Inquinamento e salute
Pfas, il clinico Carlo Foresta spiega gli effetti sulla fertilità
Le sostanze per- e polifluoroalchiliche, inquinanti eterni, possono avere conseguenze sulla salute riproduttiva maschile e femminile. Su questo si sono concentrati gli studi dell'endocrinologo Carlo Foresta negli ultimi dieci anni. Il prof ha dimostrato tra l'altro che nel testicolo queste molecole alterano la produzione di spermatozoi e riducono la capacità fertilizzante. Nella donna invece interferiscano con le cellule dell’endometrio, struttura fondamentale dell’apparato riproduttivo femminile e deputata all’accoglimento e mantenimento dell’embrione fecondato. «Questo spiegherebbe perché nell’area rossa del Veneto si è osservato un importante aumento di nati pre-termine e aborti», afferma
Mentre a Vicenza si avvia a conclusione il processo sull’inquinamento da Pfas della falda che forniva acqua potabile a 350mila persone (lo abbiamo raccontato qui: https://www.vita.it/pfas-al-processo-di-vicenza-parlano-le-mamme/), si moltiplicano gli studi che dimostrano la pericolosità di queste sostanze, dette anche inquinanti eterni, forever chemical, per la loro persistenza. Tra le conseguenze più preoccupanti, ci sono quelle legate alla salute riproduttiva umana. Il professor Carlo Foresta, già ordinario di Endocrinologia all’Università di Padova, ha svolto un’importante attività di ricerca nell’ambito della fisiopatologia della riproduzione. Quest’anno ha ricevuto il Premio Mediterraneo Scienza per gli studi sugli effetti dell’inquinamento da sostanze per- e polifluoroalchiliche.
Prof Foresta, in base alle sue ricerche, quanto l’esposizione ai Pfas influenza la salute umana?
L’impatto è molto eterogeneo e comprende manifestazioni cliniche diverse: dall’osteoporosi all’ipercolesterolemia, dall’immunosoppressione all’infertilità, fino all’aumentato rischio di tumori di rene e testicolo. Tra le manifestazioni cliniche imputate all’esposizione a queste sostanze, vi è condivisione tra i diversi studi epidemiologici sugli aspetti materno-fetali, quali poli-abortività, basso peso alla nascita, nati pre-termine, endometriosi, fertilità maschile e femminile, ipercolesterolemia e diabete, osteoporosi, tireopatie, alterazioni cardio- e cerebro-vascolari. Le nostre ricerche negli ultimi dieci anni hanno evidenziato i meccanismi attraverso i quali queste sostanze riescono ad alterare la funzionalità cellulare, con particolare riferimento agli effetti avversi sull’apparato riproduttivo. Ad esempio il testicolo rappresenta un organo di accumulo dei Pfas, e nel testicolo queste sostanze non solo portano ad aumentato rischio di sviluppare tumore, ma alterano anche la produzione di spermatozoi, dove rimangono adesi finanche alla fecondazione, riducendo la capacità fertilizzante di queste cellule. Nella donna invece abbiamo dimostrato come queste sostanze interferiscano con le cellule dell’endometrio, struttura fondamentale dell’apparato riproduttivo femminile e deputata all’accoglimento e mantenimento dell’embrione fecondato. A livello endometriale i Pfas alterano decine di geni inibendone fortemente la funzione, questo spiegherebbe perché nell’area rossa del Veneto si è osservato un importante aumento di nati pre-termine e aborti.
Quali sono i rischi per la popolazione delle aree contaminate, in particolare per le persone esposte a queste sostanze dall’infanzia e adolescenza?
