Welfare

Il carcere? Strumento nocivo e superato

Non vi è alcuna domanda sociale di tutela dei detenuti. Ma siamo di fronte a una tragedia immane (di Luigi Manconi).

di Redazione

Quando si sente quella che rischia di essere una formula retorica, anche atroce ma pur sempre retorica, come ?discarica sociale?, ancora non si ha un?idea di cosa il carcere contenga di dolore e orrore: e proprio perché quel termine – discarica – resta un elemento di un paesaggio angosciante, ma comunque conosciuto e quasi familiare. Dopo di che si scopre che in questo universo chiuso, che è il carcere, la frequenza dei suicidi è fra 17 e 19 volte maggiore di quella oltre le sbarre. E questo ti dà immediatamente la sensazione di avvicinarti a una realtà in agonia, perché la presenza della morte è così incombente. Una tragedia immane di cui si fatica a parlare, dando per scontato che quello sia un mondo a parte, con una sua epidemiologia separata, ma poco interessante: estrema ma lontana. All?origine di tale situazione c?è una concezione profondamente errata della pena, la cui prima ed essenziale funzione dovrebbe essere quella di impedire la reiterazione del reato. Tutto il resto è largamente superfluo, perché inutile o perché dannoso. Compresa quella categoria di cui tanto ci si riempie la bocca, la rieducazione: ovvero l?emancipazione dal male commesso. Emancipazione che riguarda una dimensione tutta individuale e intima e che non dovrebbe interessare la sfera pubblica. Poiché, però, questa prospettiva ?esenzialista? (impedire la reiterazione del reato), non è condivisa né dai legislatori, né dai cittadini, né dalla gran parte degli operatori carcerari, la sola idea di pena applicabile, e persino immaginabile, sembra essere la detenzione in una cella chiusa: e, lì dentro, come meravigliarsi se ci si ammazza 17/19 volte più di quanto si faccia fuori? Si tratta di una tendenza strutturale, ma non irreparabile. Oltre la metà dei suicidi avviene nei primi sei mesi (quasi il 20% nei primi 7 giorni). Anche il più ottuso degli operatori, anche il più tetragono dei ministri della giustizia destinerebbe a quella finestra temporale che va da 0 a 12 mesi, energie, risorse, tutele, assistenza psicologica, sociale, materiale e sanitaria. Anni fa fu istituita la struttura detta ?Presidio nuovi giunti?: dopo molti tentativi, non sono ancora riuscito a ottenere una mappa delle attività di questo presidio nell?insieme delle carceri italiane. Certo è che non c?è alcuna domanda sociale di tutela dei detenuti. Il detenuto, dal momento che è un soggetto privo di autonomia nell?arena pubblica, è abbandonato. Forse un grande scandalo sulle condizioni disumane in cui vive la popolazione detenuta potrebbe far scattare la scintilla: ma già la cifra dei suicidi, di per sé, dovrebbe essere sufficiente. Ma così non è. Resto convinto che il carcere nei sistemi democratici sia uno strumento largamente superato. Avrei difficoltà a ritenerlo necessario per una quota superiore al 10% dei circa 60mila detenuti. Alternative? Sul modello dei Paesi del Nord Europa, ma anche degli Usa dove il sistema penale, tuttavia, può essere davvero feroce, si potrebbe pensare a un ventaglio molto più ampio, flessibile, di forme di sanzione non concentrazionaria.

Luigi Manconi

Info: Per informazioni da e sul carcere: www.vita.it www.ristretti.it A Buon Diritto Associazione Antigone Agesol www.fuoriluogo.it Il Due Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia

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