Famiglia

Il nuovo? Abita ai piani bassi

Aldo Bonomi ha percorso l’Italia in lungo e in largo per indagare la “società di mezzo” e per capire quali fermenti di novità si muovevano negli anni della transizione infinita.

di Riccardo Bonacina

Aldo Bonomi, valtellinese, 54 anni, fa parte di quella generazione che a vent?anni voleva cambiare il mondo. Oggi, e non senza aver pagato i propri errori, più realisticamente si accontenta di sorvegliare e capire i cambiamenti che nel mondo avvengono, con o senza di noi. Di più, il suo modo di partecipare ai cambiamenti è oggi quello di raccontarli. Bonomi, da ormai molti anni, ha scelto di essere un ?sociologo del racconto?, viaggia con i suoi taccuini e questionari incontrando e ancora incontrando pezzi di società civile organizzata, rappresentanze del mondo del lavoro o delle imprese, per capire ciò che succede sotto ?la piramide?, ovvero sotto gli apparati di potere, per provare a mettere insieme ciò che succede e vedere se c?è una logica. Fondatore nel 1986 e direttore dell?Istituto di ricerca Aaster, prosecuzione in forma di impresa di una precedente esperienza associativa (Associazione Agenti per lo Sviluppo del Territorio) che si era proposta come agenzia di promozione della figura professionale dell?Agente di sviluppo, operatore territoriale con spiccata vocazione socioeconomica che opera in forma autonoma o alle dipendenze di enti pubblici e privati con il compito di analizzare le problematiche territoriali sotto il profilo delle risorse e delle reti di attori, di individuare gli elementi di criticità e le potenzialità di un sistema locale. La sua analisi sulle trasformazioni sociali di questi anni è rintracciabile, capitolo per capitolo, nei titoli dei suoi libri: Il trionfo della moltitudine. Forme e conflitti della società che viene (Bollati Boringhieri), Il capitalismo molecolare (Bollati Boringhieri); La società al lavoro nel Nord Italia (Einaudi). Quest?ultimo, uscito nell?autunno del 1997, fu per qualche settimana nella classifica dei primi dieci libri di saggistica. Il distretto del piacere (Bollati Boringhieri); La comunità maledetta. Viaggio nella coscienza di luogo (ed. Comunità); Per un credito locale e globale. Le geocomunità del capitalismo italiano (Baldini Castoldi Dalai); La città infinita, con Alberto Abruzzese (Bruno Mondatori) Vita: Aldo Bonomi, cosa faceva nel 1994? Aldo Bonomi: L?inizio degli anni 90 furono per me gli anni di una grande amicizia che ha poi segnato tutta la mia vita umana e professionale. Sono gli anni in cui ho ?vissuto? con De Rita, che allora era presidente del Cnel. Dovrei dire, per usare un termine più appropriato, ?collaborato? perché mi chiamò a seguire tutte le problematiche territoriali. Invece, davvero, abbiamo ?vissuto? assieme; perché abbiamo condiviso sensazioni, esperienze, amarezze. Dentro la grande crisi della politica (crisi non risolta e che continua in una transizione infinita) con De Rita ho imparato ad osservare i grandi processi lenti della società italiana, imparando che il lavoro della ricerca sociale è fondamentalmente andare in controtendenza, perché spesso ciò che avviene sulla punta della piramide non corrisponde a ciò che avviene dentro la fascia intermedia della società (?società di mezzo?, come l?ha definita con la solita genialità proprio De Rita). Devo dire che quegli anni furono un vero laboratorio, ricordo che mentre la maggior parte del Paese si divideva tra tifosi e oppositori di fronte alle teste dei potenti che cadevano, noi vivemmo tre grandi impegni di lavoro, le nostre ricerche su tre temi cruciali, allora come oggi: immigrazione, Mezzogiorno e questione settentrionale. Vita: L?immigrazione è tema sempre d?attualità… Bonomi: Quelli furono gli anni in cui percorsi da Como a Palermo tutta l?Italia, incontrando tutte le associazioni degli immigrati che si stavano formando per preparare la prima Conferenza nazionale dell?immigrazione convocata da Andreotti e Martelli nel 1991. Pensate che quella fu la prima ed unica Conferenza nazionale sull?immigrazione; questo Paese da allora non ha più avuto la forza