Emergenza
Siria, un Paese dai bisogni immensi
«Siamo testimoni di un cambiamento epocale: fin da subito ci siamo detti che avremmo continuato a lavorare ovunque sarebbe stato possibile». La responsabile dei progetti Avsi in Siria Valeria Orsolano racconta una settimana intensa di monitoraggio dei bisogni di una popolazione che ha vissuto un susseguirsi di crisi. La ong è presente nel Paese dal 2015: con “Ospedali Aperti” ha curato più di 170mila persone in sette anni
Nella notte tra sabato 7 e domenica 8 dicembre le forze del gruppo Hay’at Tahrir al-Sham sono entrate a Damasco. Dopo quasi 14 anni di guerra civile, in pochi giorni è caduto il regime siriano e il presidente Bashar al-Assad ha lasciato la capitale. Le reazioni e le analisi si rincorrono, si cerca di leggere quello che sarà un nuovo assetto geopolitico, infinite incognite restano in attesa di risposta. È la Storia che entra nelle storie, singole e umane, delle persone. Ogni anno Fondazione Avsi ne sostiene a migliaia in Siria, dove è presente dal 2015.
Valeria Orsolano è arrivata a Damasco un anno e mezzo fa per coordinare gli aiuti dopo il terremoto che una mattina di febbraio del 2023 ha colpito duramente l’area, tanto da essere definito «il peggior disastro degli ultimi 100 anni nella regione». Torinese, è la responsabile dei progetti Avsi in Siria. Parlarle è complicato in queste giornate: in linea con le altre organizzazioni internazionali, sabato scorso è stata evacuata a Beirut, in Libano, e da allora è in contatto costante con i 24 membri dello staff presenti tra Aleppo, Latakia e Damasco, dove si trovano gli uffici.
Un cambiamento storico
«È stata una settimana intensa e di grande incertezza», racconta. «Ora abbiamo superato il picco di tensione della scorsa settimana, quando il conflitto ha raggiunto il suo apice. Siamo testimoni di un cambiamento epocale e storico: fin da subito ci siamo detti che avremmo continuato a lavorare ovunque sarebbe stato possibile». E infatti sono operativi i tre ospedali del progetto “Ospedali Aperti”, due a Damasco e uno ad Aleppo, dove i pochi medici, infermieri e operatori rimasti mantengono le strutture in funzione. «Prosegue il lavoro di quattro dei cinque dispensari attivati, che offrono servizi di prima assistenza sanitaria. È un presidio importantissimo», continua Orsolano, «per evitare il rischio di ospedali vuoti, staff assente e mancanza di rifornimenti».
Per Avsi, che è presente in tutta la regione con sedi e operatori in Libano, Siria, Iraq, Giordania e Palestina, è difficile come per tutti in queste ore immaginare che cosa accadrà. Quello su cui non ci sono dubbi è che la ong manterrà uno sguardo attento agli equilibri complessi dell’area: «Siamo pronti a rispondere ai bisogni della popolazione. Siamo ottimisti di poter tornare presto operativi, riprendendo anche le attività che abbiamo temporaneamente sospeso».
Tra i bisogni fondamentali, centrale è il supporto psicosociale: «La Siria ha vissuto tante crisi una dopo l’altra, non c’è stato il tempo per elaborarle e raccontarle. C’è una forte necessità di superare l’instabilità».
Il progetto “Ospedali Aperti”
“Ospedali Aperti” è il grande progetto di Avsi che dal 2017 ha curato più di 170mila persone. Un riferimento fondamentale per la popolazione anche in queste ultime settimane è stato in grado di scongiurare il collasso totale del sistema sanitario. «In Siria più del 40% del sistema sanitario è andato distrutto a causa della guerra e oltre il 40% del personale sanitario è uscito dal Paese», spiegano dalla ong. «Chi non ha soldi per curarsi può morire per una polmonite, per un’ernia inguinale o per un’appendicite. Patologie banali ma che diventano mortali per chi non ha accesso alla sanità. Prima della guerra, la Siria era una delle eccellenze sanitarie in Medio Oriente e con una grossa componente di sanità pubblica gratuita. Oggi tutto è distrutto».
