Medioriente

Siria, dopo 13 anni di violenze ecco la nuova crisi. I fatti e i protagonisti

In Siria tutti contro tutti, a combattere guerre per interesse, sulla pelle del popolo siriano. Ecco tutti i protagonisti della nuova crisi e perché è scoppiata proprio ora. In 13 anni sono state uccise oltre 500mila persone e sono ben 7,5 milioni gli sfollati interni e altrettanti i profughi. Il Paese dei gelsomini sta attraversando la più grave crisi economica di sempre, con oltre 16,7 milioni di persone bisognose di aiuti umanitari

di Asmae Dachan

La Siria torna al centro del dibattito internazionale e occupa nuovamente le prime pagine dei giornali dopo un lungo periodo di silenzio, scandito sul campo da eventi drammatici. Solo nel mese di novembre, secondo l’ultimo rapporto del Syrian Network for Human Rights, settanta persone, tra cui venti bambini, sono stati uccisi dai bombardamenti russo-governativi e per mano di diversi gruppi armati. Secondo la stessa fonte, almeno centoundici profughi siriani sono stati uccisi nei bombardamenti israeliani sul Libano negli ultimi trenta giorni. Della tragedia di questi civili, tuttavia, quasi non vi è traccia sulla stampa internazionale, come se in Siria la morte violenta sia diventata la normalità, un’eco costante. Le costanti violazioni dei diritti umani, che a oggi impediscono il ritorno in Patria degli oltre 7,5 milioni di profughi, sono continuate anche nelle zone dove sono cessati i bombardamenti. Gli sviluppi militari degli ultimi giorni hanno riacceso i riflettori, mettendo gli analisti di fronte a non pochi interrogativi. La riconquista di Aleppo dopo la ripresa da parte del regime nel 2016 e il ritorno a Hama dopo undici anni da parte dei ribelli, infatti, sono eventi che hanno colto molti di sorpresa, aprendo a nuovi scenari sul piano geopolitico. Si contano oltre quattrocento vittime. Ma cosa sta accadendo nel Paese mediorientale? Chi sono i protagonisti dei fatti degli ultimi giorni? E ora?  

I fatti

Lo scorso 26 novembre alcune fazioni ribelli hanno lanciato un attacco contro i soldati lealisti ad Aleppo. L’operazione, denominata “Deterrence of Aggression”, ha portato al pieno controllo della città e alla conquista della “Base 46”, considerata la più grande base militare governativa nella città. Anche l’aeroporto della città è stato conquistato dagli oppositori. Si tratta della più importante offensiva militare dal 2020, quando la Russia e la Turchia hanno firmato un accordo per il cessate il fuoco, anche se questo è stato costantemente violato. Nei giorni successivi le forze governative si sono ritirate da diversi posti di blocchi e basi militari, favorendo l’avanzata degli oppositori, che domenica sono arrivati a Hama e che avanzano velocemente verso Homs. In risposta le forze russe, in sostegno di quelle siriane, hanno ripreso i bombardamenti su Idlib, città roccaforte dei ribelli dove però sono ammassati oltre tre milioni di sfollati interni e sulla stessa Aleppo. Gli occhi sono puntati sulla “M5”, l’autostrada che collega Aleppo a Damasco, snodo strategico di primaria importanza, che, faciliterebbe il movimento verso sud dei ribelli, in un avvicinamento alle roccaforti di Assad dagli sviluppi imprevedibili.

I protagonisti

Sotto la definizione di ribelli ci sono diverse sigle, che in passato si sono anche combattute e che ora si muovono secondo un’unica regia, sia sul piano militare, sia sul piano della comunicazione. In prima linea ci sono gli uomini di Hayat Tahrir al Sham – Hts, un gruppo di opposizione noto per le sue posizioni salafite e per la vicinanza alle aree qaediste, da cui ha formalmente preso le distanze nel 2017, cercando di avviare un repulisti di immagine, anche attraverso contatti con la stampa occidentale. Hts, che oggi si muove come sintesi delle diverse realtà ribelli, in passato però ha combattuto contro il Free Syrian Army, il primo corpo militare di opposizione composto da soldati disertori e che aveva un’anima più laica, andando ad indebolirne le attività e uccidendo molti oppositori del regime considerati eretici. Le posizioni estremiste dell’Hts, considerato un gruppo terrorista nato dalle ceneri di Jabhat al Nusra, suscitano preoccupazione e una certa prudenza anche negli ambienti dell’opposizione, che pure festeggia la cacciata delle forze di Assad e parla di liberazione. Il timore di una nuova deriva integralista, che infligga nuove sofferenze ai civili, è forte. La  Turchia di Erdogan, che da sempre appoggia, finanzia e controlla gruppi armati di opposizione, ha negato di essere la regista di questa iniziativa. Gli analisti non mancano di osservare che a comporre le fila dell’Hts oggi sono soprattutto giovani siriani, ragazzi cresciuti in questi ultimi tredici anni di guerra tra violenze, abusi e violazioni.