per interrogarsi seriamente su questo processo. E se ne vedono tutti i risultati, nefasti. Si fanno le cose sotto le spinte dell?emergenza. In qualsiasi terreno, sociale, politico, giudiziario. De Rita, come presidente del Cnel, la organizzò (1991) e mi chiamò dicendomi, «portami alla Conferenza il punto di vista degli immigrati e delle loro associazioni». Fu una cosa irripetibile perché in quegli anni questo Paese diede il meglio della propria cultura dell?accoglienza, sia dal punto di vista politico (la legge Martelli che riconosceva il fenomeno e apriva) che sociale. Non si è andati oltre purtroppo, anzi. Anche la società era per l?accoglienza: in ogni comune, in ogni città si cominciavano a fare le consulte, gli immigrati si organizzavano per associazioni di comunità. Dentro il mutamento della composizione sociale emergeva il fenomeno dell?immigrazione, fenomeno problematico ma anche innovativo. Vita: Veniamo al secondo tema, il Mezzogiorno? Bonomi: Fu un?altra intuizione di De Rita. In quegli anni il decreto Andreatta liquidò la Cassa per il Mezzogiorno (sarà la storia a dire quanto l?intervento pubblico fu solo malaffare o anche serio tentativo di redistribuzione delle risorse del Paese, per me la questione è aperta. Certo, non possiamo liquidare Saraceno e Vanoni, due valtellinesi tra l?altro, come cultura di sottogoverno). A questo punto, i soggetti sociali cosa dovevano fare senza Cassa? Questa era la domanda e De Rita mi mandò in giro per il Sud a vedere cosa succedeva sul territorio. Notai che a fronte della crisi della politica e alla scomparsa dei ?mandarini? emergeva un ruolo molto importante delle parti sociali, artigiani, imprese, agricoltura, sindacato, insomma tutte le rappresentanze. Lì inventammo i patti territoriali per lo sviluppo. Cos?erano? Erano un meccanismo che metteva al centro l?economia del territorio e diceva che le comunità locali (sindaci, mondo del lavoro, dell?impresa e soggetti dello sviluppo) si mettono insieme e delineano un ?loro? progetto di sviluppo. Mi ricordo che dicemmo anche «aggregate associazionismo e volontariato», ma allora la questione non fu capita. Si fecero queste coalizioni di sviluppo e si fece progettazione. Io facevo l?animatore dell?organizzazione, li mettevo insieme, si discuteva, si progettava. In quella stagione capii una cosa importante: la politica si stava riformando proprio sui territori, stavano arrivando nelle istituzioni locali i nuovi sindaci, prestati alla politica dall?associazionismo e dalla società civile. Non parlo dei sindaci ?santi? (Bianco, Orlando, Bassolino), parlo di un fenomeno più profondo delle sue icone. Ho visto lì mettersi al lavoro un pezzo di classe politica che poi arrivò in parlamento o in Europa. In cima alla piramide c?erano galera e processi, e sotto si formava già una nuova classe politica e per di più nel Mezzogiorno. Mi ricordo le discussioni con De Rita e Borgomeo su come, a fronte della de-istituzionalizzazione (la liquidazione della Cassa), il movimento che cresceva poteva essere ricondotto all?istituzione. Ci furono diverse risposte. Il mio movimentismo dovuto sia alla mancanza di una tecnicalità propria, sia alla mia biografia che di fronte all?istituzione e alla politica mi fa fermare sulla soglia. Esco dalla grande tragedia degli anni 70 negandomi alla politica, avendo capito quanto avevamo sbagliato nel rapporto con la politica e nella nostra convinzione dell?autonomia del politico, concetto che autorizza qualcuno a sentirsi avanguardia, ad essere ceto che si legittima aldilà del confronto con la società. Quando sento puzza di primato della politica io non ci sto, mi tiro indietro. Io resto un sociologo del racconto e basta, incido sui processi così. De Rita, invece, che è uomo con biografia e cultura diversa dalla mia, disse no, va bene l?empatia ma bisogna cercare una istituzionalizzazione e cercò di fare una legge, la legge sulla programmazione negoziata. Vita: L?ultimo tema del suo lavoro in questi dieci anni: la questione settentrionale. Bonomi: La questione settentrionale, ritenevamo e ritengo sia questione pre-politica, che