Leggi e norme
2 per mille e 5 per mille, il doppiopesismo della politica
Un emendamento al Dl fiscale voleva aumentare il finanziamento ai partiti tramite il 2 per mille: il Quirinale l'ha bloccato. Il superamento del tetto al 5 per mille invece fatica a farsi strada...
Vent’anni fa o giù di lì ad ogni Finanziaria bisognava fare attenzione che il rifinanziamento del 5 per mille non venisse scordato (cosa successa veramente). Dopo di allora, è vero che il 5 per mille dal 2015 è stato stabilizzato, ma gli “attentati” e le “dimenticanze” attorno alla misura – come ben sanno i lettori di VITA – non sono mancati: segno che il 5 per mille sta nel cuore degli italiani, ma meno in quello della politica.
Primo indizio
Due i segnali freschi di questi giorni. Il primo è il fatto che nessuno degli emendamenti presentati alla Legge di Bilancio 2025 per alzare il tetto del 5 per mille (ne abbiamo scritto qui) compariva nei giorni scorsi in quell’elenco informale di proposte a cui i parlamentari sanno di dover riservare una particolare attenzione: gli emendamenti ci sono, ma ovviamente senza questo passaggio si perdono tra gli oltre 4.500 depositati.
La buona notizia è che “la svista” è stata corretta: garanzie non ce ne sono, ma l’emendamento 8.078 a firma Imma Vietri di Fratelli d’Italia, che prevede che «per la liquidazione della quota del cinque per mille è autorizzata la spesa di 575 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2025», dovrebbe quantomeno essere votato. È l’emendamento di cui la viceministra Maria Teresa Bellucci, sollecitata da VITA, aveva detto «posso certamente dire che seguiremo tale iniziativa con molto interesse», garantendo che «l’innalzamento del tetto previsto risponde alla necessità di dare maggiormente seguito alle scelte dei contribuenti e sostenere l’azione degli enti del Terzo Settore che partecipano attivamente alla costruzione del bene comune».
Dal 2017 ad oggi il tetto massimo previsto per il 5 per mille è stato sempre sforato: 9 milioni in più nel 2017, 13,7 milioni nel 2018, addirittura 23,5 milioni nel 2019, poi tre milioni nel 2020 e 4,4 milioni nel 2022: nel 2023 i contribuenti hanno destinato quasi 28 milioni in più rispetto ai 525 per cui il Governo aveva previsto una copertura. Fa eccezione esclusivamente l’anno 2021, come ovvia conseguenza del calo dei redditi dovuto alla pandemia. Parliamo quindi di almeno 80 milioni di euro che gli italiani negli ultimi sette anni hanno destinato a finalità sociali con il loro 5 per mille, ma che lo Stato in realtà ha trattenuto nella fiscalità generale per via del tetto.
Secondo indizio
Mentre la questione del superamento del tetto del 5 per mille fatica a farsi strada, al di là delle dichiarazioni d’intento e nonostante il pressing delle organizzazioni che hanno più e più volte spiegato quante attività in più potrebbero fare se ricevessero tutta la cifra che gli italiani gli hanno destinato (leggi qui), ecco che invece ha trovato strada spianata al Senato l’emendamento al decreto fiscale che innalza il tetto del 2 per mille ai partiti, portando il finanziamento pubblico dagli attuali 25 milioni a 42 milioni di euro l’anno e prevedendo – soprattutto – che l’inoptato venisse distribuito tra i partiti in modo proporzionale alle (poche) firme espresse.
L’emendamento è stato presentato da Pd e Avs, ma anche il Governo pare fosse d’accordo. L’accordo su quello era trasversale e i 17 milioni di euro in più evidentemente si sarebbero trovati. Il Capo dello Stato ha palesato i suoi rilievi: non c’è omogeneità rispetto alle materie contenute nel provvedimento in discussione, una riforma del genere richiederebbe un provvedimento ad hoc e soprattutto il cambiamento proposto avrebbe un impatto notevole sulle finanze pubbliche e su fondi che derivano dalle scelte dei cittadini.
Anche Alessandro Milan, nella sua popolare trasmissione “Uno, nessuno, 100Milan” su Radio 24 questa mattina ha evidenziato lo stridente doppiopesismo della politica sui due temi (dal minuto 6.35): «Il Terzo settore ogni anno protesta in maniera vibrante tutti gli anni perché il tetto del 5 per mille viene tenuto a 525 milioni, che vuol dire che se anche gli italiani danno di più il tetto resta quello. Il Terzo settore protesta, dateci i soldi che gli italiani ci donano, non con un tetto: lì la politica niente… e invece qui “zac, premio Giachetti”».
Ricordiamo che il 5 per mille oggi è la misura di sussidiarietà fiscale più amata dai contribuenti: nel 2023 hanno destinato il 5 per mille ben 17,2 milioni di italiani, con circa 730mila firme più dell’anno precedente. I cittadini che hanno destinato il loro 2 per mille ai partiti sono appena 1,74 milioni: in pratica, siamo 1 a 10. Per la prima volta inoltre nel 2023 gli italiani hanno messo più firme per il 5 per mille che per l’8 per mille, strumento in cui le firme si sono fermate a 16,9 milioni.
Solo una coincidenza?
Agatha Christie diceva che «un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Nella storia del 5 per mille di a dir la verità di indizi ce ne sarebbero molti (vi ricordate per esempio il ddl del leghista Rufa, che provò a finanziare con le risorse del 5 per mille un fondo assistenza per il personale in servizio delle Forze dell’Ordine e sostenere i congiunti dei deceduti in servizio?). Ma restiamo all’oggi e sfidiamo la politica a far sì che il terzo indizio non ci sia… togliamo il tetto al 5 per mille o quantomeno alziamolo con una capienza sufficiente a garantire che le volontà degli italiani vengano rispettate integralmente. È una questione di credibilità e di non tradire il patto con i cittadini, facendo sì che il 5 per mille per cui mettono la firma sia davvero tale.
Photo Michele Nucci / LaPresse
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