Dal canto suo Bashar al Assad, che siede ancora sulla poltrona di “presidente”, nonostante lo scorso giugno la Corte d’Appello di Parigi abbia convalidato un mandato di arresto internazionale nei suoi confronti per l’uso di armi chimiche, parla di attacchi terroristici e ha già avviato un’intensa offensiva aerea con il sostegno dell’alleato Putin. Assad e il suo establishment sono al centro di sanzioni internazionali per crimini commessi ai danni dei civili. Lo scorso 27 novembre il Consiglio europeo ha dichiarato di aver deciso di aggiungere tre ministri siriani alla lista delle sanzioni: il ministro del commercio interno e della protezione dei consumatori, Louai Emad El-Din al-Munajjid, il ministro del petrolio e delle risorse minerarie, Firas Hassan Qaddour, e il ministro di Stato Ahmed Mohammad Bustaji. Sanzioni, condanne, ma anche mani tese e normalizzazione. Assad è stato riammesso all’interno della Lega Araba e l’Italia, unico Paese Nato, ha riaperto la sua sede diplomatica a Damasco.

Il quadro geo-politico

La parola chiave per cercare di interpretare quanto sta accadendo in Siria negli ultimi giorni è infatti complessità. Bisogna analizzare molti elementi per cercare di comprendere le evoluzioni sul campo, sia esogeni, sia endogeni. Il contesto internazionale e i fragili equilibri interni hanno creato le premesse per l’odierna crisi, che si inserisce in uno scenario mediorientale sempre più  instabile. Il massacro che si sta consumando a Gaza, la progressiva distruzione del Libano per mano di Israele e i bombardamenti dello stesso sulla Siria meridionale, oltre agli scontri con l’Iran, hanno avuto conseguenze importanti anche in territorio siriano. Le milizie libanesi di Hezbollah, che dal 2011 sono penetrate in Siria a sostegno di Assad, si sono mosse per tornare nel Paese dei cedri e affrontare lo scontro con lo Stato ebraico. Anche i militari iraniani schierati in territorio siriano al fianco del regime hanno ridimensionato la loro presenza, impegnandosi per affrontare le conseguenze delle tensioni con Israele. La Russia, che dal 2015 ha una significativa presenza militare in Siria e che ha diretto la maggior parte dei bombardamenti degli ultimi nove anni in supporto a Damasco, è impegnata anche nell’aggressione all’Ucraina, con un impegno massiccio di uomini, mezzi e risorse, che spinge Mosca a ridimensionare le sue attività nel Paese mediorientale. In tutto questo non bisogna dimenticare il ruolo della Turchia, che ha interessi notevoli in Siria, a partire dal controllo della fascia frontaliera e di tutto il territorio settentrionale, spingendosi in operazioni contro le milizie curde delle Ypg e avanzando nell’area occidentale allo scopo di rimpatriare almeno un milione di profughi. Ankara da sempre finanzia l’opposizione siriana, arrivando a sostenere militarmente ed economicamente anche diverse fazioni combattenti.

Brucia l'immagine di Bashar al Assad.
 (AP Photo/Ghaith Alsayed)
Aleppo. Brucia l’immagine di Bashar al Assad. Syria, late Friday, Nov. 29, 2024. (AP Photo/Ghaith Alsayed)

Ultimo, ma non ultimo elemento da prendere in considerazione, è il cambio ai vertici della Casa Bianca. Il ritorno di Donald Trump, che nei suoi discorsi si è sempre dichiarato ostile ad Assad, arrivando a definirlo “animale” nel 2017, a seguito dei bombardamenti chimici a Khan Sheikoun, ha creato un’attesa piena di interrogativi. Anche gli Stati Uniti, va ricordato, hanno una presenza militare in Siria, al fianco delle milizie curde. Sì, in Siria ci sono tutti, russi, americani, turchi, libanesi, iraniani e sono ancora presenti sacche di combattenti internazionali provenienti soprattutto da Paesi arabi e asiatici, legati alle sfere qaediste e al fu Califfato islamico. Tutti contro tutti, a combattere guerre per interesse, sulla pelle del popolo siriano. Anche se alcune presenze sono state ridimensionate, nessuno ha rinunciato a una presenza militare in Siria.

La crisi umanitaria

I diritti umani, si diceva. Il fatto che in Siria siano continuate pratiche come la tortura, l’arresto di oppositori politici, le esecuzioni extragiudiziali e le sparizioni forzate e che chi ha commesso questi crimini sia rimasto impunito ha creato le premesse per una crescita del malcontento tra i siriani. La comunità drusa a Suwayda, ad esempio, da mesi manifesta contro Bashar al Assad, nonostante le ritorsioni dello stesso. La Siria oggi appare come un Paese devastato dalle macerie di tredici anni di violenza, dove oltre alla distruzione di quartieri residenziali, ospedali, scuole, siti archeologici, sono state uccise oltre 500mila persone. Ben 7,5 milioni, secondo le Nazioni Unite, sono gli sfollati interni e altrettanti i profughi. Il Paese dei gelsomini sta attraversando la più grave crisi economica di sempre, con oltre 16,7 milioni di persone, secondo l’Unhcr, bisognose di aiuti umanitari e protezione. Qualunque sarà l’evoluzione geopolitica, per i civili si prospettano nuove difficoltà. In migliaia sono nuovamente in fuga. Una fuga verso altre zone a rischio, perché le frontiere sono tutte blindate.

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