La campagna lanciata nel 2017, promossa dalla Nunziatura Apostolica a Damasco e patrocinata dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, garantisce cure gratuite ai pazienti poveri in tre ospedali non profit a Damasco e Aleppo. Dal 2021 il progetto sostiene anche quattro dispensari a Damasco, Lattakia e a Swaida nel sud del Paese, e dal 2023 un dispensarioa Safita nella Siria nord-occidentale. Di questi, quattro sono rimasti sempre operativi.
Scuola e supporto alle famiglie
Sono sospese temporaneamente alcune attività di supporto alla popolazione, «anche se siamo fiduciosi di riattivarle presto. La nuova amministrazione ha annunciato il ritorno alla normalità». Orsolano definisce l’approccio di questi progetti «family based, olistico, in grado di abbracciare tutta la famiglia». Gli effetti psico-sociali delle crisi che si sono susseguite in Siria sono devastanti, le famiglie sono vulnerabili e disorientate: «Offriamo loro supporto psicologico ed economico, food and agricultural vouchers, percorsi di inclusione sociale per chi ha una disabilità, opportunità di formazione professionale e inserimento lavorativo».
Un’attenzione particolare è rivolta alle donne capofamiglia: «Molte di loro sono vedove di guerra, impegnate a sostenere da sole se stesse e i figli. Le coinvolgiamo in progetti che permettano loro di avviare un’attività generatrice di reddito nel campo dell’agricoltura e dell’allevamento».
Nell’anno del sisma Fondazione Avsi ha raggiunto 13.300 persone. «L’obiettivo ora», spiega Orsolano, «è di passare dalla fase di emergenza a quella di ricostruzione. È importante che si superi l’instabilità generata dall’inflazione galoppante e dalla mancanza di risorse e liquidità».
Se di ricostruzione si parla, non si può non fare riferimento a uno dei bisogni primari per eccellenza: la scuola. «Il sistema educativo è stato dilaniato dal conflitto, sia dal punto di vista delle infrastrutture sia dal punto di vista della formazione. Negli anni abbiamo riabilitato cinque scuole nell’area rurale che circonda la città di Damasco e quattro nell’area rurale fuori Aleppo, servono insegnanti e serve un percorso per riprendere tutti quei bambini che sono usciti dal sistema scolastico».
Come sempre nei contesti di guerra, sono i più piccoli a pagare il prezzo più alto. «Un’intera generazione non ha potuto frequentare la scuola. Spesso a mancare sono gli edifici, distrutti o usati per scopi militari o per accogliere gli sfollati. Soltanto due terzi delle scuole in Siria oggi sono funzionanti. Come riporta il report Humanitarian needs overview 2023 di Ocha», si legge in una nota di Avsi, «più di due milioni di bambini e ragazzi tra i 6 e 17 anni non vanno a scuola».
La crisi umanitaria
I bisogni della Siria restano immensi. La guerra iniziata nel marzo 2011 ha causato quella che l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha definito «la più grande crisi umanitaria della nostra era»: 5,5 milioni di persone hanno lasciato il Paese, 6,8 milioni di persone hanno dovuto abbandonare la propria casa. Secondo le stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (dati 2023), l’emergenza umanitaria in Siria coinvolge 15,3 milioni di persone, 6,5 dei quali bambini. Più di 15 milioni di persone vivono in condizioni di insicurezza alimentare e circa il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.
Che cosa comporterà questo cambiamento epocale è difficile da prevedere. «Il quadro cambia di giorno in giorno. Quello che possiamo fare è osservare i dati per capire i bisogni generati da questo nuovo scenario. Uno su tutti, il rientro in massa di molti siriani in un Paese reduce da oltre 13 anni di guerra».
Le immagini fanno parte di un reportage fotografico realizzato da Aldo Gianfrate ad Aleppo, seguendo il lavoro della ong Avsi dopo il terremoto del 6 febbraio 2023.
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