trova poi una sua rappresentazione politica, con il leghismo o il berlusconismo. In quegli anni al Nord più che altrove, si compivano i grandi processi di transizione, da un?economia della prossimità all?economia della simultaneità, dal fordismo al postfordismo. Mutava nel profondo la composizione sociale, si assisteva alla terziarizzazione delle dinamiche del lavoro, si viveva una crisi della rappresentanza dell?impresa e del sindacato, si attraversava una vera e propria crisi della politica. è in questo vuoto che si afferma la questione settentrionale e nascono i nuovi fenomeni prepolitici. Con Riccardo Terzi, allora segretario della Cgil, feci la prima ricerca sulla Lega, e quando la presentammo alla Camera del lavoro con De Rita, Goria, D?Alema, Ottaviano del Turco, mi ricordo che Del Turco se ne uscì dicendo: «Ma questi tra un po? non ci saranno più, non sanno nemmeno parlare italiano». Mentre Gad Lerner mi chiamò colpito dalla ricerca e da quel ricercare nacque Profondo Nord, la sua prima trasmissione. Vita: Dieci anni in cui incontra anche Vita come luogo del racconto sociale… Bonomi: è vero, ci siamo incontrati sul tema del consolidamento di quel sociale e di quell?associazionismo dal basso che si affaccia e prende parola proprio dentro la crisi del Nord del Paese. Voi siete nati su una spinta di esigenza di welfare comunitario, siete luogo di incontro di ciò che si muove nel sociale dal basso. Vita nasce all?interno della questione settentrionale e diventa luogo del racconto del sociale, così vi ho percepito e incontrato. Siete i testimoni della primazia dell?azione sociale rispetto all?azione ideologica e politica, forse è proprio per questo che qui mi sento a casa. Qui posso parlare di me come persona, della mia biografia e della mia storia senza che questa venga inficiata dai pregiudizi del discorso politico e dell?uso politico della biografia delle persone. Problema che ho da trent?anni a questa parte di fronte a racconti romanzati, distorcendo gli atti giudiziari. So benissimo che ciascuno si porta dietro la sua storia e che la sua storia può essere usata, ma ci vogliono luoghi dove le storie non vengono usate ma socializzate diventando patrimonio comune. Ecco, la politica non è in grado. Appena ti avvicini alla politica, la storia, anche quella personale, diventa oggetto dello scontro e del contendere. Succede ai piani alti della politica e anche a quelli bassi, quelli dei pistaroli e controinformatori d?oggi che ogni tanto mi tirano in ballo per il mio passato. Io li capisco, non ho rancori, anzi io l?ho fatto prima di loro in un meccanismo ancora più forte, quello della criminalizzazione del nemico politico. Conosco le loro logiche, ed è proprio a quelle logiche che ho detto «mai più nella mia vita». La controinformazione ci fece diventare tutti ?lanciatori di pietre?. Allora dentro uno scontro tra avanguardie che simulavano la classe. Oggi, tristemente, in un quadro ove l?invidia sociale scava nella moltitudine ed è la cifra di una società competitiva ?delle classi senza lotta e della lotta senza classi?. Vita: Oltre a De Rita, chi sono le persone che più hanno segnato questi suoi dieci anni? Bonomi: Come sfigato, segnato dagli anni 70, cominciai a fare professione in uno scantinato e forse non sarei mai riuscito a riconquistare il piano terra senza l?amicizia di due cattolici, Bepi Tomai e Sandro Antoniazzi che davvero mi tennero per mano. Ma con loro devo molto a un valtellinese come Camillo De Piaz che conobbi alla Corsia dei servi di Turoldo e Cuminetti. Proprio loro mi presentarono a De Rita. Con Marco Revelli ho scavato la transizione dal fordismo al postfordismo e ragionato attorno alla tragedia della figura del ?militante? e della dolce e ambivalente figura del volontario. Questa per me ha il ricordo di due grandi volontari del racconto sociale che non ci sono più: Primo Moroni e Alfredo Salsano. Entrambi mi hanno aiutato a raccontare, che in fondo è l?unica cosa che so fare. Con tutti ci siamo voluti bene in una società della solitudine.


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