Giustizia
La Garante sarda al ministro Nordio: «Le morti nelle carceri sono un fallimento dello Stato»
Irene Testa, Garante delle persone private della libertà personale della Sardegna, interpella il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, dopo l'ennesimo suicidio di un detenuto nelle carceri sarde
di Irene Testa
Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Irene Testa (nella foto), Garante delle persone private della libertà personale della Sardegna, in merito al suicidio di un detenuto nel carcere di Uta (Cagliari), avvenuto sabato 23 novembre 2024.
Da giorni penso e ripenso a quella visita, a cosa avrei potuto fare. Lo avevo incontrato due giorni prima che compisse il gesto disperato. Aveva catturato la mia attenzione perché, a differenza di altri, non chiedeva niente. Quando si entra nelle sezioni, le richieste d’aiuto sono interminabili e si levano disperate da tutte le celle, come fossero gironi infernali. Ma lui no, non aveva chiesto niente. Era seduto, pensieroso, davanti alla finestra della sua cella. Gli ho domandato se stesse bene. Sembrava spaesato, come se quella dimensione non fosse per lui. Occhi azzurri e volto pulito, lo facevano apparire come un corpo estraneo all’interno di un contenitore di dolore. Mi ha detto che stava leggendo un libro che teneva sulla branda e che aspettava il nulla osta per poter andare in comunità. Il compagno di cella si preoccupava per lui, ripeteva in continuazione che non stava bene e che aveva già tentato il suicidio.
G. O. era in custodia cautelare e si trovava in carcere per il fallimento, a vari livelli, anche delle agenzie territoriali. Doveva essere curato, non custodito. In tanti in questi giorni ci siamo sentiti in colpa, ci siamo domandati se ognuno di noi avesse potuto fare di più. Penso alla mamma, che è venuta a saperlo da una chat di famigliari di altri detenuti che hanno postato un articolo di giornale e ha subito sospettato si trattasse di suo figlio. Non si sbagliava. Era il suo ragazzo. Quando la chiamo, ho poche parole di conforto per la madre. La sensazione è di imbarazzo, di disagio, la tentazione è quella di chiedere scusa. Abbiamo fallito tutti ed è inaccettabile che noi operatori a vario titolo dobbiamo sentirci in colpa a causa di un sistema che non funziona. Di un sistema che fa strage di diritto e di vite umane. Di un sistema che induce alla morte più che a riprendersi la vita. Non si può continuare ad assistere a questa carneficina quotidiana. E non dobbiamo essere noi operatori a chiedere scusa, ma uno Stato assente e cinico che ha deciso di nascondere il disagio all’interno di contenitori oramai illegali che producono morte e disperazione. Mi rifiuto di accettare che il carcere produca morte anziché riabilitazione. Mi appello ancora al ministro della Giustizia affinché comprenda che ogni giovane che evade dal carcere togliendosi la vita è anche e soprattutto un suo fallimento.
Continueremo, Ministro, a esigere che anche chi ha sbagliato goda di una detenzione improntata allo Stato di Diritto e che la pena rispetti il senso di umanità. Anche se siamo stanchi e scoraggiati continueremo imperterriti a batterci affinché si interrompa questa flagranza criminale e criminogena, di uno Stato che si volta dall’altra parte.
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