Mondo

Darfur: per gli Usa, è “genocidio”

Il Congresso americano ha adottato ieri una risoluzione che equipara i massacri nel Darfur ad un "genocidio". Si prefigura un intervento multilaterale o anche unilaterale

di Joshua Massarenti

Mentre all’Onu si discute – tra le polemiche – di una risoluzione che prefigura sanzioni contro Khartum, il Congresso americano ha approvato una risoluzione in cui la crisi del Darfur viene equiparata a un genocidio. Il testo, adottato nella tarda serata di ieri, appare particolarmente pungente e significativo dal punto di vista politico perche’ chiede all’Amministrazione Bush di agire rapidamente, se necessario in modo ”unilaterale”. E’ stato approvato con 422 voti a favore e nessun voto contrario. La risoluzione ricorda che, da quando la crisi e’ esplosa 15 mesi fa, 30 mila persone sono state ”brutalmente assassinate” mentre in 130 mila hanno dovuto fuggire nel vicino Ciad. Il Congresso rileva poi che le violenze ”sembrano particolarmente dirette contro un gruppo specifico in funzione di criteri etnici, e sembrano sistematiche”. Di conseguenza, secondo la risoluzione, ”bisogna chiamare le cose con il loro nome, che in questo caso è genocidio”. Il governo americano, secondo il Congresso, dovrebbe prendere in esame la possibilita’ di un intervento multilaterale o anche unilaterale se le Nazioni Unite non dovessero riuscire a risolvere la situazione. Su questo tema il congresso appare sostanzialmente in sintonia con l’amministrazione Bush, che ha appena presentato una bozza di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’Onu in cui sul governo di Khartoum viene fatta pesare la minaccia di sanzioni se non blocchera’ le milizie di arabi accusate di essere le principali responsabili delle scorrerie e delle brutalita’. L’ultima bozza di risoluzione vorrebbe dare una sorta di ultimatum a Khartum: 30 giorni di tempo per mostrare la volonta’ di agire. Il governo di Khartum naturalmente respinge le accuse e mostra di chiedersi con stupore perche’ gli Usa si intromettano nei suoi affari interni, rischiando un ‘nuovo Iraq’. Particolarmente contestato e’ il termine di genocidio. Un giornalista arabo sudanese, Yasir Abdullah, afferma che il Congresso di Washington non ha capito le radici del conflitto nel Darfur e si rapporta a esso in modo molto superficiale: ”Possibile che non abbiano ancora capito – dice – che le sanzioni non danneggiano i governi ma solo la povera gente?”. Ibrahim Ahmed, un analista sudanese sentito dalla Reuters, fornisce questa interpretazione: ”E’ chiaro che non c’e’ alcuna base per parlare di genocidio, ma e’ altrettanto ovvio che la gente in America pensa che si tratti di genocidio e pertanto far esprimere il Congresso su questo argomento e’ un espediente politico per manipolare la pubblica opinione e aggirare la legge”. Anche l’Onu d’altra parte non vuole ancora usare questo termine, sebbene il segretario generale Kofi Annan sembri oramai assai vicino alle posizioni del governo statunitense e prema perche’ le autorita’ di Khartum cambino radicalmente e rapidamente atteggiamento. Annan e il segretario di stato americano Colin Powell sono entrambi reduci da una visita nel Darfur e proprio ieri hanno avuto un colloquio al Palazzo di Vetro dell’Onu. Annan si e’ detto fiducioso dell’approvazione della bozza americana, affermando che sta avendo una buona accoglienza. Ma il suo sembra un ottimismo eccessivo. Fonti diplomatiche affermano infatti che se Washington non ne ammorbidira’ i contenuti difficilmente sara’ accettata cosi’ com’e’ da paesi come Cina e Russia, ma anche dai latino-americani e dagli arabi. D’altra parte che il tempo stringa e’ riconosciuto un po’ da tutti. Oggi nuovi allarmi vengono dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, diretta parte in causa nella gestione, peraltro fallimentare, della crisi. Perfino il tentativo di portare sollievo ai profughi accalcati in campi nel deserto in regioni gia’ di per se’ poverissime, come il Tibesti ciadiano, rischiano di risultare controproducenti. Si puo’ morire, come e’ stato notato in un rapporto diffuso oggi a Ginevra, anche per opporsi a una azione della comunita’ internazionale che sembra puntare a migliorare le condizioni di vita nei campi profughi anziche’ obbligare il governo di Khartum a garantire condizioni di sicurezza a tutte le popolazioni non arabe del Darfur


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