nome ad una serie di sintomi e disagi è stato superiore a 10 anni. Molto ampia la percentuale di persone che hanno atteso dai due ai dieci anni per ottenere la diagnosi (22,9%). Solamente per il 18,1% il tempo per la diagnosi è stato meno di sei mesi. Nell’84,9% dei casi si tratta di pazienti con patologia cronica riconosciuta ma, per un 7,6%, la patologia non è riconosciuta e non viene garantito il diritto all’esenzione dal ticket.

Scarsa conoscenza

Gli elementi che ostacolano maggiormente la diagnosi precoce della malattia: con l’80,2%, la scarsa conoscenza della patologia da parte dei medici di base e pediatri; segue la sottovalutazione dei sintomi (68,9%), gli elementi comuni ad altre patologie (54,7%); il poco ascolto del paziente (46,2%); la mancanza di personale specializzato sul territorio (42,5%); le liste di attesa eccessivamente lunghe (23,6%). Il tema dei tempi d’attesa si fa più critico nel momento dell’avvio del percorso terapeutico. Per ciò che attiene le liste di attesa, gli ambiti più segnalati sono: 64,6% prime visite specialistiche; 56,1% visite di controllo e follow-up; 53% esami diagnostici; 60% riconoscimento invalidità civile e/o accompagnamento; 45,3% riabilitazione; 39,7% riconoscimento handicap.

La presa in cura

Il rapporto Diritti sospesi di Cittadinanzattiva presentato a Roma

Gli aspetti più carenti ai fini di un’adeguata presa in cura per la patologia di riferimento sono: coordinamento fra l’assistenza primaria e specialistica 69,8%; continuità assistenziale 48,1%; liste di attesa 44,3%; integrazione tra aspetti clinici e socioassistenziali 43,4%. Il 44% dei pazienti lamenta inoltre problemi con le cure a domicilio, a causa dell’inadeguato numero di ore di assistenza erogate; della difficoltà nella fase di attivazione/accesso; della carenza di alcune figure specialistiche e di assistenza, in particolare di tipo sociale.

Altre proposte

«I dati del Rapporto delineano in modo sempre più evidente, le problematiche che si sono radicate nel tempo per i pazienti cronici e rari e per le loro famiglie, impedendo loro di accedere pienamente e in maniera uniforme alle cure. Su questo chiediamo come primo atto urgente il recepimento in conferenza Stato – Regioni del nuovo Piano nazionale della cronicità 2024 e il monitoraggio costante degli obiettivi previsti. Va inoltre garantita al più presto una revisione costante e certa dei Livelli essenziali di assistenza, l’aggiornamento del Decreto tariffe per la specialistica ambulatoriale e la protesica, con cadenza almeno biennale, e l’aggiornamento del panel che riguarda gli screening neonatali estesi», dichiara Tiziana Nicoletti, responsabile coordinamento nazionale delle Associazioni dei malati cronici e rari – Cnamc.

L’ostacolo dei costi

Altro elemento critico riguarda i costi per accedere ad alcune prestazioni: il 59,8% dei cittadini ricorre a visite specialistiche effettuate in regime privato o intramurario; il 52,8% acquista farmaci necessari e non rimborsati dal Ssn; il 50% effettua esami diagnostici in privato o in intramoenia; il 47,5% acquista parafarmaci (es. integratori alimentari, dermocosmetici, pomate). Il 42,4% spende privatamente per la prevenzione terziaria (diete, attività fisica, dispositivi); il 36,3% per la prevenzione primaria e secondaria; il 22% per il supporto psicologico; il 16,9% per spostamenti dovuti a motivi di cura; il 14,7% per le visite specialistiche o attività riabilitative da effettuare a domicilio e il 12% per l’acquisto di protesi e ausili non riconosciuti (o insufficienti nella quantità/qualità erogata). Oltre il 30% dei pazienti informa di aver dovuto rinunciare alle cure. Nel 19% dei casi è capitato in modo sporadico ma, per oltre il 12%, è capitato spesso.

Difformità territoriali

Per i presidenti delle associazioni dei pazienti questi sono gli ambiti in cui si riscontrano maggiori difformità regionali: innanzitutto (79,2%) il supporto psicologico; a seguire la presenza di percorsi diagnostici terapeutici assistenziali – Pdta (77,4%), la presenza di centri specializzati (73,6%); la modalità di gestione delle prenotazioni e dei tempi di attesa (72,6%); le prestazioni necessarie non ricomprese nei Lea (70,8%). Rispetto ai Pdta, Il 63,2% degli intervistati sa che ne esiste uno per la propria patologia; solo nel 28,4% dei casi si tratta di piani nazionali, mentre nel 71,6% dei casi sono Pdta regionali, nel 31,3% aziendali e nel 7,5% distrettuali. Per quanto riguarda le regioni dove è presente un Pdta di patologia, primeggiano Lombardia e Toscana, a seguire Piemonte, Lazio, Emilia-Romagna, Veneto.

Bisogni assistenziali e sostegno

I Medici di famiglia continuano ad essere il primo punto di riferimento per il paziente (75,2%). Al secondo posto troviamo lo specialista privato con il 41,7%. I dati confermano che è quasi sempre il cittadino a doversi occupare di prenotare la prestazione di controllo, contrariamente a quanto indicato, prima, dal Piano nazionale governo liste d’attesa 2019 – 2021 e successivamente ribadito dal nuovo Decreto. Anche per ciò che attiene alle informazioni ricevute sull’importanza di seguire correttamente la terapia farmacologica vi sono risposte non positive. Oltre un paziente su quattro non ha ricevuto informazioni chiare ed esaustive. Spesso il tempo di ascolto e di cura non è abbastanza. Questo è un problema che subiscono non solo i cittadini, ma anche i medici, alle prese con ambulatori affollati e tempi ridotti.

Foto in apertura e all’interno da Cittadinanzattiva

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