Accoglienza
“Un ponte di parole” tra ragazzi pugliesi e palestinesi per costruire la pace
Il progetto della compagnia Teatri Di.versi di Corato ha sviluppato laboratori teatrali con i ragazzi pugliesi e di Ramallah sulle parole memoria, verità, giustizia e cura. Da questo percorso è nato uno scambio di lettere che ha coinvolto anche i bambini delle quarte elementari, compresi i piccoli dell’istituto Saint George di Gerusalemme per costruire concreti legami di pace
La prima letterina scritta dai bambini della quarta elementare della scuola Saint George di Gerusalemme per i loro coetanei dell’istituto comprensivo “Imbriani-Piccarreta” di Corato, è arrivata ai primi di novembre. È arrivata sotto forma di video, ma l’emozione fra i piccoli alunni era davvero tanta ed anche se le parole erano in lingua araba, le barriere geografiche, culturali e linguistiche erano già state superate. Perché il progetto “Ponte di parole” punta ad uno scambio epistolare tra adolescenti pugliesi e ragazzi palestinesi, con l’idea di unire i popoli attraverso il teatro, la scrittura e la cultura. Un ponte simbolico, ma oggi più che mai – alla luce di quanto avviene in quei territori – carico di significato e di solidarietà. «Un viaggio emozionante attraverso la forza e la riscoperta delle parole memoria, verità, giustizia e cura che aiutano concretamente a costruire la pace» spiega Claudia Lerro, direttrice artistica di Teatri Di.versi e dell’omonima scuola di teatro di Corato che si occupa anche di formazione e pedagogia dei più giovani per contribuire a trasmettere più consapevolezza sulle questioni e a contribuire ad un vero cambiamento.
«La narrazione sulla Palestina non è così forte ed esaustiva, tanto che abbiamo scoperto che pochi ragazzi fossero a conoscenza della Palestina. E forse il primo elemento da restituire a questo popolo è proprio la sua memoria, la sua storia, il racconto della sua esistenza. Percorso che abbiamo fatto attraverso quattro laboratori, attraverso le parole chiave che abbiamo individuato, perché solo facendo un’analisi accurata di memoria, verità, giustizia e cura si può davvero iniziare a parlare di pace non in modo retorico ma in modo cosciente e consapevole» aggiunge Lerro, che ha condotto i laboratori teatrali a Corato. «Volevamo fare dei laboratori sulla pace, ma la parola pace a volte viene usata priva del suo vero significato. Non c’è pace senza giustizia, senza memoria, senza libertà e cura: queste sono alcune delle parole su cui abbiamo lavorato» ha spiegato Iyas Jubeh, mediatore culturale italo-palestinese, che insieme a Mariam Kamel Basha, un’attrice palestinese, ha guidato il laboratorio a Ramallah, città palestinese situata in Cisgiordania.
Solo facendo un’analisi accurata di memoria, verità, giustizia e cura si può davvero iniziare a parlare di pace non in modo retorico ma in modo cosciente e consapevole
Claudia Lerro, direttrice artistica Teatri Di.versi
Il progetto è stato promosso da Teatri Di.versi con il sostegno dalla Regione Puglia nell’ambito dell’avviso pubblico “Iniziative per la Pace e per lo Sviluppo delle Relazioni tra i Popoli del Mediterraneo”. Partner dell’iniziativa è stato il Comune di Corato, mentre hanno collaborato anche Nazra, l’istituto comprensivo “Imbriani-Piccarreta” e la scuola Saint George di Gerusalemme. Fondamentale per la riuscita dell’iniziativa il Cinémathèque Al-Kasaba di Ramallah, che ha ospitato i giovani partecipanti al laboratorio che in alcuni casi hanno dovuto fare i conti anche con i disagi provocati dai soldati israeliani che a Beitunia, a tre km dal teatro di Ramallah, chiudevano le strade che portano in città.
«A causa delle difficoltà imposte dal conflitto in Medio Oriente, è stato lo stesso Jubeh ad occuparsi del trasporto sicuro delle lettere scritte dai ragazzi palestinesi, custodendole nella valigia da stiva del proprio volo per garantire che non venissero confiscate o distrutte durante i controlli di sicurezza» racconta Lerro. Significativo il confronto tra i ragazzi delle due sponde del Mediterraneo per il tramite delle lettere che si sono scambiati. «Nelle loro lettere i giovani palestinesi parlano dei diritti negati, della paura di uscire di casa. Escono solo per andare a scuola, vivono una situazione di grande apprensione. E poi raccontano dei checkpoint, dei controlli militari che rallentano la loro vita quotidiana, anche quando si tratta di uno spostamento minimo che può bloccarli per tante ore» evidenzia la direttrice artistica di Teatri Di.versi.
Nelle loro lettere i giovani palestinesi parlano dei diritti negati, della paura di uscire di casa. Escono solo per andare a scuola, vivono una situazione di grande apprensione
«Ai bambini italiani abbiamo dovuto spiegare cosa sono i checkpoint, che per fortuna non vivono nei loro territori. I ragazzi palestinesi più grandi, invece, ci hanno chiesto di aiutarli nel boicottaggio dei prodotti israeliani. Le azioni che si possono fare per manifestare la propria contrarietà a quanto sta avvenendo sono molte poche, ma una di queste per dissentire è il potere che abbiamo noi consumatori. E poi ci chiedono come ci immaginiamo la Palestina, se tifiamo per loro, se conosciamo qualcosa. Una delle cose più emozionanti di questo progetto culturale è stato capire che il solo fatto di essere visti da qualcuno li ha commossi, ha emozionato i ragazzi, ha accesso una luce in loro e nei loro animatori. Perché per loro ha voluto dire che l’Occidente, che è così tanto responsabile di tutto questa storia, si sta prendendo cura e carico della mancanza del rispetto dei diritti umani, della sofferenza di questo popolo. Per comprendere quanto sia importante questo progetto basta pensare ai bambini e ai ragazzi italiani che non sapevano dove fosse la Palestina, cosa stesse accadendo. Probabilmente, le scuole che sono impegnate a terminare tutti i programmi di studio, parlare di cose avvenute davvero secoli fa, dovrebbero mettere un faro anche sulle questioni più attuali per far capire cosa accadendo, per aiutare i ragazzi sviluppare un senso critico, a prendere una posizione».
Quando ci si guarda negli occhi è molto più difficile farsi la guerra, scopro che l’altro sono io, è inevitabile che la pace possa germogliare
Claudia Lerro, direttrice artistica Teatri Di.versi
Adesso, quindi, le lettere cartacee sono state consegnate ai ragazzi italiani che hanno così potuto leggerne il contenuto. «Il progetto, però, comprende anche altre azioni che si concluderanno a metà dicembre, come lo spettacolo teatrale Il Giardino delle Parole, la proiezione di alcuni corti con Nazra, la costruzione di aquiloni sempre in vista del tema della pace» prosegue Lerro. «Ora ci auguriamo che il rapporto epistolare che si è instaurato tra i ragazzi pugliesi e quelli palestinesi possa continuare, che possa proseguire il legame tra le due scuole. L’unica cosa che possiamo fare per restare umani è creare un contatto. Un ponte di parole, appunto, un contatto reale, concreto, tra le persone. Perché quando ci si guarda negli occhi è molto più difficile farsi la guerra, scopro l’altro umano come me, scopro che l’altro sono io e viceversa, è inevitabile che la pace possa germogliare».
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