Cultura

La nostra Ellis Island

Per regolare un fenomeno come l'immigrazione non possono bastare misure amministrative.

di Giuseppe Frangi

Sarebbe piaciuta a Edoardo Corsi la recente sentenza della Corte costituzionale che ha bocciato gli articoli 13 e 14 della legge Bossi-Fini. Vi chiederete: chi è Edoardo Corsi? È un italiano che nel 1907 immigrò negli Stati Uniti (in quell?anno negli Usa arrivarono 1.285.349 stranieri?). Fece una discreta fortuna nell?amministrazione pubblica e, per colmo del destino, pochi anni dopo, per nomina del presidente Herbert Hoover, si trovò a dirigere Ellis Island, l?isola delle lacrime, vero limbo alle porte di New York dove migliaia di immigrati come lui attendevano spasmodicamente l?ok all?ingresso negli States. Edoardo Corsi ha raccontato quella sua esperienza in un libro bellissimo e straziante appena tradotto in Italia da una piccola casa editrice salernitana (Il Grappolo). Corsi, grazie anche al suo passato, vedeva le migliaia di persone che gli sfilavano davanti in due vesti differenti: quella del funzionario, seppur illuminato, che doveva rispettare le regole a volte crudeli per decretare chi aveva diritto ad entrare e chi no. E quella dell?immigrato, che conosceva nell?intimo il dramma, le paure e soprattutto le umiliazioni cui ci si trova sottoposti. A un certo punto del libro, il Corsi ?funzionario? lascia libero corso a una riflessione, che ci piacerebbe venisse letta da tutti i funzionari e soprattutto i politici di oggi (onde evitare, quanto meno, altre vergogne com?erano gli articoli 13 e 14 della Bossi-Fini). Scrisse Corsi: «Le nostre leggi sul rimpatrio sono inesorabili e in molti casi disumane, particolarmente quando si riferiscono a uomini e donne dal comportamento onesto il cui unico crimine consiste nel fatto che hanno osato entrare nella terra promessa senza conformarsi alla legge. Ho visto centinaia di persone del genere costrette a ritornare nei paesi di origine, senza soldi, e a volte senza giacche sulle spalle. Ho visto famiglie separate che non si erano mai riunite: madri separate dai loro figli, mariti dalle loro mogli?».
Ogni riferimento di questa citazione all?attualità non è, ovviamente, casuale. Sembra di vedere lo stesso film, seppur con altri protagonisti (allora c?erano tanti che potevano essere i nostri nonni?). E sembra di vivere lo stesso assurdo errore di prospettiva: quello di pensare che per regolare un fenomeno come questo possano bastare misure amministrative. Non può essere così, come spiega con la straordinaria esperienza di uomo che ha vissuto su tutte le frontiere, padre Beniamino Rossi nell?intervista di Emanuela Citterio. Certo, gli Stati Uniti, in quei primi decenni del 900, hanno trattenuto quelle forze produttive che hanno contribuito alla crescita della loro potenza. Ma cos?hanno lasciato sul campo per ognuno di quegli esseri rimandati a casa perché fuori regola (cioè non perfettamente sani)? Che Paese sarebbero diventati se avessero avuto la forza di accogliere e di fare spazio a quelle ?differenze?? La storia non si fa con i ?se? . Ma, per venire al nostro oggi, non la si fa certamente continuando a ragionare come se il mondo finisse dove finiscono le acque territoriali. Come se i problemi, se trattenuti oltre quei limiti, non fossero problemi che prima o poi ci riguardassero. E già sentiamo lo strepitio di tante Cassandre che profetizzano ondate in arrivo, dato il vuoto legislativo aperto dalla sentenza della Consulta. Invece quella sentenza, oltre a rimettere a posto alcuni diritti elementari delle persone (almeno aver diritto alla difesa?) può innescare una salutare quanto necessaria riflessione. A Loreto, con i coraggiosi scalabriniani di padre Beniamino, se ne parlerà. E se i politici ascoltassero davvero…

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