Sicuramente l’esposizione già in fase prenatale rappresenta di per sé un enorme fattore di rischio per lo sviluppo di patologie più avanti nell’età. Basti pensare a tutte quelle strutture sessuali e riproduttive che si definiscono già in fase embrionale, come le dimensioni e la struttura dei genitali, come da noi dimostrato in giovani diciottenni concepiti, nati e cresciuti in aree inquinate e che presentavano significative alterazioni delle gonadi e di quei marcatori tipici di una ridotta impregnazione androgenica in fase embrionale, come la distanza anogenitale e le misure antropometriche. Ma ancora, la fase embrionale è fondamentale per lo sviluppo cerebrale. Le nostre ricerche hanno infatti dimostrato come proprio i neuroni in fase embrionale, piuttosto che i neuroni già maturi dell’adulto, siano più sensibili ai Pfas, subendo alterazioni che possono poi inficiare il corretto sviluppo nervoso. Questo non è sorprendente dato che diversi studi hanno dimostrato un’associazione tra esposizione a Pfas e alterazioni dello sviluppo del linguaggio nei bambini ad esempio, e negli adulti una maggior frequenza di patologie come l’Alzheimer e il Parkinson.
Come ci si può proteggere, a livello individuale, e come si possono proteggere i figli?
La riduzione dell’inquinamento ambientale è sicuramente il punto fondamentale, ma rimane il grosso problema della lunga permanenza nell’organismo. Queste sostanze si accumulano in particolari organi (fegato, scheletro, sangue) e permangono per molti anni, in alcuni casi fino a dieci anni. Pertanto, anche se oggi azzerassimo completamente ogni fonte di esposizione a queste sostanze, quelle già accumulate negli anni precedenti resterebbero ancora in circolo negli organismi per molti anni. A oggi non è stato ancora individuato nessun metodo per ridurre il tempo di permanenza dei Pfas nell’organismo, pertanto l’accumulo sembra determinare alterazioni specifiche degli organi interessati. Gli inquinamenti industriali dovrebbero essere molto limitati e controllati. Gli strumenti di difesa sono quindi innanzitutto preventivi, mirati a ridurre il più possibile il rischio di esposizione della popolazione a queste sostanze.
Nelle popolazioni già esposte per molto tempo ai Pfas, data l’elevata durabilità di queste sostanze, è invece fondamentale attuare interventi sanitari mirati a eliminare queste sostanze dal sangue. Ma non sono ancora disponibili interventi terapeutici mirati e riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale. Per risolvere la questione dell’eliminazione dei Pfas dal corpo umano il nostro gruppo di ricerca ha identificato sperimentalmente possibili forme di intervento basandosi sulle dinamiche di bioaccumulo di queste sostanze nell’uomo. Da un’intuizione sperimentale ispirata all’attuale tecnologia di filtraggio delle acque, basata sull’utilizzo dei filtri ai carboni attivi, abbiamo individuato un corrispettivo terapeutico nel carbone attivo vegetale a uso umano. Il carbone attivo vegetale è una sostanza naturale in grado di trattenere al suo interno molte molecole, e che trova già impiego nel trattamento di intossicazioni da farmaci e avvelenamenti alimentari, nonché per il meteorismo intestinale. La nostra ipotesi sperimentale è stata quindi quella di drenare a livello intestinale i Pfas, rendendoli eliminabili con le feci.
Come dovrebbero comportarsi i medici e le istituzioni sanitarie di fronte al rischio da sostanze per- e polifluoroalchiliche per la popolazione? Pensa che ci sia abbastanza preparazione?
Le manifestazioni cliniche associate all’inquinamento da Pfas sono certamente evidenti nelle popolazioni esposte ma è interessante considerare che anche i bassi livelli di queste sostanze riscontrabili nella popolazione generale possono costituire fattore di rischio. Bisogna quindi agire a livello istituzionale per aggiornare e formare gli specialisti sanitari a riconoscere possibili manifestazioni cliniche apparentemente senza causa nota e normalmente identificate come idiopatiche ma che potrebbero essere associate a questi inquinanti. Laddove sussista un’esposizione conclamata, sulla base delle precedenti considerazioni, sarebbe opportuno fornire un trattamento che possa ridurre il livello espositivo, e sarebbe pertanto opportuno che il problema fosse affrontato a livello istituzionale poiché la verifica clinica di questa ipotesi sperimentale, prima nel suo genere, potrebbe portare a dei risultati molto importanti, allo stato attuale non modificabili, per favorire l’eliminazione di queste sostanze dall’organismo.
La foto in apertura è di Gabby Orcutt su Unsplash
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